LA CAPACITÀ DI SPERARE

“…facendosi veder da loro per quaranta giorni, e ragionando delle cose relative al regno di Dio” (Atti 1:3)

Proviamo a metterci nei panni dei discepoli. La drammatica scena del Calvario, con tutto il suo orrore, era stampata indelebilmente nella loro memoria. Ci sono ferite che fanno molto male guarendo: un duro colpo può farci perdere del tutto i sensi. Penso che la crocifissione del Maestro sia stata devastante per i Suoi discepoli. Lentamente essi presero coscienza della perdita subita e dell’orrore che sovrastava persino il nome di Gesù di Nazaret. Si erano spente non soltanto le loro speranze, ma la capacità stessa di sperare. Il dolore li aveva accecati, come accadde a Maria, in lacrime, presso la tomba di Gesù. Storditi, ammutoliti e sconcertati, i discepoli trovavano difficile credere alla risurrezione del loro Maestro: l’ascensione, subito dopo, avrebbe costituito un ulteriore motivo di smarrimento. Per poter afferrare il significato dell’ascensione di Gesù, i discepoli dovevano avere la mente sgombra da quel grande dolore, i loro pensieri dovevano distaccarsi dalla croce ed elevarsi dalla tomba. Gli occhi dovevano essere unti, per contemplare il Re nella Sua bellezza, prima che Egli partisse per il paese lontano. Quei quaranta giorni furono il compassionevole strumento usato da Dio per realizzare tutto questo nei discepoli che Gesù amava. In quella memorabile sera dell’ultima cena, immediatamente prima che Cristo fosse tradito, i discepoli avevano cantato un inno, quindi si erano recati al Monte degli Ulivi. Là, sotto le sue ombre nere, mentre essi rimanevano silenziosi e immobilizzati dallo sgomento, Gesù disse: “Questa notte voi tutti avrete in me un’occasion di caduta: perché è scritto: Io percoterò il pastore, e le pecore della greggia saranno disperse. Ma dopo che sarò risuscitato, vi precederò in Galilea”. Ma non dimentichiamo di una cosa: nello smarrimento e prima del prossimo passo, Gesù ci precede sempre, si rivela a noi e ci parla delle cose inerenti al Suo regno.

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