IL SENSO DELLA VITA, IL SIGNIFICATO DELLA VITA
Senza scomodare troppo gli illustri pensatori intorno alla differenza tra senso e significato (G.Frege), o circa la speculazione filosofica del senso e del significato (da Aristotele in poi), ci si potrebbe anche solo soffermare – molto più modestamente – sui personaggi dello showbiz che influenzano e anche interpretano il sentire comune; alla presentazione del suo ultimo film, infatti, tra le altre Woody Allen ha detto:
“Credo davvero che la vita non abbia senso. …… E le risposte alle grandi domande sono molto, molto deprimenti. Ciò che raccomando – la soluzione che ho trovato io almeno – è la distrazione. E’ tutto ciò che possiamo fare! Ti alzi e ti distrai, con il tuo amore, con la partita di baseball, con il cinema, con il nonsense.”
Il Vasco nazionale, da parte sua, aveva già cantato: “Voglio trovare un senso a questa vita, anche se questa vita un senso non ce l’ha”.
Niente di nuovo sotto il sole. Anche nell’antica Roma, autori come Seneca, Orazio e Lucrezio trattarono nelle loro opere il “taedium vitae”, cioè quella insoddisfazione che nasce dall’incapacità di comprendere il senso della vita, e dalla difficoltà di afferrare qualcosa di grande e indefinito verso cui si prova una frustrante tensione.
Come non ricordare Giacomo Leopardi, quando scrive nei “Pensieri”:”…..il non potere essere soddisfatto da alcuna cosa terrena, né, per dir così, dalla terra intera; considerare l’ampiezza inestimabile dello spazio, il numero e la mole maravigliosa dei mondi…..immaginarsi il numero dei mondi infinito, e l’universo infinito, e sentire che l’animo e il desiderio nostro sarebbe ancora più grande che sì fatto universo”.
E anche il poeta dunque, sfiora una grande verità spiegata nella Scrittura, cioè che in noi risiede innato un profondo desiderio di eternità, un anelito dell’anima che nessuna cosa terrena è in grado di appagare. “Dio ha fatto ogni cosa bella al suo tempo: egli ha perfino messo nei loro cuori il pensiero dell’eternità, sebbene l’uomo non possa comprendere dal principio alla fine l’opera che Dio ha fatta.” (Ecclesiaste).
Senza allargare troppo la questione (che, come abbiamo visto, è iniziata migliaia di anni fa; e non potrebbe esaurirsi ora), con il versetto biblico appena citato si è però introdotta l’unica riflessione possibile in questa brevissima disamina.
E se la visione biblica della vita fosse davvero quella giusta?
E se noi davvero fossimo stati creati per incontrare Dio, conoscere Dio (che è Amore) e riconciliarci con Lui in Cristo, attraverso le pagine della Sacra Scrittura e nella preghiera?
E se il Gesù storico fosse davvero il Cristo Figlio di Dio Salvatore, come è scritto?
E se le infelicità dipendessero davvero soprattutto dalla noncuranza delle cose eterne e dalle “distrazioni” di una vita che preferisce invece vivere come meglio aggrada alle pulsioni e alle emozioni del momento, seguendo la corrente del mondo?
E se davvero dovessimo pentirci dei nostri peccati e credere in Cristo per avere la vita eterna?
Nel Vangelo di Giovanni, Gesù dice: “Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna.”
Possiamo riflettere, possiamo considerare l’ipotesi che la mancanza di senso e di significato nella nostra vita possa dunque davvero dipendere dalla mancanza di un rapporto “personale” con il Signore e dalla mancanza della certezza della vita eterna.
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