FILANTROPISMO VS CRISTIANESIMO

Filantropia e amore cristiano non si pongono in rapporto di complementarietà – come pure sembrerebbe – ma in rapporto di reciproca esclusione. Se c’è la filantropia non ci può essere l’amore cristiano; e se c’è l’amore cristiano non ci può essere la filantropia.
Il cristianesimo sebbene storicamente collocabile nella sua origine e nei suoi sviluppi, trae origine da un’esperienza di natura soprasensibile, soprannaturale con carattere di rivelazione.
L’umanesimo è invece intriso di pensiero del tutto umano, per lo più influenzato dal contesto storico e temporale, con i suoi problemi e i suoi vanti, e dalle esigenze dell’economia e della politica.
Nel cristianesimo autentico, il centro è Cristo, non è l’uomo. L’uomo cristiano è chiamato ad aderire ad un modello che lo trascende e che trascende le sue facoltà naturali: se ne deduce che la stessa “carità” che è perno è un dono dello Spirito Santo, non riguarda le facoltà della creatura intese in senso affettivo e non va scambiata con nessun tipo di filantropia, né buoni sentimenti. Il rischio è di permettere un cristianesimo spiritualmente tiepido, ma inquinato di filosofie umaniste e antropocentriche ed è proprio quello di perdere il concetto di centralità di Cristo e di soprannaturalità della rivelazione.
Va da sé il perdere di vista Cristo senza il quale non c’è salvezza per le anime, e mettere al Suo posto una filolosofia dei diritti umani è di fatto cosa anti-cristiana. L’uomo che presume di essere centrale nell’opera creativa senza però essere anzitutto un…..santo, finirà col commettere un peccato di superbia simile a quello che la tradizione attribuisce all’arcangelo che volle un ruolo che non poteva avere e che non poteva gestire. C’è un pericolo che si scambi per cristianesimo quella che è tutta una serie di patetica esaltazione umanistica, per cui ci ritroveremo, per esempio, con cristiani che anziché parlare di Cristo, si limiteranno a pacche sulle spalle, a grandi promesse di amore senza mai il richiamo al dovere e alla responsabilità, all’esempio, alla vera conversione, quindi senza la giustizia, ma stanno solo lì a fare “vita sociale”, con una benevolenza forzatamente allegra e affettuosa, nient’altro. Umanesimo fine a sé stesso. O peggio ancora un Cristo strumentalizzato per fini umani. Questa forma umana filantropica fa perdere di vista la valorizzazione della persona che ritrova e vive la relazione con Dio, mediante il Cristo, nella grazia e verso la santità.
Il cristiano affronta la visione del dolore e della morte con sacrificio e pazienza, perché è realista: sà che quel dolore e quella morte colpiranno tutti, prima o poi, sà anche che il dolore e la sofferenza servono per ancorarci a Dio, per comprendere gli obiettivi che Egli desidera raggiungere in noi, facendoci in questo modo maturare e crescere. Sono parti dell’educazione di Dio. La sofferenza è un mezzo non solo necessario, ma altresì fecondo e, perciò, anche utile in sé stesso, per liberarci dal velo delle false apparenze, dal frenetico attivismo, dall’invidia, dall’ambizione, dal potere, dal dominio, dall’autorità, dalla posizione, dalla volontà di ferire i propri nemici, dalle delusioni. È il dolore quello che sviluppa le facoltà dello spirito.
E questo suona così ostico agli orecchi del filantropo rimuove il pensiero del dolore e della morte perché esso lo emoziona e lo ferisce. Il filantropico segue il sentimentalismo e il buonismo umano, correndo verso il diventare “dispensatore di provvidenza” e cioè persona che interferise in ciò che Dio ha preordinato per gli altri. Vede soffrire una persona e dice: “Basta con quella sofferenza. Farò io qualche cosa per alleviarla”. Così facendo si oppone a quello che Dio permette. Il filantropico nterferferisce nella vita di un altro, o propone cose che non sta a lui di proporre, o dare consigli quando non ha alcun diritto di consigliare. Il cristiano che diventa assolutamente indispensabile a qualcuno, vuol dire che si è allontanato dal proposito di Dio.
Le associazioni filantropiche: non sono che assemblee, relazioni, rendiconti, memorie; a meno d’un anno d’esistenza posseggono già grossi volumi di verbali. La filantropia è un’orgogliosa per cui le buone azioni sono una specie d’ornamento e che si compiace di guardarsi nello specchio.
La filantropia non è l’amore per il prossimo nel senso più vasto del termine. Un uomo non è buono solo perché nutre l’altro se sta per morire di fame, o lo riscalda se sta congelando. Spesso il povero non ha così freddo e non è così affamato, quanto piuttosto è sudicio, straccione e rozzo. In parte ciò è dovuto al suo gusto. Se gli date del denaro si comprerà altri stracci. Il filantropismo si dà da fare a togliere i rami del male, ma non colpisce la radice. Il filantropismo mostra lo stelo e le foglie, mentre il cristianesimo i fiori e i frutti.
Il “cristiano” filantropico fa di Dio una macchina dispensatrice di benedizioni per gli uomini. mette tutta l’importanza su un’energia inesausta e un’attività incessante, ma non sulla vita intima con Dio, è quindi schiavo dello spirito di attivismo, caratteristica della religiosità.

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