COMMENTI SUI VERSETTI DEL VANGELO DI GIOVANNI CAPITOLO 1 VERSETTI 1-5 PRIMA PARTE DEL CAPITOLO

1. L a persona di Cristo
Giovanni 1:1-5
Iniziamo il nostro studio dell’incarnazione di Gesù Cristo esaminando la sua grandiosa e ineguagliabile identità. Nell’osservare alcuni dei fatti più importanti riguardo alla sua persona, inizieremo in questo capitolo con i primi cinque versetti del Vangelo di Giovanni, una gemma letteraria che offre in sintesi la migliore presentazione e descrizione di Gesù Cristo di tutte le Scritture. James Smith, in Handfuls on Purpose, scrisse: «Le prime parole di questo capitolo [di Giovanni] sono tra le più profonde mai scritte da un essere umano». William Hendriksen, parlando di questi primi versetti, disse giustamente: «Questo Vangelo inizia in modo maestoso». Questi cinque versetti, che partono prima che il tempo fosse e arrivano al rifiuto del Cristo da parte degli uomini sulla terra e alla sua vittoria sul male, sono una dichiarazione classica della sua identità. Il modo in cui dichiarano alcune delle verità più essenziali sull’identità della seconda Persona della Trinità, che «è stata fatta carne ed ha abitato per un tempo fra noi» (Giovanni 1:14) per essere nostro Salvatore, ne fa un gioiello inestimabile. Le verità contenute in questi cinque versetti riguardo a Gesù Cristo sono pietre basilari della dottrina di Cristo. Chi li travisa avrà una dottrina di Cristo erronea, che non si conformerà ai codici dottrinali della verità divina. Dobbiamo comprendere questi versetti correttamente, o la nostra dottrina riguardo a Cristo, a Dio, alla salvezza e a tutto il resto sarà seriamente compromessa.
Le informazioni su Gesù Cristo contenute in questi cinque versetti indicano di lui tre importanti relazioni, che danno una grandiosa presentazione della sua persona:
la sua relazione con Dio (Giovanni 1: 1, 2),
con l’universo (Giovanni 1:3) e
con l’Evangelo (Giovanni 1:4, 5).
A. LA SUA RELAZIONE CON DIO
I primi due versetti del nostro testo iniziano con la relazione di Cristo con Dio. È un ottimo punto di partenza per sapere chi è davvero Gesù Cristo. Notiamo qui l’eterna esistenza di Cristo, la dimora di Cristo, la divinità di Cristo, la definizione di Cristo e la ripetizione riguardo a Cristo, che dimostrano appunto la sua relazione con Dio.
1. L ’eterna esistenza di Cristo
«Nel principio era la Parola» (Giovanni 1:1). La primissima frase del Vangelo di Giovanni indica la durata dell’esistenza di Cristo, che è eterna. L’esistenza eterna è un attributo di Dio, e quindi l’eternità di Cristo dimostra che egli è Dio – una verità esplicitamente dichiarata nella terza frase di questo versetto. L’esistenza eterna di Cristo in questa prima frase del primo versetto è messa chiaramente in risalto in due modi: nell’espressione temporale contenuta nel versetto e nel tempo verbale.
L’espressione di tempo contenuta nel versetto. Il «principio» di cui parla il testo è l’inizio del creato e non di Cristo. È lo stesso «principio» di Genesi 1:1. «Il principio di cui parla qui Giovanni può essere solo quello con cui Mosè iniziò la sua narrazione [Genesi]» (Godet). L’esistenza eterna di Cristo è evidente in questo «principio» perché il nostro testo indica che, in quel momento, Cristo esisteva già e che quindi la sua esistenza non ha limiti temporali. È eterno. Il tempo del verbo «era» riguardo a «nel principio» sottolinea questa verità, come vedremo in breve.
Il «principio» è il momento più remoto del tempo misurato, ma non indica eternità, che non può essere misurata in termini temporali. Il tempo è solo un segmento dell’eternità, la quale non ha inizio né fine. Cristo, essendo eterno, non ebbe inizio al principio del tempo che, così come lo conosce il genere umano, cominciò con la creazione dell’universo. La mente umana, essendo finita, trova ovviamente molto difficile comprendere l’eternità, perché pensa solo in termini di tempo.
Noteremo che c’è una differenza importante nel modo in cui la frase «nel principio» è usata da Mosè e da Giovanni. Tale differenza si trova nel testo che segue immediatamente l’espressione “nel principio”. Mosè e Giovanni “dal principio” vanno in direzioni opposte. Mosè fa seguire a “nel principio” ciò che accadde dopo il principio («Dio creò») e Giovanni ciò che accadde prima, vale a dire, Gesù Cristo «era».
Il tempo verbale. Il verbo tradotto «era» tre volte in Giovanni 1:1 (e una in Giovanni 1:2) ha un ruolo importante nel confermare l’esistenza eterna di Gesù Cristo. Questa conferma si trova soprattutto nel tempo di questo verbo, cioè l’imperfetto, che «denota un’azione continua nel passato» (Machen). Riguardo a Cristo, significa che Cristo esisteva continuamente già prima del «principio». Non ci fu mai un principio per Cristo, che è sempre esistito. «È prima di ogni cosa» (Colossesi 1:17). Per questo poteva parlare della «gloria che avevo presso di te [Dio] avanti che il mondo fosse» (Giovanni 17:5). Prima ancora della creazione, Cristo esisteva già. Le sue «origini risalgono ai tempi antichi, ai giorni eterni» (Michea 5:2). In questo senso è il «Vegliardo» (Daniele 7:9,13,22).
Il termine greco tradotto «era» nel versetto 3 del primo capitolo di Giovanni è diverso dal termine greco tradotto «era» nei primi due versetti, e significa “mettere in esistenza”. È interessante notare, però, che il termine greco tradotto «era» nel versetto 4 è lo stesso che si trova nei versetti 1 e 2. Cristo è sempre stato vita e luce (l’«era» del versetto 4), ma il creato non è sempre esistito (l’«era» del versetto 3).
L’esistenza eterna di Cristo è un’importante verità biblica. Negarla vuol dire negare la verità scritturale. Se uno, nonostante questo testo, afferma che le Scritture non insegnano l’esistenza eterna di Cristo, si può dire che le parole non hanno significato. Non si deve mai pensare che Gesù Cristo sia esistito solo dal momento della nascita terrena. Al contrario, è esistito in eterno. Alla sua nascita a Betlemme, circa duemila anni fa, iniziò ad esistere solo «in carne».
2. L a dimora di Cristo
«La Parola era con Dio» (Giovanni 1:1). Questa frase parla della dimora di Dio Figlio con Dio Padre. Si nota qui l’intimità della dimora, l’individualismo nella dimora e l’ispirazione che si trae dalla dimora.
L’intimità della dimora. Questa dimora della Parola «con Dio» era molto intima e benedetta. La parola chiave nel nostro testo, che dimostra l’intimità di questa dimora di Cristo con Dio Padre, è il termine greco pros, tradotto qui «con». La preposizione pros, nel caso accusativo, come qui, indica più di una semplice «prossimità o vicinanza, indica un’unione e comunione vivente. […] Giovanni afferma che la Parola divina non solo dimora con il Padre dall’eternità, ma era in comunione o relazione attiva e vivente con lui» (Vincent). Per mettere in risalto l’intimità espressa da questo «con», Hendriksen traduce: «La Parola era faccia a faccia con Dio», e aggiunge: «significa che la Parola esisteva in relazione più che mai intima con il Padre». Quindi «dall’eternità c’era un’unione intima e ineffabile [di una beatitudine e santità indescrivibile] tra la prima e la seconda Persona della beata Trinità, tra Cristo la Parola, e Dio Padre» (Ryle). Cristo mise in luce quest’intima relazione quando disse: «Io sono nel Padre e […] il Padre è in me» (Giovanni 14:10,11) e «Io ed il Padre siamo uno» (Giovanni 10:30).
Giovanni 1:18 parla di Cristo come «l’unigenito Figliuolo, che è nel seno del Padre». La frase «nel seno del Padre» indica certamente l’intimità della relazione di Cristo «con» Dio. Proverbi 8:30 mette in luce questa intima dimora di Cristo, il Figlio di Dio, con il Padre celeste quando dice: «Io ero presso di lui come un artefice, ero del continuo esuberante di gioia, mi rallegravo in ogni tempo nel suo cospetto».
L’individualismo nella dimora. «La Parola era con Dio» è un’affermazione molto forte che conferma il fatto che Cristo, il Figlio di Dio, è una Persona distinta da Dio Padre. Cristo (la Parola) è realmente un individuo distinto. Questa affermazione è un riferimento importante a ciò che definiamo la Trinità, e indica che, pur essendo un solo Dio, la Trinità è composta di individui distinti. «Dobbiamo essere pienamente convinti che il Padre e il Figlio sono due Persone distinte della Trinità […] eppure sono un’unica sostanza e inseparabilmente unite e indivise» (Ryle). Forse non comprendiamo pienamente come ciò possa essere, ma le Scritture lo insegnano e quindi dobbiamo crederlo. Gli apostati negano questa verità, ma non si può negare la Trinità e credere alla Bibbia. Non sorprende quindi che gli apostati non credano alle Scritture.
L’ispirazione tratta da questa dimora. Se si considera che la relazione di Cristo, il Figlio di Dio, con Dio Padre è così beata e intima, «l’incarnazione appare più chiaramente un atto di amore incomprensibile e di infinita condiscendenza » (Hendriksen). Se la relazione di Cristo, il Figlio, con Dio Padre era così intima, che enorme sacrificio ha fatto Cristo incarnandosi e provvedendo un riscatto per il peccatore! L’incarnazione di Cristo per la salvezza delle nostre anime è una benedizione divina. Se Cristo ha sacrificato tanto, quanto deve ispirarci questo pensiero a sacrificarci per lui! Se Cristo rinunciò al conforto e alla gioia della sua relazione celeste con Dio Padre per venire sulla terra per salvare le nostre anime, dobbiamo essere disposti a rinunciare per un breve tempo ai conforti che abbiamo in questa vita per servire la Chiesa e Cristo. Forse alcuni non apprezzeranno tutta questa enfasi dottrinale sulla persona di Cristo, ritenendola noiosa e inutile, ma questa dottrina non è noiosa per la mente spirituale, che è davvero interessata a esaltare Cristo. Tale dottrina è assolutamente vitale per comprendere e trarre ispirazione dal fatto che Cristo dimostrò un amore e un’umiltà incomprensibili nell’essere disposto a incarnarsi per essere il nostro Salvatore. Una scarsa conoscenza dottrinale porta a una limitata opinione di Cristo, che a sua volta genera una devozione carente. Quando invece consideriamo attentamente Chi è questa Persona incarnata, la nostra devozione sarà molto più intensa. È un pensiero che ispira una vita elevata e santa per Gesù Cristo. Il Vangelo a buon mercato predicato in molte chiese odierne, il quale presta poca attenzione allo studio serio della dottrina riguardo all’identità di Cristo e a tutto ciò che ha lasciato per salvarci, infonde poca devozione per Cristo nei loro membri. Questi vengono indotti a servire la Chiesa mediante espedienti dozzinali e non mediante le stupende verità riguardo a Gesù Cristo.
3. L a Divinità di Cristo
«La Parola era Dio» (Giovanni 1:1). Questa frase dichiara l’importantissima verità che Gesù Cristo è realmente Dio. Ci sono poche dottrine altrettanto importanti. Questa verità è così importante che «la Divinità di Cristo, se di- screditata, causa il crollo del Cristianesimo» (Irvine). Osserviamo la chiarezza di questa verità, il travisamento di questa verità, e la proclamazione di questa verità.
La chiarezza di questa verità. «La Parola era Dio» è una dichiarazione molto chiara della divinità di Gesù Cristo. Non si può affermare in termini più chiari che Gesù è Dio. La Divinità di Cristo è insegnata già all’inizio del primo versetto del Vangelo di Giovanni, tanto che si può dire che la frase «la Parola era Dio» è la terza dichiarazione della sua divinità in questo versetto. Le prime due frasi («nel principio era la Parola» e «la Parola era con Dio») lasciano intendere chiaramente che Gesù era Dio, insegnando l’esistenza eterna di Cristo e che Cristo era parte della Trinità, ma questa terza frase dichiara questa verità in maniera ancora più esplicita, in modo che chi non l’ha riconosciuta nelle prime due frasi non abbia più scuse. La chiarezza di questa frase sulla Divinità di Cristo ci ricorda che le verità importanti che Dio vuole farci conoscere sono tutte espresse molto esplicitamente nelle Scritture e chi non le riconosce non ha scuse.
Il travisamento di questa verità. Nonostante la semplicità del nostro testo, molti rifiutano di accettare la verità della divinità di Gesù. Il Vescovo anglicano Ryle disse: «Sostenere, nonostante questo testo, […] che il nostro Signore Gesù Cristo era solo un uomo è una triste dimostrazione della perversità del cuore umano». Ci sono, purtroppo, molte prove di questa perversità del cuore umano che negano la Divinità di Cristo. Gli Unitari sono così contrari alla Divinità di Cristo che «insegnano [che] adorare Cristo è idolatria» (Irvine). I Testimoni di Geova di oggi disprezzano tanto la dottrina della Divinità di Cristo che hanno una propria traduzione della Bibbia in cui distorcono il significato dei termini greci per fare di Cristo una creatura. Qualche anno fa, Harry Emerson Fosdick, un ministro apostata distintosi per il suo rinnegamento non per la fede, in un suo libro, La speranza del mondo, scrisse un capitolo intitolato: «Il pericolo di adorare Gesù», manifestazione del suo odio per la dottrina della Divinità di Cristo e della sua stoltezza spirituale nel pensare che adorare Gesù rappresenti un pericolo.
Uno dei motivi principali per cui certe persone odiano la dottrina della divinità di Cristo è che sottolinea il fatto che Gesù Cristo è Signore sugli uomini. Gli uomini si ribellano sempre all’autorità di Gesù Cristo. Rifiutano sempre di prostrarsi a Lui come loro Signore. Ma tutti prima o poi lo faranno, perché Paolo disse: «Nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio […] ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre» (Filippesi 2:10,11). Anche se tutti prima o poi si prostreranno di fronte a Cristo, non per tutti sarà un atto salvifico. Per alcuni sarà una condanna. Ogni anima che va all’inferno si prostrerà di fronte a Cristo, ma sarà troppo tardi. Il Cielo è solo per chi si prostra davanti a Cristo in questa vita terrena.
La proclamazione di questa verità. La Bibbia ripetutamente insegna che Gesù è Dio. Isaia 7:14 disse che sarebbe stato chiamato «Emmanuele» che, come leggiamo in Matteo 1:23, significa «Dio con noi». Cristo dichiarò la sua divinità senza esitazioni e senza vergogna. In Giovanni 8:58 disse: «In verità, in verità vi dico: Prima che Abramo fosse nato, io sono». Gli Ebrei capirono che, con quella affermazione, Gesù dichiarava la sua divinità, poiché cercarono di ucciderlo per averla proclamata (Giovanni 8:59). Quando Cristo disse: «Io ed il Padre siamo uno» (Giovanni 10:30), «i Giudei presero di nuovo delle pietre per lapidarlo» (Giovanni 10:31) e dissero che lo facevano «per bestemmia; e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio» (Giovanni 10:33). Paolo disse che Cristo era «in forma di Dio» (Filippesi 2:6) prima della sua incarnazione e definì Cristo: «Colui che è stato manifestato in carne» (1Timoteo 3:16). Nella Bibbia la verità della divinità di Cristo è proclamata più che adeguatamente. Non c’è scusa per non conoscerla o per respingerla.
«Nel principio era la Parola, e la Parola era con Dio, e la Parola era Dio» (Giovanni 1:1). Tre volte nel nostro testo, Cristo è definito «la Parola». È una solenne definizione. Nell’esaminarla, considereremo i passi in cui viene menzionata, il suo significato e la sua manifestazione.
I passi in cui viene menzionata. Nessun altro autore del Nuovo Testamento usa il termine «Parola» per indicare Cristo. L’Apostolo Giovanni lo usa sei volte: tre nel primo versetto del suo Vangelo, una in Giovanni 1:14 («la Parola è stata fatta carne»), una in 1Giovanni 1:1 («la Parola della vita») e una in Apocalisse 19:13 («il suo nome è: la Parola di Dio»). «Molti pensano che l’espressione ‘la Parola’ sia usata [anche] in diversi brani dell’Antico Testamento riguardo alla seconda Persona della Trinità: Salmi 33:6; 107:20; e 2Samuele 7:21 (cfr. 1Cronache 17:19). Le prove sono, in ognuno di questi casi, dubbie, ma l’idea è convalidata dal fatto che negli scritti rabbinici, il Messia è spesso chiamato ‘la Parola’. Nel terzo capitolo di Genesi, la parafrasi caldea dice che Adamo ed Eva ‘udirono la Parola dell’Eterno che camminava per il giardino’ [Genesi 3:8]» (Ryle). Anche se questa definizione non è usata molto spesso nelle Scritture, rimane una definizione molto significativa e appropriata, come vedremo nei punti che seguono.
Il significato della definizione. Le parole rivelano il pensiero di chi parla. Per essere conosciuto, un pensiero dev’essere espresso in parole. Chiamare Cristo «la Parola» o, più pienamente, «la Parola di Dio» (Apocalisse 19:13) significa che Cristo è il grande rivelatore e portavoce di Dio. Cristo rivela e manifesta il pensiero di Dio all’uomo. Ebrei 1:1,2 lo conferma, dicendo: «Iddio […] in questi ultimi giorni ha parlato a noi mediante il suo Figliuolo». Questa definizione di Cristo come «la Parola» è legata all’affermazione di Cristo stesso, quando disse: «Io son l’Alfa e l’Omega» (Apocalisse 1:8; 21:6).
Alfa e Omega sono la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco (in italiano diremmo che Cristo è la A e la Z). Tutte le parole sono composte da lettere contenute tra la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto. Il fatto che Cristo era l’Alfa e l’Omega mette in luce la sua opera come «la Parola» che rivela Dio e il fatto che «in lui abita corporalmente tutta la pienezza [come tutte le lettere] della Deità» (Colossesi 2:9).
Dato che Cristo è definito «la Parola», spesso e giustamente lo chiamiamo “la Parola incarnata” in contrasto con “la Parola scritta”. Sia la Parola incarnata che la Parola scritta svolgono la stessa funzione, cioè rivelano il pensiero di Dio al genere umano. La Parola incarnata lo fece parlando e agendo; la Parola scritta lo fa con caratteri e lettere.
La manifestazione della definizione. Nel Vangelo di Giovanni si trova un testo che manifesta davvero l’opera di Cristo come «la Parola», cioè Giovanni 1:18, che dice: «L’unigenito Figliuolo […] è quel che l’ha fatto conoscere [Dio Padre]». Il termine greco tradotto «fatto conoscere» in questo testo esprime bene l’opera della «Parola». È da questo termine che deriva la parola “esegesi”. Ogni predicatore che abbia studiato il greco conosce il termine “esegesi”, che significa “spiegare, far conoscere”. G. Campbell Morgan disse: «L’esegesi è l’atto autorevole di rendere visibile una verità già presente, che non si era notata prima. Gesù è l’Esegesi di Dio. Per mezzo di lui ciò che gli uomini non avevano visto divenne visibile. A volte si dice che i predicatori offrono un’esegesi (o esposizione) delle Scritture, quando insegnano o predicano la Parola. Ciò significa che esaminano un testo scritturale e ne rivelano il significato agli altri. È quello che ogni predicatore deve fare tutte le volte che predica o insegna. Abbiamo bisogno di più esegesi dal pulpito, invece di tanti intrattenimenti. Al contrario dell’esegesi, gli intrattenimenti non spiegano, né rivelano le verità scritturali. La maggior parte delle persone però, preferisce gli intrattenimenti all’esegesi e troppi predicatori si conformano ai desideri degli altri invece di fare la volontà di Dio.
«Essa era nel principio con Dio» (Giovanni 1:2). Il versetto 2 nel nostro testo non aggiunge nuove informazioni, piuttosto ripete semplicemente ciò che era già stato detto al versetto 1. Non è una ripetizione accidentale, ma intenzionale. Giovanni usa spesso intenzionalmente la ripetizione nel suo Vangelo (come pure nelle sue epistole). Al versetto 4, vedremo di nuovo una ripetizione, quando Giovanni parla di Cristo e della creazione. La ripetizione delle verità serve a dimostrarne la certezza, l’importanza e la chiarezza. Nelle Scritture, essa intende sempre sottolineare una di queste tre qualità.
Abbiamo bisogno di ripetizioni nella nostra vita spirituale per la certezza dell’eternità, per l’importanza della nostra vita spirituale e per la necessità di chiarezza (o visibilità) della nostra testimonianza per Cristo. Dobbiamo leggere le Scritture ripetutamente. «Se perseverate nella mia Parola, siete veramente miei discepoli» (Giovanni 8:31). Dobbiamo pregare ripetutamente, non con vane ripetizioni (Matteo 6:7), ma con una devozione fervente come quella che Paolo dimostrò verso i Colossesi, quando disse: «Non cessiamo di pregare per voi» (Colossesi 1:9). Dobbiamo frequentare il culto con perseveranza, «non abbandonando la nostra comune adunanza» (Ebrei 10:25). Dobbiamo anche dare regolarmente all’opera del Signore. Paolo lodò i credenti di Filippi perché avevano «mandato una prima e poi una seconda volta di che sovvenire al [suo] bisogno» (Filippesi 4:16). Purtroppo ci sono troppe persone nelle nostre chiese che dei propri averi e di se stesse danno solo «una prima volta».
Testo integrale tratto dal volume:
Gesù Cristo:
la sua incarnazione
Studi sul Salvatore
numero uno
Edito e pubblicato in italiano dalla
CASA EDITRICE HILKIA Sito web: www.hilkia.com
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