COME REAGISCI NELLE PROVE?

Le crisi sociali vengono intese come temporanee modificazioni dell’organizzazioni e delle condizioni di vita di una collettività. Nelle crisi sociali sono inevitabilmente coinvolti anche i cristiani. Tuttavia, questi si distinguono per l’attitudini con cui le affrontano. L’attitudine con cui si affrontano le circostanze della vita dipende dalla prospettiva dalla quale si guardano.
La prospettiva spirituale implica due punti fondamentali:
1) La Sovranità di Dio: nulla è affidata al caso, Egli governa il corso della storia umana e nella Sua onniscenza agisce sempre a beneficio di coloro che sono Suoi. Lo scopo di Dio non corrisponde mai a quello dell’uomo. Tutto quello che avviene non è mai per caso, tutto rientra nei decreti di Dio. Il Signore sta elaborando i Suoi piani. Se siamo in comunione con Dio e accettiamo che Egli ci stia INSERENDO nei Suoi piani, non cercheremo più di sapere quali essi siano. A misura che andiamo avanti nella vita cristiana, essa diventa sempre più semplice perché siamo sempre meno inclini a domandarci: “Perché Dio permette questo, o quello?”. Dietro ad ogni cosa sta la sovrana volontà di Dio. “C’è una divinità che dà forma a ciò che ci accade”. Il cristiano è colui che confida nella sapienza e nella saggezza di Dio, e non nella propria intelligenza. È chiaro che se perseguiamo i nostri scopi personali, distruggiamo la semplicità e la serenità che devono essere la caratteristica dei figli di Dio.
“Dimorate in Me” – nel campo intellettuale, in quello delle finanze, in ognuno dei campi della vita umana. In qualunque situazione io sia, posso essere sicuro della mia dimora in Gesù così come lo sono in una riunione di preghiera. Non sta a me fare cambiamenti o dare un certo ordine alle circostanze. Il rapporto che noi manteniamo con Dio è uno stato di agitazione continua e di estrema tensione, senza nessuna traccia di quella serenità di cui è intessuta la vita nascosta con Cristo in Dio.

2) La responsabilità individuale: la fede e l’obbedienza richiedono la pazienza dell’attesa dei Suoi tempi, che non possiamo né anticipare né affrettare. Il cristiano in varie circostanze non ha il diritto di lamentarsi, ma deve giorno per giorno di confidare in Dio, perché ha creduto e scelto di affidarsi a Lui riconoscendo che Egli è il Signore e Padrone della vita permettendo necessarie prove per fare, alla fine, del bene.
Dio ci conosce profondamente, fino nel segreto della nostra interiorità, perché ci conosce e ci scruta.
Dio solo sà ciò che occorre per farci crescere. Però, come Giobbe, diciamo: “…il mio lamento è una rivolta”, cominciando a parlare di noi stessi, ponendo dinanzi a Dio la nostra giustizia, e le buone opere che son state fatte, esattamente come Giobbe nel capitolo 29, pensando che avrebbe meritato qualcosa. Infatti c’è un’espressione da lui detta dopo nel capitolo 30 che è: “Speravo il bene, ma è venuto il male; aspettavo la luce, ma è venuta l’oscurità!”. Orgoglioso di sé, insisteva nel suo atteggiamento piagnucoloso ed irriverente per difendere il suo operato.
È sempre più evidente nel carattere del cristiano il presuntuoso diritto di voler ricevere da Dio il contraccambio. “Signore, non hai visto che ho fatto questo? Nulla hai notato? Perché dunque mi sta accadendo questo? Cosa ho fatto di male?” In questo modo non si fa altro che moltiplicare le parole contro Dio! Se giudichiamo le vie di Dio, se giudichiamo il Suo modo di agire, il giudizio e la sentenza di Lui ci piomberanno addosso. La non comprensione dei fatti, le nostre risposte piene di boria, la nostra aperta ribellione e protesta, non fanno altro che condannarci.
Le vicende che affrontiamo possono renderci migliori, più miti e coraggiosi; oppure ancora più cavillosi, insoddisfatti e caparbi; possono farci diventare mostri o santi. Dipende tutto dalla relazione che abbiamo con Dio. Se impariamo a dire: “Sia fatta la Tua volontà”, riceviamo la consolazione di sapere che il Padre nostro opera in noi secondo la Sua sapienza, e non siamo più meschini e cinici.

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