Pecore smarrite

 

“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono…” (Giovanni 10:27).

La pecora è uno degli animali non molto intelligenti, però ha una buona memoria. Le pecore amano starsene tranquille nei prati e, nonostante l’abbondanza delle erbe da brucare nelle praterie che hanno a disposizione, ogni tanto tentano di mangiare le erbette sui giacigli delle montagne allontanandosi senza fare attenzione dove mettono le zampe. Quando si trovano in pericolo, incominciano a belare. Il bastone del pastore, se ci fate caso, è molto più lungo di un bastone normale ed è molto ricurvo da un lato: il cosiddetto manico. Quando la pecora sui margini di un monte rischia di cadere, le si agita il cuore, essa si blocca, bela del continuo, e non va né avanti né indietro. La pecora ai bordi di un precipizio, assomiglia a quei cristiani che si allontanano dalle immense praterie per cibarsi in luoghi pericolosi, e a differenza della pecora, che sa di essere in pericolo e bela perché il pastore la senta e la riconosca, alcuni credenti non riconoscono il pericolo, altri invece, non sanno più gridare a Dio e si convincono di essere abbandonati. Alcune scelte, alcune convinzioni, possono portarci lontano dall’ovile sicuro per andare in cerca di erbe che poi risulteranno amare. Il pericolo, sinonimo di peccato, non ha un brutto aspetto ai nostri occhi, altrimenti lo eviteremmo, anzi ci attrae; come pure, a volte, ci convinciamo che non ci sono soluzione per il nostro matrimonio, per i rapporti con la famiglia e gli amici, o con la chiesa stessa perché incapaci di subire qualche torto, e come sciocche pecore cerchiamo soluzioni in altri luoghi, e quando una catastrofe si abbatte sulla nostra vita non sappiamo neanche belare come fa la pecora: rimaniamo talmente impauriti che si aspetta che altri ci salvino dal precipizio, che altri gridino a Dio per noi.
Quando il pastore sente il belare della pecora, sa che essa ha bisogno di aiuto, aiuto che non tarderà ad arrivare, perché il pastore mai vorrebbe perdere la sua pecora, e una volta trovata, l’afferra con il suo bastone attirandola a sé, fuori da quel pericolo.
Questa similitudine viene raccontata nella bibbia per identificare noi credenti come pecore, e Gesù come il buon pastore che si prende cura di noi. Quando Gesù sente qualcuno che grida a Lui, che riconosce il pericolo in cui si trova, e il pentimento di essersi allontanato dal gregge per aver fatto di testa propria senza analizzare in quale brutta situazione si è andato a cacciare, Egli ascolta il grido, riconosce la sua pecora e corre in suo aiuto. Notate che la pecora non viene tirata dolcemente, ma subisce uno strattone perché impietrita sulla soglia del precipizio.
Nonostante tutto ciò, la pecora è un animale docile, inoffensivo, tenero, buono: tutti attributi che dovrebbe avere il cristiano.
Una volta vidi una scena bellissima. Ero in aperta campagna con degli amici, e due greggi, che venivano da parti opposte, si unirono agli abbeveratoi. I due gruppi di pecore si mischiarono fra di loro, mentre i due pastori del gregge conversavano e fumavano tranquillamente al fresco in attesa che le pecorelle si dissetavano. Dopo quasi mezz’ora, un pastore si alzò e salutò l’altro, poi con un suono della sua bocca richiamò le sue pecore. Immediatamente il gregge del pastore si separò dall’altro come cosa normalissima. Perché avvenne ciò? Perché le pecore conoscono la voce del pastore. La pecora ha il privilegio del buon pastore, Egli, quando raduna le sue pecore per metterle al sicuro per la notte, le conta, e se ne manca una non si accontenta di averne novantanove, va in cerca della pecora perduta, perché è sua, gli appartiene, e quando sente il suo belare, sa che essa è in pericolo, e nel trarla fuori dal precipizio, strattonandola con il suo bastone perché si muova verso di lui, rischia di farle male, ma salverà sicuramente la sua vita. Ecco perché, a volte, ci sentiamo abbandonati, perché siamo noi ad esserci allontanati anche senza sapere come; a volte ci sentiamo colpiti, ma Dio cerca di afferrarci per sottrarci al pericolo, e in quel gesto rischia di farci male, ma Egli non permetterà che la pecora si perda per sempre.
Nel mondo da mille religioni, ognuno crede di essere pecora appartenete al Pastore, ma Gesù fu ben chiaro quando espresse che sarebbero venuti dei falsi pastori, falsi cristi e falsi profeti, e solo chi conosce il vero pastore, solo chi conosce la Sua voce, la Sua parola, sa che può fidarsi di Lui e seguirlo senza timore.
“In verità, in verità vi dico che chi non entra per la porta nell’ovile delle pecore, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Ma colui che entra per la porta è il pastore delle pecore. A lui apre il portinaio, e le pecore ascoltano la sua voce, ed egli chiama le proprie pecore per nome e le conduce fuori. Quando ha messo fuori tutte le sue pecore, va davanti a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Ma un estraneo non lo seguiranno; anzi, fuggiranno via da lui perché non conoscono la voce degli estranei” (Giovanni 10:1-5).
I falsi dottori e pastori chiudono la porta del regno e pascono loro stessi. Questi si riconoscono dai loro frutti, perché deformano, a proprio piacimento, gli ordini del buon pastore, la Parola di Dio.
“Ma guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché serrate il regno dei cieli davanti alla gente; poiché non vi entrate voi, né lasciate entrare quelli che cercano di entrare (Matteo 23:13).
Conosci il buon Pastore? Ascolti la sua voce? Ognuno dovrebbe porsi queste domande e analizzare se stesso e fidarsi dell’unico pastore che dà la vita per le pecore. Consiglio la lettura di tutto il capitolo dieci del vangelo di Giovanni, perché l’uomo di Dio riacquisti forza, fiducia e sapienza, e quelli chiusi nelle proprie convinzioni e falsi credo, scoprano chi è il vero Pastore: colui che va avanti alle pecore, la vera e sola guida che Dio ha destinato a un mondo di peccatori perché siano portati nella giusta via, la via della salvezza.

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