“METTITI COMODO”

Un mio caro amico, ha una malattia genetica.

Questa malattia fa sì che egli sia grottescamente obeso.

Non supera un metro e settanta centimetri, ma sembra letteralmente largo quanto è alto.

Mi è stato detto che quando aveva dodici anni pesava già centocinquanta chili.

Ha combattuto con il suo peso per tutta la vita.

Ricordo che alcune volte in cui eravamo seduti insieme, iniziava a piangere dicendo: “So che la gente ride di me”.

Quest’uomo che ha una forte unzione sulla sua vita mi insegnò qualcosa d’importante che voglio condividere con voi.

Il mio amico è così pesante da essere socialmente inibito.

Mi disse: “Ho alcuni cari amici che vorrebbero tanto che andassi a visitarli. Trascorriamo regolarmente del tempo insieme in qualche ristorante, ma vorrebbero che potessi stare nell’intimità della loro casa ed avessi comunione con loro. Pero, io non posso”.

Iniziò a piangere e gli scendevano delle grandi lacrime.

Quel mio caro amico mi disse poi una cosa che mi fece riflettere.

Mi disse: “Quando giungo a casa loro resto un po’ nell’ingresso con il cappello e il soprabito addosso per tutto il tempo. Non me li tolgo mai, finché non ho esaminato la stanza. Ci sono già stato prima”.

Poi mi guardò nuovamente e disse: “Mi sono fatto un’idea. L’ultima volta ho rotto una sedia. Mi rifiuto di sedermi su qualcosa che non possa reggere il mio peso. Esamino la stanza dall’’entrata per non trovarmi più in imbarazzo; altrimenti non li visito”.

Disse: “I miei amici mi dicono in assoluta buona fede e in tutta sincerità: Entra, siediti con noi, prendi un caffè’. Per tutto il tempo in cui sto con loro scruto il soggiorno e la cucina per vedere se questa volta hanno aggiunto qualcosa che possa reggere il mio peso, poiché nella mia visita precedente non c’era nulla che potesse farlo”.

Il mio amico aggiunse con un sospiro: “Quelle visite spesso si concludono in modo triste, perché devo trovare una scusa e dire: “Bene, devo andare, non posso fermarmi”. La verità è che me ne vado soltanto perché nella loro casa non c’è nulla che possa reggermi”.

Con le lacrime agli occhi, mi disse: “Così, entro nella mia auto e piango. Dopo un po’ di tempo, torno nella spe¬ranza di trovare qualcosa su cui sedermi”.

Nell’Antico Testamento, la parola ebraica tradotta con gloria è “kabod”.

Significa letteralmente pesantezza o splendore pesante.

In un certo senso, Dio ha lo stesso problema del mio amico.

Mi domando quante volte la “gloria pesante” di Dio ci abbia visitati ma non sia entrata.

Quante volte Egli resta sull’entrata di servizio delle nostre assemblee, tenendo la Sua gloria nascosta “dal cappello e dal soprabito”, mentre esamina la sala?

Tante volte manca un trono di lode, dove Dio possa sedersi.

Non c’è un posto sul quale Egli possa sedersi!

Ciò che è confortevole per te e per me, non è confortevole per il kabod, lo splendore pesante.

Siamo felici di sederci sulle nostre comode poltrone spirituali tutto il giorno, ma la “sedia di Dio” è un po’ diversa.

Dio sta cercando una chiesa che abbia imparato a costruire un propiziatorio per la Sua gloria.

Allora egli non solo verrà, ma resterà!

Salmo 22:3: “Eppure tu sei il Santo, siedi circondato dalle lodi d’Israele”.

“New American Version”, dice che Dio è “seduto sul trono delle lodi d’Israele”.

Mi è stato detto che la traduzione giapponese del testo originale ebraico di questo versetto dice letteralmente che la nostra lode “costruisce una grande sedia affinché Dio si sieda su di essa”.

Questo significa che Dio viene a dimorare “in mezzo” a noi, quando iniziamo a adorarLo insieme.

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