Cinque cose che Dio gradisce

I passi dell’uomo dabbene son diretti dall’Eterno; ed egli gradisce le vie di lui
Salmo 37:23 – Vers. Riveduta

INTRODUZIONE

La maggiore preoccupazione degli esseri umani è innanzi tutto compiacere se stessi. L’essenza del peccato è proprio l’egocentrismo, pensare che tutto debba ruotare intorno a sé. È una visione della vita che ci pone al centro di tutto, nella convinzione che il mondo ci avvolga e tutti debbano interessarsi di noi se non addirittura rispondere a noi del loro modo di essere. Raramente ci si preoccupa di essere graditi agli altri, anche perché questa sembra essere più l’ansietà dei deboli che non il traguardo dei forti. Quando si è animati da questa motivazione, si prevede di dover subire prima o poi un grave danno d’immagine se non della dignità personale. Forse più frequentemente ci si preoccupa di essere graditi agli amici, perché si vuole preservare lo spirito del gruppo e tutelare i legami affettivi per non cadere nella trappola deprimente della solitudine. Essere graditi alla moglie, al marito sembra oggi più un’esigenza legata al tornaconto che non all’amore disinteressato e sincero. Come credenti occorrerebbe insieme preoccuparsi di essere graditi a Dio. La Scrittura ci indica almeno cinque cose in cui ci si deve preoccupare di compiacere al Signore.

1. LA TESTIMONIANZA

“I passi dell’uomo dabbene son diretti dall’Eterno; ed egli gradisce le vie di lui” (Salmo 37:23). “Essere dabbene” (“I passi dell’onesto”, traduce la Versione Nuova Riveduta) è un chiaro riferimento alla buona testimonianza, alla missione di spandere intorno a sé il buon profumo di Cristo, insomma alla capacità di ristorare il palato di chi ci circonda con il frutto dell’albero buono. Essere di buona testimonianza non significa assecondare la mentalità e i costumi del mondo. Prima o poi si scoprirà. Un uomo dabbene si vede da quello che abbiamo innanzi tutto nel cuore e che quindi compare poi, solo successivamente sulle nostre labbra e quindi si vede da come parliamo, parlare in modo da edificare: “L’uomo dabbene dal suo buon tesoro trae cose buone; e l’uomo malvagio dal suo malvagio tesoro trae cose malvagie” (Matteo 12:35). Essere un uomo dabbene si vede dal comportamento, da come camminiamo, dalla nostra condotta e dal nostro stile di vita, non innanzitutto da ciò che sembriamo, ma da ciò che siamo: “La sentinella disse: ‘Il modo di correre del primo mi par quello di Ahimaats, figliuolo di Tsadok’. E il re disse: ‘È un uomo dabbene, e viene a portare buone notizie’” (II Samuele 18:27). La buona testimonianza è di grande efficacia: “Poiché egli era un uomo dabbene, e pieno di Spirito Santo e di fede. E gran moltitudine fu aggiunta al Signore” (Atti 11:24). Dio aiuti tutti i credenti a vivere non un cristianesimo parolaio, ma concreto ed efficace, frutto di una genuina esperienza con Cristo: non caratteristico di un credente che dice così, ma che fa così, anzi, che prima di tutto è così!

2. LA MANSUETUDINE

“L’Eterno riprende colui ch’egli ama, come un padre il figliuolo che gradisce” (Proverbi 3:12). Il Signore ama coloro che Egli può correggere. La Bibbia non afferma che Dio odia chi sbaglia, Dio infatti non odia chi pecca, anzi ama il peccatore, ma aborrisce il peccato. Il problema a volte non è l’errore commesso, ma il peccato non confessato, rispetto al quale non ci si vuole emendare: “… eppure, dopo tutto questo, tu dici: ‘Io sono innocente; certo l’ira sua s’è stornata da me ‘. Ecco, io entrerò in giudizio con te, perché hai detto: ‘Non ho peccato’” (Geremia 2:35). Bisogna non essere suscettibili, ma mansueti, perché soltanto allora si realizzerà tutto il beneficio della benedizione dell’opera di Dio in noi: “Volgetevi a udire la mia riprensione; ecco, io farò sgorgare su voi lo spirito mio, vi farò conoscere le mie parole… Ma poiché quand’io chiamavo avete rifiutato d’ascoltare, quand’ho steso la mano nessun vi ha badato, anzi avete respinto ogni mio consiglio e della mia correzione non ne avete voluto sapere, anch’io mi riderò delle vostre sventure, mi farò beffe quando lo spavento vi piomberà addosso; quando lo spavento vi piomberà addosso come una tempesta quando la sventura v’investirà come un uragano, e vi cadranno addosso la distretta e l’angoscia. Allora mi chiameranno, ma io non risponderò; mi cercheranno con premura ma non mi troveranno” (Proverbi 1:23-28). Non bisogna mai scoraggiarsi, perché Dio ci ama e la correzione non è il segno della punizione divina, perché i nostri peccati sono stati puniti in Cristo Gesù alla croce, ma è evidenza dell’amore di Dio: “Il Signore corregge colui ch’Egli ama, e flagella ogni figliuolo ch’Egli gradisce” (Ebrei 12:6).

3. LA FERMEZZA

“Così parla l’Eterno a questo popolo: ‘Essi amano andar vagando; non trattengono i loro piedi; perciò l’Eterno non li gradisce, si ricorda ora della loro iniquità, e punisce i loro peccati’”(Geremia 14:10). Dio non gradisce le persone instabili, che vanno vagando, che seguono ogni vento di dottrina, le quali anziché essere paragonati a solidi alberi da frutto che distendono le proprie radici lungo le rive placide del fiume dell’acqua della vita, somigliano ad un giunco sbattuto dal vento, una volta pensano una cosa e subito dopo ne credono un’altra. Sono persone facilmente suscettibili alla seduzione, in grave pericolo, perché vanno errando e possono facilmente scivolare nell’errore. La saldezza, la stabilità, del cuore innanzi tutto, proviene dalla grazia di Dio, non dalle circostanze favorevoli: “Non siate trasportati qua e là da diverse e strane dottrine; poiché è bene che il cuore sia reso saldo dalla grazia” (Ebrei 13:9). Occorre rivalutare la semplice, ma straordinaria e sufficiente grazia di Dio! Spesso tentenniamo per ciò che Dio ci deve ancora dare, mentre invece siamo stabili se ci fondiamo su ciò che ci ha già donato!

4. LA COERENZA

“Quanto ai sacrifizi che m’offrono, immolano carne e la mangiano; l’Eterno non li gradisce. Ora l’Eterno si ricorderà della loro iniquità, e punirà i loro peccati; essi torneranno in Egitto” (Osea 8:13). Perché non li gradisce? Perché sono sacrifici formali, frutto di un esercizio vuoto, esteriore e liturgico, privo della partecipazione della volontà, dei sentimenti, dell’intelligenza, dei pensieri, delle emozioni: “Ascoltate la parola dell’Eterno, o capi di Sodoma! Prestate orecchio alla legge del nostro Dio, o popolo di Gomorra! Che m’importa la moltitudine de’ vostri sacrifizi? dice l’Eterno; io son sazio d’olocausti di montoni e di grasso di bestie ingrassate; il sangue dei giovenchi, degli agnelli e dei capri, io non li gradisco. Quando venite a presentarvi nel mio cospetto, chi v’ha chiesto di calcare i mie cortili? Cessate dal recare oblazioni vane; il profumo io l’ho in abominio; e quanto ai noviluni, ai sabati, al convocar raunanze, io non posso soffrire l’iniquità unita all’assemblea solenne. I vostri noviluni, le vostre feste stabilite l’anima mia li odia, mi sono un peso che sono stanco di portare. Quando stendete le mani, io rifiuto di vederlo; anche quando moltiplicate le preghiere, io non ascolto; le vostre mani son piene di sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete d’innanzi agli occhi miei la malvagità delle vostre azioni; cessate del far il male; imparate a fare il bene; cercate la giustizia, rialzate l’oppresso, fate ragione all’orfano, difendete la causa della vedova!” (Isaia 1:10-17). Dio è degno innanzitutto della consacrazione del cuore e poi anche dei nostri sinceri atti di culto: “Il Signore ha detto: ‘Giacché questo popolo s’avvicina a me colla bocca e mi onora con le labbra, mentre il suo cuore è lungi da me e il timore che ha di me non è altro che un comandamento imparato dagli uomini, ecco ch’io continuerò a fare tra questo popolo delle maraviglie, maraviglie su maraviglie; e la saviezza dei suoi savi perirà, e l’intelligenza degl’intelligenti di esso sparirà’”(Isaia 29:13, 14). È un modo di voler ingannare Dio, fargli sembrare cose che non sono; ma Dio non si può ingannare, perché non è un uomo: “Ma l’Eterno disse a Samuele: ‘Non badare al suo aspetto né all’altezza della sua statura, perché io l’ho scartato; giacché l’Eterno non guarda a quello a cui guarda l’uomo: l’uomo riguarda all’apparenza, ma l’Eterno riguarda al cuore’” (I Samuele 16:7). È una garanzia per la nostra serenità, non un terrore per la nostra incoerenza:“Sapendo dunque il timor che si deve avere del Signore, noi persuadiamo gli uomini; e Dio ci conosce a fondo, e spero che nelle vostre coscienze anche voi ci conoscete” (II Corinzi 5:11).

5. LA PERSEVERANZA

“Il mio giusto vivrà per fede; e se si trae indietro, l’anima mia non lo gradisce” (Ebrei 10:38). Il Signore gradisce coloro che perseverano, che vanno avanti comunque, deboli, fragili, forse malati, ma non si rassegnano, non mollano, anzi continuano a riporre la propria fiducia in Colui che è “un aiuto sempre pronto nelle distrette” (Salmo 46:1). Nel percorso della vita, sulla strada della fede, non tutto procede in modo rettilineo e senza scosse. Non si può mantenere sempre la stessa velocità. Più velocemente o più lentamente, però, ci aiuta la fede. L’importante è camminare, proseguire il cammino, con costanza, sempre, prima del battesimo nello Spirito Santo: “Tutti costoro perseveravano di pari consentimento nella preghiera, con le donne, e con Maria, madre di Gesù, e coi fratelli di lui” (Atti 1:14), ma anche dopo il battesimo: “Ed erano perseveranti nell’attendere all’insegnamento degli apostoli, nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere” (Atti 2:42): costanza vera non frutto di calcolo! Come credenti pentecostali, la nostra fede è caratterizza dalla potenza nel servizio, dai carismi nell’edificazione, ma anche dalla perseveranza, dalla fedeltà nella testimonianza! Potenza per testimoniare, ma per testimoniare … sempre, nei momenti favorevoli, ma anche in quelli tristi e bui!

Eliseo Cardarelli

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