“…collaboratori di Dio” (1 Corinzi 3:9)

I collaboratori sono responsabili di fare la Sua volontà.
La persona che pianta e la persona che annaffia, in realtà, non sono molto importanti, giacché non hanno in sé il potere di produrre vita. Perché, dunque, ci dovrebbe essere gelosia o contese fra i servitori? Ciascuno dovrebbe svolgere il compito che è stato assegnato da Dio in persona. Può essere che se sono presenti gelosie e contese, sta a significare che il compito che si svolge non è stato da Dio assegnato, ma viene svolto di solo propria iniziativa.
Tutti i Suoi servitori non sono altro che collaboratori che appartengono a Lui, che lavorano insieme nel campo di Dio, ed hanno lo stesso obiettivo.
Uno degli aspetti aspetti più significativi della conduzione cristiana è il modo in cui affrontare le critiche. Colui che riceve odio, si impegna ad esprimere la mitezza di Cristo? Come reagisce? Le motivazioni rimangono quelle di guadagnare qualcuno a Cristo, o sono quelle di vincere sugli oppositori o di esaltare la propria reputazione? Spesso l’argomentare si fa aggressivo e duro. Nel nostro mondo i conduttori cristiani sono tentati di edificare la loro reputazione. Invece di cercare la mitezza e la gentilezza di Cristo, diventano dittatori; si affidano alla forza della personalità o all’oratoria manipolatrice di un venditore. Diventano autoritari, mancando di quella umiltà che deve caratterizzare un servo di Cristo. Una delle cause delle divisioni presenti nelle comunità è proprio l’orgoglio, e molti gratificano il proprio orgoglio formando delle fazioni.
Fate attenzione a come vi comportate: il comportamento verso gli altri deve modellarsi sulla mitezza e sulla dolcezza di Cristo. Sia in situazioni di contrasto sia nell’esercizio della disciplina, quell’umiltà che deve somigliare a quella di Cristo deve sempre permeare lo stile del servizio. Come guide bisogna rifiutare di usare la tattica dell’intimidazione o la forza della propria personalità o la minaccia.
L’autorità dei pastori, che sono collaboratori di Dio, sulla comunità non può e non deve essere esercitata con la forza o con un potere dittatoriale, ma per mandato e con l’esempio. Il fine della autorità ricevuta non è certo per distruggere, ma per rafforzare ed edificare. Il gregge dovrebbe capire del perché il pastore rimprovera; i rimproveri apparentemente duri che deve impartire non hanno lo scopo di spaventare, ma di rafforzare. La disciplina che deve applicare è una correzione necessaria se si deve essere fedeli alla Parola. Chi tende a rifiutare e a sentirsi offeso da tali rimproveri e discipline, non è altro che un orgoglioso e presuntuoso. Gli anziani non dovrebbero prendere le loro decisioni a maggioranza o tramite votazione. Se tutti gli anziani sono guidati dallo stesso Spirito e tutti hanno (dovrebbero avere) la mente di Cristo, ci dovrebbe essere unanimità nelle loro decisioni. Se c’è una divisione, tutti dovrebbero studiare, pregare e ricercare insieme la volontà di Dio finché non si giunga al consenso. Se qualcuno non dovesse impegnarsi in questo, è orgoglioso. L’unità e l’armonia ha origine proprio da questo principio. Il pastore deve agire per accudire e amare il gregge, ma nella Parola non si parla mai di una congregazione come del “suo” o del “vostro” gregge. I credenti sono il gregge di Dio e il pastore è un semplice amministratore e curatore dei preziosi beni di Dio.
L’esercizio dei doni non deve servire a gonfiare il proprio io o a impressionare le folle, ma ad incoraggiarsi reciprocamente. Se un educatore cristiano ha un dono più spiccato di un’altro, è perché così Dio ha voluto. Tutto ciò che abbiamo, ci è stato dato da Dio. Stando così le cose, perché mai dovremmo essere orgogliosi e tronfi? I nostri talenti e i nostri doni non sono un merito nostro.
Tutti i doni che Cristo elargisce agli individui e alla comunità nel suo insieme sono doni che Egli stesso ha esercitato perfettamente. Se mai ci fu un predicatore questi fu Cristo, se mai ci fu un insegnante, una guida, un amministratore, un servitore, uno che aiutava o che donava, questi fu Cristo. Egli è la rappresentazione e l’esempio perfetti di ogni dono, perché nei doni che ci fa Egli è così benevolo da donare Sé stesso.

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