TESTIMONIANZA DI FRANCESCO PASSAMONTE

Avevo cinque anni ma non so cosa mi accadde quand’ero bambino; non so se fu per un sogno che mi spaventò tanto, non saprei. Io so solo che una mattina mi svegliai, piangendo ed impaurito, da quel momento in poi non potevo più parlare. Lo potevo fare con i miei genitori, con i gli amici di strada, in una situazioni non formale. Ma dal momento in cui io concepivo nella mia mente qualcosa di più formale, non potevo più respirare, le mie labbra tremavano, era una forma di balbuzia che avevo. Ricordo che da allora il “telefono”, era una cosa che mi metteva agitazione e non riuscivo a respirare e a rispondere. Ricordo che alle scuole elementari non potevo nemmeno pronunciare il mio nome, recitare una poesia, o recitare un versetto della Bibbia, alla Scuola Domenicale.

Mi ricordo che anche più grande all’età di quindici anni, quando mia madre mi mandava in salumeria a comprare qualcosa me lo scriveva su di un pezzo di carta, perché non riuscivo a parlare. Io avevo un gran desiderio fin da bambino, tre o quattro anni, un fortissimo desiderio, ed era quello di predicare il Vangelo di Gesù Cristo. Tanto che quando stavo a casa tiravo la tavola verso di me e incominciavo ad imitare il mio pastore. Predicavo alle sedie che predisponevo attorno alla tavola. Volevo imitare il mio pastore della chiesa su tutti i punti, quello che vedevo fare in chiesa lo facevo a casa. Vedevo che il mio pastore battezzava i credenti in acqua e anch’io volevo fare lo stesso. Presi una bacinella e la riempii di acqua. A casa avevamo un gattino, lo presi e lo immersi nell’acqua, poi gli dissi: “Credi tu nel Signore Gesù come tuo personale Salvatore?” E io risposi per lui “si” e il gattino andò in acqua. La storia è comica ma il significato è potente perché anche se avevo allora sei anni il desiderio che avevo non si dipartì mai dalla mia vita. A volte mi chiedevo perché c’era questo gran desiderio nella mia vita quando io non potevo parlare. Sembrava come un’ingiustizia che Dio mi dava, un desidero così forte ad un bambino che non poteva parlare, un desiderio di predicare. Un giorno arrivò da Firenze un pastore della “Chiesa dei Fratelli” a visitare Palermo, avevo si e no sedici anni, e io a modo mio gli feci capire al fratello pastore il mio desiderio che avevo nel cuore, cioè quello di predicare, ma non potevo parlare e il fratello mi guardò negli occhi e mi disse: “Queste sono le persone che il Signore usa”. All’età di diciassette anni ricevetti una lettera dagli Stati Uniti. Un mio zio più grande di me di solo cinque anni frequentava un’istituto biblico nella città di Providence, Rhode Island, mi scrisse: “Vuoi venire in America, alla scuola biblica?” Quando ascoltai la parola “Scuola Biblica” ero pieno di gioia. Perché amavo la Parola di Dio. Ma qualcosa dentro alla mia mente diceva “Tu non puoi parlare”. Il miracolo di andare in America avvenne, ma prima però c’era da superare un grande ostacolo. A quei tempi per andare in America era difficile, il dipartimento della difesa chiedeva di avere 18 anni e un giorno altrimenti non ti faceva uscire dall’Italia per gli Stati Uniti, a meno che non avessi fatto prima il servizio militare. Il Console americano a Palermo, mi disse: “Mi dispiace Francesco ma mi devi portare almeno un passaporto di sei mesi e un giorno, così arrivi in America e poi lì vai a rinnovare”. Iddio si usò di una certa persona e il dipartimento della difesa mi diede un nulla osta militare. E l’undici settembre del 1963 lasciai l’Italia, e il console americano mi disse: “Per quando io ne sappia, in Italia tu sei l’unica persona che ha ottenuto un permesso per uscire fuori dalla Nazione alla tua età”. Arrivai in America e stavo frequentando la scuola biblica quando una sorpresa dolorosa mi arrivò dal cappellano dell’Istituto Biblico: mi chiese di testimoniare alla riunione che si sarebbe tenuto il giorno dopo. Non parlavo l’inglese, mio zio doveva farmi da traduttore. Avevo diciotto anni e il giorno della riunione venne: mi alzai in piedi, le labbra mi tremavano, non potevo respirare, c’erano circa duecentocinquanta studenti, e io mi sentii così piccolo; dal punto di vista psicologico: io ero quasi morto e non potei testimoniare. Tre anni dopo ad un servizio missionario, a me come studente straniero mi chiesero di rappresentare l’Italia. Mi venne la febbre, poiché non potevo parlare, e ne parlai con mio zio e andammo dalla direttrice dell’Istituto. Gli dissi che io non parlavo inglese, ma era una scusa come quella di Mosè e di Geremia, perché io l’inglese lo parlavo un poco, e non potevo prenderla in giro; cercai di convincerla, ma no ci riuscii. Ritornai di nuovo alcuni giorni dopo e gli dissi: “Sorella Campbell” – così si chiamava. “Facciamo una cosa, se tu non mi farai parlare, allora io canterò in italiano.” Perché a cantare non avevo nessun problema. Lei disse: “Va bene”. Venne il giorno e al servizio c’erano seicento persone nella sala. Arrivò il mio turno e mi alzai e andai al microfono; la persona all’organo suonava delle note e aspettava me che io iniziassi a cantare. Per diversi secondi tutti erano li che aspettavano, in quei momenti ho detto a me stesso: “Ma è mai possibile che io non posso rappresentare la mia nazione, che non posso rappresentare l’Italia, in un servizio di missione?”. Gli studenti del terzo anno sapevano del mio problema, e pregavano, ma io non lo sapevo. Tutto ad un tratto ho detto: “Gesù! Gesù!” E in quel momento incominciai a parlare, in una maniera calma, in una maniera meravigliosa, e dopo incominciai a cantare; invece di fare una cosa ne feci due, parlare e cantare. Quando finì, tornai al mio banco e dopo che mi ero reso conto di quello che avevo fatto incominciai a tremare tutto, ma era troppo tardi. Il miracolo di guarigione era già iniziato. Quando Dio tocca, Egli ti da quello che tu hai bisogno e quello che il tuo cuore desidera.

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