“…che serve all’uomo guadagnare tutto il mondo, se poi perde o rovina se stesso?” (Luca 9:25)
Ho da parlare di una cosa che può sembrare non c’entri nulla con il verso sopra citato, cioè del desiderio.
Il desiderio è essenzialmente un moto dell’animo tendente ad attuare o possedere ciò che appaga un bisogno, procura un piacere o rappresenta un valore di cui si manchi. Il desiderio è rivolto verso la realizzazione dell’io, o meglio della propria immagine, a partire da quella fisica, dal corpo.
Un altro aspetto riguarda l’esserci, la presenza e diffusione della propria immagine, il comparire.
Il desiderio ci può spingere verso un falso bene, facendo credere che le vere realtà sono il potere e ciò che soddisfa i bisogni primari. Nei momenti decisivi della vita, in ogni momento, siamo di fronte a un bivio: vogliamo seguire l’io o Dio? L’interesse individuale oppure il vero Bene, ciò che realmente è bene? Quante aspirazioni hai? Sono davvero utili? E qual’è il fine?
Vivere desiderando è come in uno stato di mancanza continua, e l’uomo è alla continua ricerca di qualcosa che possa colmare il vuoto infinito che è la sua anima. Spesso, però, lo fa in modo illusorio, tendendo verso il consumo tendenzialmente infinito di realtà finite. Questo tormento affannoso per il consumo lo lascerà sempre insoddisfatto, perché la somma di una serie di elementi finiti non potrà mai dare l’infinito di cui l’anima ha bisogno. Ci si illude che la quantità possa sostituire la qualità, che la molta materia supplisca allo spirito, che il cibo, la droga, il sesso o qualsiasi altra realtà finita, possano diventare il surrogato dell’anima e, così, ci si ingozza fino a morire. Il film La grande bouffe (La grande abbuffata) racconta la storia di quattro amici che decidono di porre fine alla loro vita in una decadente villa parigina, attraverso un’orgia estrema di cibo e di sesso.
La persona bulimica si ingozza di cibo fino a scoppiare, nel tentativo inutile di riempire questo infinito vuoto che tutti noi siamo, oppure l’alcolista che tracanna un bicchiere dietro l’altro, oppure il piviere, un uccello che mangia e che nel contempo evacua. Drogarsi, in italiano, si dice “bucarsi” e che in francese essere alcolizzato si dice “bere come un buco”. Sono immagini queste che rimandano tutte all’infinitudine del desiderio e alla sua inevitabile insaziabilità.
Il desiderio è mancanza, è vuoto, da pensare non come uno stato stabile contrario al pieno, ma come uno stato insaturabile che si svuota man mano che cerchiamo di riempirlo.
Il processo infinito di assunzione di cibo, alcool o droga non potrà mai raggiungere il suo vero scopo, che è quello di saturare un desiderio infinito. Esso è dunque destinato a rimanere un processo irrisolto. Solo un rapporto d’amore con un’altra persona può veramente saturare questo desiderio infinito, e chi può essere questa persona? Dio. Nessun surrogato è in grado di fare altrettanto.
Tuttavia la relazione con un’altra persona deve essere una relazione di vero riconoscimento, per poter veramente saturare il desiderio infinito. Se, al contrario, l’altro viene strumentalizzato, ridotto a mezzo, subordinato a sé, egli viene in questo modo ridotto ad un finito, ad una cosa e, di nuovo, non è più grado di saturare il desiderio infinito. Quindi stiamoci attenti a non strumentalizzare Dio per i propri fini, dando più importanza al successo e ai beni materiali.
A che serve all’uomo guadagnare tutto il mondo, se poi perde o rovina se stesso? Purtroppo si tende a condurre la propria vita conducendo un’esistenza egoistica, appagante, abitudinaria e vana. Assecondiamo i nostri desideri e appetiti crogiolandoci nel benessere, nel lusso, nella comodità. Questo frenetico sforzo per conquistare tutto ciò, ci porta a perdere la nostra vita mancando il vero obiettivo della vita e la profonda soddisfazione spirituale di cui dovremmo godere. A cosa serve se poi lasceremo tutto, per sempre? È peccato permettere a qualcosa e a qualcuno di entrare in competizione con Cristo; le normali sollecitudini della vita diventano sbagliate quando hanno la precedenza su una pronta e totale ubbidienza a Dio. Cristo deve regnare senza rivali nel nostro cuore.
Il termine “desiderio” deriva dal latino “de-siderare” che significa osservare le stelle con attenzione. Dunque il desiderio richiama l’idea di una tensione verso un punto di riferimento da cui dipende qualcosa di importante per noi.
“Stella” può essere un ideale, un interesse, una curiosità profonda.
L’ideale per un cristiano è la fede in Dio, è essere attratto da Dio per chi Egli è, spingendolo ad uscire da sé stesso, a dimenticarsi di sé, per ammirare e amare il suo Dio. L’interesse del cristiano è quello di camminare alla presenza di Dio ed essere integro, e il fare la Sua volontà. La curiosità profonda del cristiano è quella di conoscere Dio.
Quindi, alla luce di quanto detto, troviamo la nostra gioia nel Signore perché Egli solo potrà colmare il vuoto che è dentro di noi. La volontà di Dio non è quello di appagare i nostri desideri nel senso che ci darà tutto ciò che Gli chiediamo, che in fondo sono solo egoistici. Vivere oltre il desiderio è vivere nella gratitudine, e la gratitudine accresce lo stato di gioia. La fiducia e la fiducia proveniente dalla fede ci dicono che possediamo e otteniamo tutto ciò di cui abbiamo veramente e profondamente bisogno per vivere nella gioia. Allora, dipendiamo da Dio o no? Siamo noi disposti a seguire Cristo rinunciando alle cose che la maggior parte degli uomini considera come diritti che non si possono e non si devono rinunciare? Perché abbiamo del vuoto nel nostro cuore quando Dio stesso lo riempie con la Sua presenza? Perché stiamo cercando gioia e soddisfazione in altre cose? Eppure diciamo che Cristo è il tutto per noi. Appunto…diciamo.
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