Abbandonarsi

C’è un grosso equivoco dal quale dobbiamo liberarci quando parliamo di consacrazione.

L’equivoco che ci porta a pensare che consacrarsi a Dio significhi abbandonare tutto e che sia di conseguenza improponibile la coesistenza fra la consacrazione a Dio ed un lavoro secolare, fra la consacrazione a Dio e la vita familiare.

Si tratta di un equivoco che affonda le sue radici nella dottrina cattolica, che ha fatto e continua a fare del clericalismo una delle sue colonne fondanti dividendo il popolo di Dio in due parti nettamente distinte fra loro e l’una totalmente dipendente dall’altra.

Dobbiamo con umile sincerità riconoscere che l’equivoco si è fatto strada anche fra noi, pur vivendo in un contesto in cui, in ubbidienza alla Parola di Dio, si afferma di credere all’universalità del sacerdozio dei credenti e quindi al cammino di comunità formate paradossalmente “da tutti preti” (donne comprese!).

Consacrare la propria vita al Signore non ha nella Parola il significato di “abbandonare” ma prioritariamente quello di “abbandonarsi”.

Ha scritto l’apostolo Paolo: “…Egli (Gesù) morì per tutti affinché quelli che vivono non vivano più per sé stessi, ma per Colui che è morto e risuscitato per loro” (2 Corinzi 5:15).
Il Signore ha un diritto di riscatto sulla nostra vita, avendola pagata “a gran prezzo”: un diritto che siamo chiamati a lasciargli esercitare.

Consacrarsi a Lui significa quindi prima di tutto abbandonarsi alla Sua piena sovranità, significa riconoscergli questo diritto ed agire di conseguenza, dicendogli: “Tu hai riscattato la mia vita. La mia vita ora non appartiene più a me, ma appartiene a Te. Fanne quello che vuoi e che mi indicherai!”.

Questo ci permette di comprendere la radice dell’equivoco. Infatti noi non siamo chiamati a “donare la nostra vita a Cristo” (espressione tipica che normalmente sentiamo usare quando una persona decide, ad esempio, di servire il Signore “a pieno tempo”); siamo chiamati piuttosto a riconoscere che, in virtù del fatto che Egli ha pagato per riscattarla, la nostra vita non ci appartiene più, perché appartiene a Lui!

Nel concetto-equivoco di consacrazione è l’uomo il protagonista che sceglie, decide, “si dona”.

Ma… non possiamo donare qualcosa (la nostra vita!) che non ci appartiene più, che appartiene al Signore!!

E al Signore appartiene indistintamente la vita di tutti coloro che, nel momento in cui hanno accettato di essere riscattati da Lui, hanno anche accettato un nuovo programma per la loro vita: “non vivere più per sé stessi, ma per Colui che è morto e risuscitato per loro”!
Con un automatismo spirituale proprio della loro nuova relazione con il Signore, la vita di tutti i riscattati è quindi consacrata a Lui.

Questo “abbandonarsi” al Signore può, nei casi scelti e voluti da Dio, richiedere di abbandonare la propria professione, il proprio lavoro per un obiettivo di servizio indicato dal Signore e per il quale è necessaria la totale dedicazione del nostro tempo.

Ma guai a vivere il processo inverso!

Vivremmo una consacrazione totalmente umana, frutto del nostro attivismo e della nostra volontà.

Quindi: non si abbandona tutto per abbandonarsi al Signore, ma è l’abbandonarsi al Signore che, in vista di compiti particolari, può richiederci di abbandonare tutto!

Quando nel servizio, particolarmente in quello a pieno tempo, si vivono frustrazioni, delusioni, scoraggiamenti, ciò accade sicuramente perchè si è scelto di abbandonare il lavoro, ma senza prima scegliere di abbandonarsi a Cristo.

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