LA SPERANZA HA UN LIMITE

Nasce un paradosso a causa della speranza: Dio usa tutto ciò che la speranza dell’uomo non vuole tenere in considerazione. Quante volte l’uomo spera ma Dio non gli dà ascolto?
Se non si accetta il linguaggio delle circostanze che Dio crea e permette non sperimenteremo mai la vera gioia e la vera fede.
La speranza ha fretta di raggiungere la mèta per avere pace e gioia, ma non ci rendiamo conto che Dio dà gioia e pace NELLA prova, nel presente.
La speranza formula delle ipotesi ben dotate di contenuti.
La promessa che Dio fece ad Abramo si pose in termini alternativi alla storia, alle condizioni obiettive. Abramo credette, superò la contraddizione tra promessa e realtà attuale e si ancorò alla promessa. La sua fede gli permise di occupare la giusta collocazione nei confronti di Dio. L’appoggiarsi di Abramo alla promessa di Dio (alternativa, contraddittoria rispetto alla situazione attuale) è la fede.
La speranza è del tutto inconciliabile con la fede, in quanto la vera fede nasce nell’animo in seguito ad una conoscenza diretta, ad una certezza: conoscenza di Dio, certezza della presenza di Dio. Non si può guardare altrove come cerca di fare la speranza.
Si può parlare di speranza solo quando un ateo è in cerca di risposte, perché nell’uomo c’è il pensiero dell’eternità, ma una volta che le ha ottenute dalla fede che gli è stata donata non ha più bisogno né necessità di sperare ancora. Il fine è ormai stato raggiunto: la relazione con Dio.
Se invece si persiste nella speranza, essa diventa uno strumento per appagare sé stessi, diventa frutto della compassione verso sé stessi.
La speranza mette al centro l’uomo, la fede mette al centro Dio.
La speranza guarda una mèta, la fede guarda Dio.
Il problema è che nel tempo abbiamo mischiato questi concetti, e si è arrivati alla conclusione che si spera di raggiungere una mèta desiderata con Dio.
Il problema nasce perché non riusciamo (o non vogliamo) a distinguere quale sia il pensiero umano e il pensiero di Dio, la visione umana e la visione di Dio, la natura umana e la natura di Dio, e la differenza tra un ateo e un cristiano. Gli atei sperano, i cristiani non hanno più bisogno della speranza perché hanno la fede, ed essa fa volgere il loro sguardo verso la persona di Gesù Cristo, perché il loro bene è Dio, la loro mèta è Dio.
Nessuno può vivere unito a Cristo se non è pronto a rinunziare non solo al peccato, ma a tutto il suo modo di considerare le cose della vita. Nascere di nuovo significa lasciar cadere quello che tenevamo stretto in pugno.
Le persone sviluppano e si affidano ad una serie di credenze e supposizioni che si sono formate nel mondo. Ma Dio utilizza eventi e circostanze, anche traumatiche, da sfidare tali convizioni. La volontà di Dio è quella di distruggere la nostra visione del mondo, la nostra visione del futuro, le nostre opinioni, la nostra identità. Ciò equivale ad un terremoto, le fondamenta dei nostri pensieri e delle nostre convizioni vanno in mille pezzi a causa della forza dell’impatto subito. Siamo scossi, quasi letteralmente, dalla nostra percezione ordinaria delle cose. Un evento psicologicamente sismico da far vacillare, minare o ridurre in macerie molte delle strutture schematiche che hanno guidato la nostra comprensione delle cose, le nostre decisioni e il senso che diamo alla vita.
Riusciamo ad essere uno con Cristo solo se la vecchia vita se ne va da noi senza lasciarsi dietro nemmeno un frammento, e se in noi prende il suo posto una fiducia semplice e perfetta in Dio, una fiducia tale da non farci più sperare e desiderare le benedizioni di Dio, ma credere e volere Lui stesso.
La fede dice che Dio è il tutto, la relazione con Dio è il tutto, la speranza, curiosa, vuole sempre guardare cosa c’è alle spalle di Dio.
È bene ribadire che Dio non è il collaboratore dell’uomo, ma è l’uomo ad essere il collaboratore di Dio; la sua collaborazione consiste nel lasciarLo libero di agire secondo il Suo volere.
Il cristiano è come un tralcio attaccato alla vite. La speranza dice che il fine sarà quello di essere un grappolo maturo, mentre la fede dice che il fine di Dio non si esaurisce nel far di noi dei grappoli maturi, ma nello spremerne via il succo. L’uomo che spera non ha questo fine perché è troppo doloroso.
La speranza ambiziosa, secondo il vero cristiano, è una ribellione nei confronti di Dio, è un atto di sfiducia, una resistenza alla Sua autorità completa.
L’argilla spera forse? Se così fosse, si guasterà sempre perché mette in dubbio l’operato del vasaio.
Per non guastarsi deve avere fede, e nulla si deve aspettare. La fede si rivela come la capacità di “rischiare” senza sapere in anticipo cosa Lui farà, quando e come lo farà. Basta la certezza che Egli è il Sovrano. Allora si potrà attuare il disegno di Dio. Allora l’argilla si lascerà formare.
Possiamo parlare degli amici di Daniele. La risposta dei tre giovani al re Nabucodonosor è molto eloquente a questo proposito: “Sappi che il nostro Dio può liberarci dalla fornace… ma anche se non ci liberasse, sappi, o re, che noi non serviremo mai i tuoi dèi” (Daniele 3:17-18). Di fatto, il seguito della storia dimostra che Dio li ha preservati dal fuoco della fornace, ma essi non avevano la certezza che Egli sarebbe intervenuto; l’unica certezza che avevano era che Dio ha il potere di liberare i suoi servi, se voleva.
Loro non speravano, ma avevano fede nella Sovranità di Dio.
Se poi interviene e come interviene, è un affare che al discepolo non importa, non è affatto necessario averne una cognizione anticipata.
Perché il popolo d’Israele fu scoraggiato all’udire la voce di coloro che andarono ad esplorare la terra promessa? Perché sperò. Tutto rose e fiori.
La fede contrasta sempre la visione della speranza, perché presentò loro, e presenta a noi, la realtà, cioè vivere con ciò che la speranza crede sia un male – giganti, lotte, prove, ostacoli – ma che tutto è parte del buon disegno di Dio, quindi tutto sarà affrontato e superato. La fede chiama l’uomo verso l’obbedienza, la consacrazione e la dipendenza, sottomettendosi a Dio.
Chiamiamo Gesù come Maestro e Signore, ma non sono parole che hanno posto nel nostro vocabolario; a causa della speranza ne preferiamo altre, come Salvatore, Redentore, Guaritore, Soccoritore.
O Gesù Cristo è l’autorità suprema del cuore umano, oppure non è degno della minima attenzione.
La speranza ha il fine di raggiungere pace e sicurezza, mentre, nella nostra vita, neppure un indizio di vera santità si intravede. Per camminare nella santificazione bisogna necessariamente passare per il fuoco, camminare nella sofferenza e nel dolore. Poniamoci una domanda: come mai ci sono molti cristiani (nominali) che normalmente vivono di ipocrisia, di maldicenza, di pettegolezzi, di divisione, di odio, di rancore, di incredulità? Perché nonostante la fede continuano a sperare, volendo sempre fuggire dalle varie circostanze per vivere in pace, e non accettando la realtà della fede finiscono per autodistruggersi.
Se lo Spirito di Dio ci ha fatti nascere di nuovo, chiedere a Dio di guidarci in questo e in quello non è che una forma di pietà abortita. Diremo invece: “Dio mi ha messo sulla via…” (Genesi 24:7).
È più facile essere un fanatico speranzoso che un’anima fedele, perché essere fedeli a Dio richiede un’umiltà eccezionale, soprattutto nei riguardi dei nostri concetti.
Non c’è via di scampo quando Dio parla. E quando parla, la nostra intelligenza non è chiamata in causa. La voce di Dio ci svela in modo inequivocabile la profondità della nostra ignoranza, un’ignoranza dimostrata proprio nel piano che avevamo deciso di seguire a causa della speranza.
Colui che spera vive con l’agitazione, con il nervoso, fa rumore di lamentele, mentre colui che ha fede vive con la pace, con la calma, con la gioia perché cammina con Dio, anche quando sembra che dorme.
La speranza non fa altro che svegliare Gesù dormiente sulla barca e farci da Lui rimproverare per la mancanza di fede: “Perché non avete fede?”
Se vacillo nell’avere fede, questo significa che Dio ha un rivale, e cioè che amo me stesso più di quel che ami Lui.

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