Davvero abbiamo fede in Dio? Verifichiamo.

Avere fede significa abbandonare il proprio atteggiamento, la propria terra, il proprio pianto; incamminarsi per una via nuova anche se non si sa ancora dove conduce, proprio perché si cammina non fidandoci di una via, che non conosciamo, non fidandoci di noi stessi, perché non sappiamo ancora cosa dovremo fare e come dovremo farlo; ma fidandoci
solamente di Colui che ci conduce, attendendo la Sua rivelazione. La fede, quindi, è camminare ascoltando una parola di Dio e lasciandoci condurre da essa. Anche se si tratta di una obbedienza faticosa, perché espone a dei rischi, incontra delle resistenze personali. Tentiamo di anticipare Dio, anziché ascoltare e seguire la sua parola. Parliamo anziché ascoltare. Ma la fede e
l’obbedienza alla parola del Signore richiedono la pazienza dell’attesa dei Suoi tempi, che non possiamo né anticipare né affrettare. Non è Dio a dover adeguarsi ai tempi delle nostre attese; piuttosto, è la nostra attesa che deve saper entrare nella pazienza dei tempi di Dio.
Spesso torniamo a fidarci dei
propri criteri di giudizio, anziché convertirli a quelli di Dio che, ormai dovremmo iniziare a comprendere bene, sono totalmente differenti dalle logiche umane. Siamo tentati ancora di seguire i propri criteri di giudizio, senza attendere la rivelazione del Signore, cercando anzi di anticiparla. Dobbiamo piuttosto entrare nel diverso sguardo di Dio. Il modo di vedere di Dio è completamente diverso e quindi dovremmo convertire il nostro sguardo, e potremo farlo solo a condizione di ascoltare e obbedire alla parola del Signore, a ciò che Dio ci dirà e al momento in cui vorrà dirlo. È sempre l’ascolto della parola ad aprirci gli occhi e a consentirci di vedere così come Dio vede. Chi non sa ascoltare, o ascolta solo se stesso anziché ascoltare Dio, di fatto rimane cieco.
Lo sguardo di Dio è più profondo. L’uomo guarda all’apparenza, osserva, giudica solo ciò che si vede, mentre Dio non si ferma a ciò che si vede, il Suo sguardo giunge a penetrare nel cuore, nel segreto di ogni persona, nella sua interiorità più intima e nascosta. Dio ci conosce profondamente, fino nel segreto della nostra interiorità, perché ci conosce e ci scruta.
Dio solo sà ciò che occorre per farci crescere. Però, come Giobbe, diciamo: “…il mio lamento è una rivolta”, cominciando a parlare di noi stessi, ponendo dinanzi a Dio la nostra giustizia, e le buone opere che son state fatte, esattamente come Giobbe nel capitolo 29, pensando che avrebbe meritato qualcosa. Infatti c’è un’espressione da lui detta dopo nel capitolo 30 che è: “Speravo il bene, ma è venuto il male; aspettavo la luce, ma è venuta l’oscurità!”. Orgoglioso di sé, insisteva nel suo atteggiamento piagnucoloso ed irriverente per difendere il suo operato.
C’è sempre, sempre, questo presuntuoso diritto di voler ricevere da Dio il contraccambio. “Signore, non hai visto che ho fatto questo? Non hai notato nulla? Perché dunque mi sta accadendo questo? Cosa ho fatto di male?” In questo modo non facciamo altro che moltiplicare le parole contro Dio! Se giudichiamo le vie di Dio, se giudichiamo il Suo modo di agire, il giudizio e la sentenza di Lui ci piomberanno addosso.
Leggete anche Giobbe capitolo 31, l’ultimo dei suoi discorsi, dove fa notare agli altri che non ha nulla da rimproverarsi. La non comprensione dei fatti, le sue risposte piene di boria, la sua aperta ribellione, non facevano altro che condannarlo. Ecco perché alla fine dovette ravvedersi, umiliarsi e pentirsi sulla polvere e sulla cenere.
Il lamento, dunque, è orgoglio.
Dio ha il diritto di fare e di permettere e di dire a ciascuno di noi tutto ciò che vuole, poiché tutto è GIUSTO. La giustizia di Dio, l’Onniscienza di Dio non si discute! Ed è inutile farlo. Poi, non è tenuto a darci delle spiegazioni.
Che c’importa se siamo ridotti in misero stato… usiamo le nostre forze rimaste per magnificare e lodare il nostro Dio! Continuiamo la nostra vita di consacrazione, pensiamo piuttosto a camminare nella santificazione, ed a coltivare sempre più la tua comunione con Dio. Solo nell’afflizione c’è istruzione. Solo nell’oscurità possiamo vedere la luce. Solo nel silenzio c’è l’ascolto.
Che la corrente ci travolga pure, e ben vengano le tempeste!
Ci dica pure di andare nel deserto, ci dica pure come ad Abrahamo: “Và via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e và nel paese che Io ti mostrerò”. È giusto che accada tutto questo!
Chiaro che non siamo costretti a continuare a credere ed a fidarci di Dio. Si può benissimo risponderGli: “No, grazie. Decido io dove andare e cosa fare”, ma non si può continuare a dire di credere a Dio. La fede in Dio dev’essere completa e non solo in parte.
Non continuamo ad opporre resistenza alla Sua parola e all’azione dello Spirito santo e alla manifestazione della Sua potenza. Affidiamoci completamente a Dio dicendo: “Parla, o Signore, poiché il tuo servo ascolta”, e incamminiamoci nelle Sue vie, le cui vie non sono le nostre vie.
La scelta di Dio chiede però sempre la nostra responsabilità, la nostra risposta, che però è autentica solo quando non confidiamo in noi stessi e nelle nostre forze, ma in Lui, e ciò significa che dobbiamo fidarci più delle Sue promesse che dei nostri progetti.
Dobbiamo perciò avere un cuore aperto ad accogliere non solo il Suo perdono, ma anche la Sua parola. La fede ci porta ad obbedire senza esitazione!
Abbiamo davvero fede in Dio? Siamo veramente come argilla nelle Sue mani? Siamo davvero disposti, per fede, a lasciare ogni cosa per Lui? Siamo davvero disposti, per fede, a camminare con Lui senza sapere dove ci vorrà portare?
Da qui si vedrà se si ha fede in Dio per ciò che si ha o per nulla.

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