“L’empio…prepotente” (Giobbe 15:20)

Il peccatore vive sempre con rimorso e subisce una rovina angosciosa per il suo peccato di autodivinazione, in pratica l’orgoglio che lo ha illuso di essere simile a Dio. Stende la mano contro Dio, e sfida l’Onnipotente. Non fa altro che compiacersi di sé stesso, pensando di saperne di più, ma non capisce di essere votato al suicidio. E non si rende conto di non possedere il sapere necessario per prendere le giuste decisioni, perché non sviluppa una forte base morale nella vita. Spesso è quasi impossibile identificare il peccato dell’orgoglio, specialmente nei suoi stadi iniziali. Come per esempio il diritto, che oggi si crede incontestabile, di avere titolo di credere in che cosa vuole, quando vuole e come più gli piace, e che questo non solo vada bene, ma che sia pure lodevole: “l’importante è credere in qualche cosa”, si dice.
Il sentimento di possedere questo diritto è così forte che quando qualcuno si permette di dire che certe cose sono giuste ed altre sbagliate, che alcune sono vere ed altre sono false, che c’è un modo giusto di credere ed uno sbagliato, che c’è una “fede vera” ed una “fede falsa”, allora si rimane scandalizzati come se si fosse detta la più grande bestemmia di questo mondo! “Che arroganza, che presunzione!” si dice.
Questo modo di pensare è entrato oggi anche nel campo cristiano tanto che si è creata una nuova categoria di cristiani, “i cristiani a modo loro”, quei “cristiani” che si riservano il diritto di credere nella “fede che è stata trasmessa una volta per sempre ai santi” (Giuda 3) nella percentuale da loro scelta: “Io credo al 20% della Bibbia; io al 50%, io al 70%”, salvo naturalmente considerare “fanatico” chi ci crede al 100%! Essi dicono: “Io mi riservo il diritto di credere a Gesù, o alla Bibbia, e di ubbidirvi secondo quanto io credo più opportuno e mi conviene”.
Orgoglio nel servizio: appare, ed è percepito, come un fortissimo impegno, zelo pronto al sacrificio, devozione altruistica. Ma ad un certo, esso appare in maniera evidente, chiaramente agli occhi dell’altri non ai propri occhi, agendo come se fosse lui il Salvatore; ci si vanta della propria vita e della propria influenza, dei propri referenti o della propria vita spirituale o ancora delle proprie capacità umana, e registra le proprie vittorie. L’orgoglio porta a pubblicizzare le notizie dei successi, a presentare il il curriculum vitae, a raccontare storie che fa applaudire la folla, a considerare il servizio che si sta svolgendo debole e insignificante, e quindi spinge a “buttarci” in un campo dove svolgere un servizio che potrà farci salire sempre più in alto. Ci porta, infine, a cercare le novità, un qualcosa che sia moderno e di moda, e vale anche per le evangelizzazioni, se no non si converte nessuno e giustifica questa tendenza per il blasfemo detto che l’occhio e l’orecchio vuole la sua parte. Paolo e Sila pregando, cantavano inni a Dio per offrire il loro culto a Dio, ma è stata la parola, detta da Paolo, che ha impedito al carceriere di uccidersi e a far sperimentare la salvezza portandolo a credere nel Signore Gesù. (Nessuno se ne è accorto…il carceriere, mentre loro pregavano e cantavano inni a Dio, stava dormendo…si svegliò dopo la scossa…mica li ha uditi cantare… Oppure, peggio ancora, era sveglio ma si sarà addormentato mentre loro cantavano
E non si parla di altri carcerati che si sono convertiti, pur udendoli pregare e cantare)
Quindi, la fede viene dall’udire la parola di Dio e la salvezza dal andare alla croce. Spiritualmente parlando, non è assolutamente vero che “tutte le strade portano a Roma”. Una sola è la Via, la Verità e la Vita, ed è Cristo Gesù. Questo attrarre la gente a noi stessi, e con l’invito di altri, per mettere in mostra i propri doni…
Fuggiamo da queste tentazioni.
Andiamo avanti.
Il peccato porta ad una condizione di benessere e sazietà materiale, che assume le sembianze di un atteggiamento borioso, di compiaciuta autosufficienza; ma se si considera la breve durata, è una falsa sicurezza. La ricchezza in sé è instabile e destinata a passare in fretta; come la pianta inaridisce e il fiore avvizzisce, la sterile prosperità è destinata a finire, e non ci si arricchirà mai fino a dire “basta”. Si può avere cibo e abbondanza ma, anziché essere fonte di nutrimento e piacere, è un’occasione di autodistruzione e morte. Proprio il cibo e l’abbondanza ci porta alla paura, all’angoscia, all’ansietà, alla preoccupazione e all’infinita insoddisfazione. Si va peregrinando in continua ricerca del pane; dove trovarne?
Nulla si costruisce su ciò che è fondamentalmente instabile, e se lo si fa, è pura illusione pensare che potrà rimanere qualcosa. Per quanto grandi possano essere le ambizioni umane, esse sono miseramente destinate a crollare.
“L’empio produce ingiustizia, concepisce malizia, partorisce menzogna” (Salmo 7:15), ed è causa della propria rovina e il responsabile del sovvertimento morale del mondo. L’empio sperimenta una gioia di breve durata, la sua esultanza non è che transitoria, e alla fine non potrà sottrarsi al completo annientamento; il destino dell’empio è come quello dello sterco che viene spazzato via per sempre, si disperderà nel vuoto scomparendo per sempre dalla vista. L’empio non può dormire se non ha fatto del male; il sonno è lui tolto, se non ha fatto cadere qualcuno. Il piacere quasi sensuale del male è reso con grande efficacia dall’immagine della lentezza con cui viene trattenuto e gustato ciò che si ha in bocca. È come se l’empio provasse, ogni volta che compie azioni malvagie, l’impagabile dolcezza di quei deliziosi momenti e volesse che non finissero mai, ma la malignità di quel cibo dall’apparente dolcezza in bocca muta sostanza una volta nello stomaco e diventa un veleno mortale. Così sono le attrazioni e l’attaccamento al male: un pericolo di morte.
In realtà l’empio è incapace di conservare le proprie sostanze e di godersele fino in fondo, perché arriverà il momento in cui dovrà restituire ciò che ha sottratto e dare ciò che è in possesso. Non pensiamo che il comportamento dell’empio non ci riguarda, perché nella nostra vita è presente tutta questa tendenza a tutto ciò che è male, che si tratti anche di un atteggiamento arrogante, di azioni peccaminosi o di linguaggio e modo di fare licenzioso.
Nella nostra vita il bene e il male coesistono come in un’instabile antitesi. Mettiamo insieme l’adorazione per Dio con il compimento di atti peccaminosi. Esaminiamoci prima di considerarci innocenti.

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