PAROLE DURE DI GESÙ – PROVOCAZIONE PER L’ORGOGLIO DELL’UOMO

La nostra croce non può essere piacevole, altrimenti non si chiamerebbe croce, perché essa è prova ed è tutto il contrario dei nostri desideri, ma diventa l’espressione di una amore disinteressato che entra nell’infinita bontà di Dio nonostante le contrarietà del momento e tutte le avversità della vita, perché noi che l’abbracciamo significa che crediamo che Dio dispone per noi tutto secondo un Suo sapiente progetto.
È un credere nella luce come nelle tenebre, nel benessere come nelle avversità, è un credere che Dio ha cura di noi, anche se quello che vediamo sembrerebbe dimostrare il contrario.
Portare la croce comporta la completa rinunzia a noi stessi.
In realtà, non è mai stato facile credere a Gesù, nemmeno ai Suoi tempi. Tutto quello che Gesù era, diceva e faceva, lasciava perplessi un pò tutti. Gesù, possiamo dire, era una continua provocazione, provocazione a quello che anche allora era il buon senso, la logica, la tradizione, gli usi e i costumi più accreditati.
Spesso vogliamo una predicazione che ci parli delle cose di questo mondo, di cose che comprendiamo perché rispecchiano la nostra esperienza di tutti i giorni, ma arriverà il giorno in cui Gesù smaschererà la vera intenzione della nostra ricerca: perché le nostre esigenze materiali e desideri siano appagati. Presto o tardi le parole di Cristo ci metteranno con le spalle al muro, e le Sue parole saranno per noi impenetrabili, e in simili guisa lo abbandoneremo per lasciarci assorbire dalla mondanità.
I vari discorsi creavano scandalo ed imbarazzo, e persino diversi Suoi simpatizzanti un giorno, ad udirli, se ne andarono.
“Ma vi sono alcuni tra voi che non credono. Gesù infatti sapeva fin dal principio chi erano coloro che non credevano, e chi era colui che lo avrebbe tradito; e diceva: Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me se non gli è dato dal Padre mio” (Giovanni 6:64, 65).
Gesù ha spesso ribadito il mistero della divina elezione a salvezza per grazia ed iniziativa di Dio. Alcuni credono e sono salvati, altri, pur credendo, rimangono duri ed ottusi. Perché? “Non dipende dunque né da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che fa misericordia. Cosi egli fa misericordia a chi vuole e indurisce chi vuole” (Romani 6:18-20). Non deve essere per noi una scusa, ma è una realtà. Queste parole sono un attacco all’orgoglio dell’uomo, il quale pensa di potersi guadagnare o meritare la salvezza con il proprio credere, di propria iniziativa. Gesù dichiara che perfino la facoltà di andare a Lui può essere conferita solo da Dio Padre.
Si, nonostante le parole che avevano udite, per quanto alcuni professassero di credere in Gesù, alcuni non erano davvero dei Suoi. Avevano di Lui rispetto e stima, ma il loro discepolato non era che una maschera. La loro non era fede vivente, di tipo spirituale, ma semplicemente qualcosa di temporaneo e superficiale.
Ciò vale anche per noi oggi. La fede in Dio per motivi soggettivi (sogni, progetti, desideri) ed oggettivi (difficoltà, sofferenze, dolori) non è la vera fede che Gesù crea e la rende perfetta.
Gesù certo non li avrebbe costretti, non ci costringe, né li avrebbe implorati, né ci costringe a rimanere con Lui, magari ammorbidendo il Suo messaggio eliminando la causa del loro e del nostro scandalo per le Sue parole.
Molti fra i Suoi simpatizzanti e discepoli nominali si tirano indietro. Non sono veri cristiani, non hanno “udito ed imparato dal Padre” (Giovanni 6:45), altrimenti non sarebbero stati scandalizzati dalle parole del Signore, appena dette, al riguardo di come andare a Lui e di come seguirLo.
Non comprendendo più, Gli voltano le spalle, “ritornano alle cose che erano dietro”, al mondo, alle concupiscenze del loro cuore; avviene loro ciò che dice un vero proverbio: “Il cane è tornato al suo vomito, e la scrofa lavata è tornata a voltolarsi nel fango” (2 Pietro 2:22). Si ritorna ai maestri e predicatori secondo le proprie voglie, alle religioni comode di questo mondo che solleticano l’orgoglio umano, al comprensibile umanesimo ed ai pensieri di moda senza sottomettersi più a Cristo – troppo impegnativo.

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