LA RISPOSTA TI CAMBIERÀ PER SEMPRE

Quando Davide e il suo corteo di Leviti giunsero finalmente a Gerusalemme, dopo un estenuante viaggio di quindici miglia a piedi, egli deve aver danzato per il sollievo e per la gioia: “Ce l’abbiamo fatta”.

Ad un certo punto, mentre trasportava l’arca ed onorava Dio, Davide iniziò a dare importanza alle cose alle quali Dio dà importanza.

Sua moglie Mical, invece, diede maggiore importanza alla dignità anziché alla Divinità.

Su di lei fu posta la maledizione della sterilità.

Talvolta gli incontri intimi con Dio sono imbarazzanti per l’uomo.

Il panorama della cristianità è cosparso da chiese sterili, che hanno voltato le spalle all’intimità dell’adorazione.

Sono delle moderne Mical: anch’esse hanno scelto di dare maggiore importanza alla dignità piuttosto che all’intimità con Dio.

Possiamo costruire edifici più belli, mettere insieme cori più grandi, comporre musica migliore e predicare sermoni più lunghi: possiamo fare ogni cosa in modo migliore rispetto a prima.

Se però non abbiamo la “fiamma”, la Sua gloria non c’è.

Le chiese “prive della fiamma” sono insignificanti per gli uomini, così come lo sono per Dio.

La mancanza della “fiamma” indica che non c’è fuoco; da ciò derivano edifici inutili e cuori vuoti.

Bisogna che qualcuno dica: “Qui fa freddo, per questo se ne vanno tutti.

Diamo nuovamente calore all’adorazione”.

Quando i Leviti giunsero esausti alla tenda provvisoria che Davide aveva allestito per l’arca del patto, furono lieti di togliere l’arca dalle proprie spalle stanche e di collocarla al suo posto.

Quando però alcuni Leviti iniziarono ad andarsene, Davide li fermò e disse loro: “No, no, non ve ne andate. Non ho ripristinato il servizio levitico per abbandonare l’arca qui, come fu abbandonata a Silo. Rimettetevi gli efod. Tirate nuovamente fuori i salteri e le arpe. A turno, 24 ore su 24 lo adorerete.
Amati, abbiamo perso la capacità di ospitare la presenza di Dio. Quando ci visita, o quando sentiamo la Sua presenza tra di noi, diciamo: “Oh, sono contento che Tu sia qui, ma devo andare”. Troppo spesso ci basta che Dio, nel luogo in cui Lo adoriamo, ci dia un tremito o un brivido alla schiena. Ma deve esserci qualcosa di più che un tremito o un brivido. A Davide non bastava una visita temporanea. Cercava qualcosa di più e per questo disse ai leviti: “Non andrete da nessuna parte. Non vedo l’ora che il popolo di Dio Lo adori e Lo onori ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette”.

Le chiese, con ben poche eccezioni, sono i luoghi meno frequentati nel mondo, rispetto per esempio ai grandi magazzini, aperti ventiquattro ore su ventiquattro.

Le nostre chiese riescono appena a svolgere le loro attività due ore la settimana, perché la domanda dei loro “prodotti” è bassa.

Dobbiamo coltivare uno stile di vita “ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette”, prima di promuovere una struttura organizzata, se non vogliamo che essa diventi qualcosa di meccanico!

Non sto sostenendo che le porte delle chiese debbano essere tenute aperte in modo artificioso.

È un appello alla passione per Dio.

Abbiamo costruito dei bei santuari nei quali non c’è quasi nessuno, perché se non c’è la fiamma non c’è nulla da vedere.

Vogliamo riscoprire ciò che imparò Davide, oppure siamo già stanchi della “visita rievocativa” di Dio?

Mi domando che cosa significasse per Dio poter sedere nella semplice tenda di Davide in tutta la Sua gloria, sedersi proprio in mezzo al Suo popolo, senza alcun velo o mura che Lo separassero dalle Sue creature, per la prima volta dall’epoca dell’Eden.

Voltati verso di Lui e chiediGli che cosa vuole realmente.

La risposta ti cambierà per sempre.

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