IL PIÙ GRANDE NEMICO DI GESÙ

Regolare il proprio passo su quello di Dio è faticoso; occorre trovare un ritmo spirituale. Quando si impara a camminare con Dio c’è sempre da superare la difficoltà di accordare il passo col Suo; ma una volta riusciti, la caratteristica che prevale è la vita di Dio; l’individuo unito a Dio è messo da parte e dimenticato in quanto tale, e sono invece messe in luce l’andatura e la forza di Dio. Quando cominciamo a camminare, prima ancora che abbiamo fatto due o tre passi Egli è già un bel pezzo avanti a noi; ha un modo di andare differente dal nostro, e dobbiamo allenarci e disciplinarci nelle Sue vie.
Gesù mai nulla fece partendo da una Sua visione personale delle cose, ma prendendo come punto di partenza sempre quella del Padre Suo; e noi dobbiamo imparare a fare altrettanto. Quindi dobbiamo imparare che il nostro sforzo personale per la causa di Dio è fuori luogo; prima che possiamo agire, la nostra personalità deve diventare incandescente al contatto personale con Dio. Noi individuiamo una certa situazione e secondo una valutazione tutta nostra, e diciamo sicuri: “Ecco quello che Dio vuole da me”; ma non abbiamo ancora regolato il nostro passo su quello di Dio. Ciò succede quando leggiamo la Parola esattamente come i farisei.
Mosè aveva avuto bisogno che Dio lo preparasse al compito e lo sottoponesse a disciplina. Per poter essere all’altezza della missione doveva prima imparare a vivere in comunione con Dio. Camminare col proprio passo regolato su quello di Dio significa nulla di meno che camminare uniti a Lui.
Tutto deve essere fondato sulla Sua autorità. La nostra tendenza è di guardare al Signore Gesù come a Colui che ci assiste in tutto ciò che facciamo per Dio, ma Egli si dichiara Signore dei Suoi discepoli, un Signore supremo, assoluto e sovrano. “Se voi dimorate in Me e se le Mie parole dimorano in voi” – così deve procedere il cammino nella nostra vita personale. Non fa alcuna differenza il luogo dove siamo destinati; Dio programma e deve programmare i nostri movimenti. La chiave degli ordini è nelle mani Dio e si trova nella preghiera, e non nel lavoro per il Signore come è generalmente inteso e che può essere semplicemente un mezzo per sfuggire alla concentrazione su Dio. Diventiamo di solito del tutto impegnati nel lavoro attivo sprecandone mille energie. “Ma io ho da fare un lavoro speciale!” Non è vero, nessun cristiano ha da fare un lavoro speciale. Il cristiano è chiamato ad essere proprietà di Gesù Cristo, a non essere al di sopra del Suo Maestro, a non dettar legge a Gesù Cristo su quel che deve fare, a non dirGli di ammirare e prendere nota di tutto ciò che fa per Lui. Dio ci chiama, ma ci chiama a Sé e non ad un lavoro speciale.
La preghiera non ci dà la capacità di fare opere maggiori, ma è essa stessa l’opera maggiore. Noi pensiamo alla preghiera come ad un esercizio pieno di buon senso che viene praticato dalle nostre facoltà più elevate per prepararci al lavoro per Dio; ma secondo l’insegnamento di Gesù Cristo essa è invece l’opera fatta in me dal miracolo della redenzione.
Il più grande nemico che abbia oggi Gesù Cristo è il concetto del lavoro pratico. È un concetto che non proviene dal Nuovo Testamento, ma dai sistemi del mondo; mette tutta l’importanza su un’energia inesausta e un’attività incessante, ma non sulla vita intima con Dio. L’accento è messo al posto sbagliato. Gesù disse: “Il regno di Dio non viene in maniera da attirare gli sguardi…perché, ecco, il regno di Dio è dentro di voi”. L’operaio cristiano che sceglie il lavoro attivo vive troppo spesso mettendosi “in vetrina”, dando molta importanza all’entrare e all’uscire dalla comunità, mentre la potenza di una vita è rivelata dalla parte più intima del suo intimo. Dobbiamo liberarci dalla piaga dello spirito di attivismo, caratteristica dell’epoca religiosa in cui viviamo; nella vita di Gesù non vi era questa attività febbrile e frenetica così apprezzata oggi, e il discepolo deve essere come il Maestro. La centralità del regno di dio sta nella nostra relazione personale con Lui, e non in una nostra utilità pubblica per gli altri uomini.

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