SCHIAVI DELLA VELOCITÀ: MANCANZA DI LENTEZZA E DI ATTESA

Una cultura nuova, che ha compiuto uno storico slittamento di senso dalla profondità alla superficie, dalla realtà all’illusione.
Il verdetto è che non esiste la profondità e la realtà.
Che la vita dell’uomo moderno si svolga quasi esclusivamente sulla superficie, fatta di impulsi brevissimi e di velocità, è un dato di fatto.
La comunicazione digitale, riducendo le attese, ha compromesso anche la capacità di attendere e quella di stare da soli, rendendoci tutti più compulsivi. Di fatto è diminuito il tempo concreto e lo spazio mentale.
I mezzi istantanei di comunicazione tendono ad eliminare le distanze spazio-temporali e ad accelerare la velocità.
L’esempio eloquente al riguardo può essere fornito dal ricorso, che si è ampliato esponenzialmente negli ultimi anni, alla posta elettronica. Essa non soltanto annulla potenzialmente la distanza spazio-temporale tra due corrispondenti, qualunque sia la loro collocazione nello spazio fisico planetario, ma fa sì che le attese di risposta ai messaggi inviati siano sempre più brevi: la rapidità istantanea del mezzo ingenera l’attesa di una risposta altrettanto rapida, se non quasi istantanea. Ma, per contro, l’aumento ipertrofico, verificatosi negli ultimi anni, della quantità di messaggi ricevuti e inviati da un utente medio di posta elettronica fa sì che questa spirale di velocità e di risposte attese si traduca spesso in frustrazione, corto circuito, impossibilità di far fronte in tempo reale o almeno rapido alle sollecitazioni dei messaggi e di farlo con ponderazione.
Le e-mail che si accumulano sullo schermo in attesa di risposta subiscono inesorabilmente un destino di rapida obsolescenza: se non si risponde subito o in tempi molto brevi, si rischia di non farlo più, sotto la pressione di messaggi più recenti pervenuti nel frattempo; e magari, sopraffatti da una valanga di e-mail, si decide di fare tabula rasa e di usare indiscriminatamente per tutte il tasto “cancella”, nella speranza effimera di recuperare una sorta di verginità comunicativa, di ripartire da zero.
Il telefonino pone in evidenza la tendenza al mescolamento tra i diversi tempi della vita quotidiana di un attore, vale a dire al processo di agglutinamento già descritto in precedenza: tempi fisiologici, tempi privati, tempi di lavoro o professionali, tempo libero, e così via. Per questo, una salvaguardia di certi tempi della propria vita privata rispetto alle intrusioni della comunicazione suggerirebbe di spegnere il cellulare in certe fasce temporali: ma questa operazione non si presenta facile psicologicamente, proprio per l’estensione capillare della rete della telefonia mobile e per l’esigenza dei singoli di restare continuativamente in contatto o a disposizione di altri utenti, per motivi personali, professionali o di altro genere, tra cui figura oramai l’abitudine acquisita alla conneessione e alla connettività.
Questo porta indubbiamente a sottolineare un fenomeno che può essere definito come: l’enfasi sul presente. Cioè si vuole un “presente esteso”, ovvero dilatato.
L’accentuazione del presente e della velocità pone inevitabilmente in evidenza lo scontro con tutto l’insieme dei fenomeni orientati alla lentezza.
In primo luogo si può citare qui tutta l’area dell’apprendimento e della formazione, processi formativi di base che non possono sostanzialmente essere abbreviati ma richiedono una progressione che si misura non solo in settimane e mesi ma in una successione di parecchie annualità.
Quanto all’apprendimento delle tecniche e abilità artistiche (come ad es. l’imparare a suonare uno strumento di musica), è noto che esso non può realizzarsi rapidamente ma richiede lunghi tempi di applicazione. Non possono esistere in certi campi le esemplificazioni.
Si possono considerare e citare poi altri aspetti della vita sociale in cui si richiedono o ci si aspetta che vi siano tempi e ritmi lenti, o quanto meno non veloci, non comprimibili al di là di certi limiti. In alcuni casi gli eventi e le circostanze sociali ci richiedono di “perdere tempo”, di non guardare l’orologio: come quando siamo invitati ad un festa o ad una celebrazione personale. O come quando seguiamo nelle sue fasi consolidate luoghi dove hanno un loro ritmo di svolgimento ben preciso: in questi casi sarebbero del tutto inappropriati atteggiamenti o comportamento improntati alla fretta. Così pure, tutta una serie di interazioni basate sulle dimensioni fisiologiche e sull’affettività rifuggono dalla velocità: il riposo, il rilassamento, il dialogo profondo tra persone implicano il fatto di “darsi del tempo”. Considerazioni analoghe valgono per tutte le attività personali che richiedono concentrazione, riflessione, meditazione approfondita.
L’irrompersi della modernità “liquida”, non più solida, polverizza i rapporti sociali. la profondità è un ostacolo all’agire dell’individuo nella società dei consumi. Un ostacolo persino doppio. È un freno per l’individuo, perché la profondità ha bisogno di tempo e riflessione mentre la società moderna è in continuo mutamento, ed egli immerso in questo suo sforzo contemplativo rischierebbe di restare irrimediabilmente indietro, analizzando un quadro che già non esiste più; ed è un freno per la società stessa (dei consumi), che ha bisogno di individui che agiscano d’istinto, facciano scelte immediate sulla base dipochi dati razionali ed una forte carica emotiva. immagini cosa accadrebbe se ogni scelta di consumo ci fosse dettata da un’analisi approfondita delle nostre necessità: probabilmente ci accorgeremmo che non abbiamo bisogno della quasi totalità delle cose che acquistiamo e finiremmo, razionalmente, col non acquistarle.
La società frenetica e dei consumi – per poter sopravvivere ed espandersi – ha sostituito il pensiero razionale con l’impulsività, col capriccio improvviso e momentaneo.
La comunicazione per immagini, il ruolo della visibilità e l’incapacità di sostenere le emozioni dal vivo sono indicazioni di una nuovo disagio evidente negli adolescenti dei nostri tempi.
L’opera “Il piccolo principe” mette al centro la lentezza: dal momento che il racconto si svolge all’interno di un sistema industrializzato e orientato alla velocità, anche se con modalità diverse dalle attuali. Il capolavoro di Saint-Exupéry è stato scritto in effetti 60 anni dopo quello di Collodi, negli anni Quaranta del Novecento, un’epoca in cui si viaggia in treno e in automobile oltre che in aereo (come è il caso dell’aviatore, l’io narrante del racconto che corrisponde allo stesso Saint-Exupéry adulto), e in cui i sistemi produttivi sono improntati ad un tempo quantitativo, veloce ed economicamente redditizio.
Ora, sin dall’inizio la velocità dell’aereo resta inoperante e sullo sfondo (si potrebbe anzi osservare che la grave panne in cui è incappato l’aviatore, obbligato ad un atterraggio d’emergenza nel deserto, dimostra la fallibilità dei mezzi di trasporto più veloci a disposizione dell’uomo), mentre il piccolo principe insegna all’aviatore indaffarato e preoccupato la virtù della lentezza e quella della pazienza: l’aviatore si piegherà infatti all’insistenza del bambino e interromperà il suo lavoro di riparazione del motore per disegnargli una pecora. Questa logica di lentezza e di gradualità, unita alla fedeltà, accompagnerà l’insegnamento magistrale della Volpe al Piccolo principe: essa gli ricorderà infatti che l’amicizia si conquista solo deponendo la fretta e dando tempo agli incontri con le persone, perché è così – attraverso pazienza, gradualità e fedeltà – che ci si può “addomesticare” a vicenda, e cioè diventare amici e responsabili l’uno dell’altro. Si può ricordare poi il successivo episodio dell’incontro con il mercante di pillole che levano la sete e fanno risparmiare un certo numero di minuti alla settimana: è qui che il piccolo principe oppone alla logica acefala della velocità e del risparmio di tempo quella di una lentezza carica di senso: “Io, se avessi cinquantatrè minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana”.
Illudendoci che il “subito” non comporti alcuno sforzo, in realtà abbiamo fatto lo sforzo più grande di tutti: reprimere l’attesa.

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