“Io ti istruirò e ti insegnerò la via per la quale devi camminare; io ti consiglierò e avrò gli occhi su di te.” (Salmo 32:8)

Uno scopo degli ammonimenti e delle sofferenze da parte di Dio è quello di tenere l’uomo lontano dalla superbia. La sofferenza ci fa del bene. Questo è il punto del salmista nel Salmo 119:71:
“È stato bene per me l’essere stato afflitto, perché imparassi i tuoi statuti.”
In realtà, la sofferenza è una parte essenziale della nostra santificazione. È il fuoco di Dio che purifica l’oro della nostra fede; quanto è importante comprendere che le sofferenze per i giusti non sono una punizione, piuttosto sono il fuoco che raffina e purifica il credente.
Il Suo consiglio è sempre sussurrato nell’orecchio dei suoi diletti, e si preoccupa di insegnare ai Suoi figli a camminare nella via dell’integrità. Egli desidera da noi una nuova sensibilità, che ci porterà all’ubbidienza. Si può non peccare? La risposta è sì. Dio ci rivela la Sua parola affinché non pecchiamo. “Dio parla una volta, e anche due, ma l’uomo non ci bada; parla per via di sogni, di visioni notturne, quando un sonno profondo cade sui mortali,
quando sui loro letti essi giacciono assopiti; allora egli apre i loro orecchi e dà loro in segreto degli ammonimenti, per distogliere l’uomo dal suo modo di agire
e tenere lontano da lui la superbia;
per salvargli l’anima dalla fossa,
la vita dalla freccia mortale.” (Giobbe 33:14-18) La mancanza di volontà o di disponibilità a lasciarci guidare dal Signore, è il frutto di un cuore depravato. Il “non posso” equivale ad un “non voglio”; si tratta di una impotenza volontaria. L’impotenza dell’uomo risiede nella sua ostinazione. E’ per questo che tutti sono inescusabili.
Potrebbe sorgere una domanda: perché Dio ci comanda di fare ciò che non siamo in grado di fare? La prima risposta è: perché Dio rifiuta di abbassare i Suoi criteri di giustizia al livello delle nostre peccaminose infermità. Essendo perfetto, Dio deve porre davanti a noi un criterio perfetto di giustizia. Ancora, però, potremmo chiederci: se l’uomo è incapace di conformarsi a ciò che Dio esige da lui, dove sta la sua responsabilità? Per quanto difficile possa sembrare il problema, esso comporta una soluzione semplice e soddisfacente. L’uomo è responsabile 1) di riconoscere davanti a Dio la propria incapacità, e 2) di invocarLo con forza per poter ricevere quella grazia che lo faccia essere capace. È mio preciso dovere riconoscere davanti a Dio la mia ignoranza, la mia debolezza, la mia peccaminosità, la mia impotenza nel conformarmi a ciò che Egli, in modo santo e giusto, mi comanda. È anche mio preciso dovere, come pure mio privilegio benedetto, di implorare di tutto cuore Dio a che Egli mi dia la sapienza, la forza, la grazia, che sole mi possono mettere in grado di fare ciò che Gli è gradito; chiederGli di operare in me “il volere e l’agire, secondo il Suo disegno benevolo” (Filippesi 2:13). Il cristiano è responsabile di invocare il Signore. Supponete che io, ieri sera tardi, sia scivolato sul marciapiede gelato e mi sia rotta l’anca. Non sono in grado di rialzarmi. Se rimango per terra, congelerei a morte. Che fare, allora? Se ho la determinazione di morire, rimango lì a terra in silenzio. Se lo facessi, però, io sarei, di quello, l’unico responsabile. Se, però, desidero essere soccorso, alzerei la mia voce e griderei per farmi sentire ed aiutare. Allo stesso modo il peccatore, benché non sia in grado di alzarsi e di fare il primo passo verso Cristo, è responsabile di gridare a Dio, e se lo fa, di tutto cuore, per lui è disponibile un Liberatore. “Egli non è lontano da ciascuno di noi” (Atti 17:27); “Dio è per noi un rifugio e una forza, un aiuto sempre pronto nelle difficoltà” (Sl. 46:1). Se però il peccatore rifiuta di gridare al Signore, se è sua determinazione quella di perire, allora il suo sangue gli ricadrà sulla testa, e la sua “condanna è giusta” (Ro. 3:8). Quando osserviamo i comandamenti di Cristo, dimoreremo nel Suo amore, e avremo una gioia completa.
Anche il contrario è vero: quando NON osserviamo i Suoi comandamenti, NON dimoreremo nel Suo amore, e NON avremo la gioia.
Andare a Cristo significa riconoscere di essere del tutto privo di titoli al favore divino; significa vedere sé stesso come realmente senza forza, perduto e senza speranza; significa ammettere di non meritare altro che la morte eterna, dando quindi ragione a Dio contro sé stesso; significa cadere prostrato nella polvere di fronte a Dio, ed umilmente implorare Dio affinché abbia misericordia di lui. Per poter venire a Cristo ed ottenere vita, il peccatore deve rinunziare alla propria giustizia ed essere disposto a ricevere la giustizia di Dio in Cristo, basata sulle Sue istruzioni e il Suo consiglio; significa screditare del tutto la propria sapienza ed essere governato dalla Sua.
trovano delusione, inganno, invischiandosi ogni giorno sempre più nella confusione e nella delusione, perché escludono Dio e la Sua eterna Parola, fonte di vita e di felicità, dalla loro vita.
Non siamo stati perdonati per continuare a vivere secondo le nostre passioni, ma affinché possiamo essere educati nella santità e formati per la perfezione. Dovremmo sempre accogliere i consigli e una guida autorevole ed essere pronti a camminare nella direzione indicata dalla saggezza di Dio. Incamminati sul sentiero dell’ubbidienza, certamente la gioia esuberante della sua presenza, anche nella notte più oscura, arricchirà la tua vita. Facciamo attenzione alla stoltezza del cuore, perché ci porta ad inciampare. Camminiamo con umiltà e ubbidienza durante i nostri anni.

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