Rep. Democratica del Congo: schiava per 15 mesi
In gran parte del continente africano, il fondamentalismo islamico sta aumentando. Tutta la fascia subsahariana, dal Mali ad Occidente, alla Somalia ad Oriente, vede il proliferare di gruppi musulmani armati. Anche in Paesi “insospettabili” come la Repubblica Democratica del Congo, Porte Aperte aiuta la chiesa a superare i traumi e a prepararsi a resistere nella tempesta.
La Repubblica Democratica del Congo non è presente nella WWL (la lista dei 50 Paesi dove la persecuzione è più forte, pubblicata a gennaio scorso da Porte Aperte) eppure le notizie che ci arrivano, riguardo alla situazione dei cristiani, non sono affatto rassicuranti. Nell’estremità orientale del Paese un gruppo islamico molto violento, chiamato “Alleanza delle Forze Democratiche” (ADF), sta tentando di liberare l’area dai cristiani, al fine di creare una base per la diffusione dell’islam in tutta la regione.
La storia di Mado* (nome cambiato per ragioni di sicurezza), una donna di circa venti anni, mostra chiaramente il modo di agire di questo gruppo.
Una domenica di febbraio 2013 Mado, insieme ad alcuni suoi familiari, tornava a casa passando all’esterno della giungla. Lungo il percorso il gruppo ha incontrato due uomini che chiedevano aiuto per alcuni bagagli. Dato che erano disarmati, i cristiani non hanno sospettato alcun pericolo, ma alcuni militanti armati dell’ADF erano nascosti nella boscaglia. Essi sono saltati fuori dai cespugli e hanno preso prigionieri Mado e il resto del gruppo.
Arrivati al nascondiglio dei ribelli, le cose sono andate di male in peggio: “Improvvisamente hanno ucciso mio cognato proprio davanti ai miei occhi. Ho pianto in modo incontrollabile. Uno degli uomini armati si è arrabbiato con me e mi ha colpito con la parte piatta di un machete e poi mi ha bendata… Poco dopo ho sentito mio marito gridare. Uno di loro mi ha tolto la benda per mostrarmi il machete sporco di sangue. Ho capito subito che anche lui era morto“.
Per i successivi 15 mesi la vita della giovane donna è stata molto dura. Primautilizzata come schiava per fare lavori molto pesanti, poi obbligata a convertirsi all’islam e venduta come moglie ad un anziano musulmano. Inoltre, durante la prigionia, ha visto morire il bimbo di cui era incinta al momento del rapimento.
Solo approfittando di un momento di distrazione dei ribelli e dell’incontro con un gruppo di soldati dell’esercito, Mado è riuscita a scappare insieme al suo primo figlio.
Oggi Mado è seguita da un gruppo di Porte Aperte per superare i traumi vissuti.
In quella zona Porte Aperte sta inoltre contribuendo al rafforzamento dei credenti con i corsi di preparazione alla persecuzione. Il corso (SSTS – resistere nella tempesta) aiuta le persone a vedere la realtà della sofferenza in una prospettiva biblica.
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