“ma Dio libera l’afflitto mediante l’afflizione” (Giobbe 36:15)
Sono la falsa moralità e i falsi e sentimenti umani corrotti, contaminati dall’orgoglio, dalla presunzione e dall’egoismo, che danno il senso distorto alla sofferenza. Guardati bene dal volgerti all’iniquità, tu che sembri preferirla all’afflizione. Chi di cuore si abbandona alla collera e non implora Dio quando Egli stesso lo incatena, è un empio.
Sia ben chiaro che se pensiamo che a Dio qualcosa sfugge dal Suo controllo, Egli non sarebbe più Dio. La Sua incapacità di esercitare un controllo assoluto sui fatti, sulle cose e sulle persone, minerebbe alla base la Sua autorevolezza di governatore unico, Signore del cielo e della terra. Al riguardo, il Signore Gesù disse che neanche un passero cade in terra senza il volere di Dio e, per nostra maggiore tranquillità, aggiunse che persino i capelli del nostro capo sono tutti contati (Matteo 10:29-30).
Egli è colui che benedice e maledice (Deuteronomio 28), che innalza e che abbassa (Matteo 23:12), che apre delle porte che nessuno può chiudere e chiude delle porte che nessuno può aprire (Apocalisse 3:7). Il nostro Creatore e Signore detiene il potere e il pieno controllo su tutto il creato anche quando noi non capiamo, Egli rimane glorioso anche quando noi sprofondiamo nel fango delle sabbie mobili senza capirne il perché.
Lo scopo delle riflessioni che seguono è quello di inchinarci umilmente davanti alle vie di Dio e al volere di Dio piuttosto che combatterle o subirle attraverso la lamentela e la critica.
Nell’afflizione, più che in qualsiasi altra situazione, si è portati alla preghiera, perché il cuore è umiliato. Chi rifiuta la sofferenza si conferma nell’errore e rigetta la correzione. Giona non guardò ai marinai che l’avevano gettato in mare ma comprese che era stato Dio a volere che quegli uomini agissero così nei suoi confronti. “Mi hai gettato in un luogo profondo” (Giona 2:4). Giona era confinato nel ventre del pesce, che era diventato la sua prigione, una buia cella chiusa. Tuttavia, in questo luogo Giona era libero di rivolgersi a Dio. In qualsiasi abisso verremo a trovarci, l’autore è Dio. Nella distretta si è stimolati a pregare, ed è proprio per questo che Dio manda l’afflizione. È da chiarire quindi che nella preghiera non ci deve essere il lamento, ma l’adorazione.
Quante volte anziché ascoltare rispondiamo a Dio quando ci parla? Quante volte ci limitiamo a dire di avere fede solo quando più o meno tutto va bene? Perché nella tempesta e nella prova diciamo di non farcela ad andare avanti e Lo critichiamo quando Dio ci è accanto e quindi la Sua forza è sempre a nostra disposizione? CHI ci ha dato il diritto di aprir bocca per affermare che tutto è ingiusto, che la sofferenza è un male?
Critichiamo Dio senza avere un piccolo barlume di comprensione dei Suoi piani; come potremo noi quindi parlare se non conosciamo? Non conosciamo in che modo Dio fa cooperare tutte le cose per il nostro bene. Piuttosto, dovremmo stare in silenzio. Se giudichiamo le vie di Dio come fanno gli empi, il Suo giudizio e la Sua sentenza ci piomberanno addosso. CHI PUÒ OSARE PRESCRIVERGLI LA VIA DA SEGUIRE?
CHI PUÒ OSARE DIRE A DIO: “Tu hai fatto male”?
Ci lamentiamo perché fraitendiamo. Veramente dobbiamo esaminarci ogni giorno, perché c’è sempre il rischio di sviluppare una conoscenza sbagliata delle cose di Dio, ma anche per il pericolo che la nostra conoscenza ospiti il parassita dell’orgoglio. L’orgoglio può attaccarsi alla dottrina e alimentarsene al punto da farci credere che ne fa parte. Ricordiamoci che lo studio della Parola porta, dovrebbe portare, sempre all’umiltà e all’adorazione del Signore. Essa mette in evidenza la grandezza di Dio, mostra che Egli è Sovrano, Santo e Buono. Il vedere la grandezza di Dio e noi come Sue creature, deve, dovrebbe, destare nel nostro essere un sentimento di stupore, meraviglia e mitezza, e ci spinge all’adorazione. Lo studiare la Parola DEVE avere lo scopo di conoscere profondamente Cristo, Dio.
Il potere, la rettitudine e la saggezza di Dio sono all’opera anche nella sofferenza dell’uomo. La sofferenza è educatrice e prepara all’esperienza di una profonda comunione con Dio; è il momento in cui fa giungere l’uomo all’autentica conoscenza di Dio e lo porta ad instaurare con Dio una nuova relazione. La sofferenza svolge un ruolo fondamentale per allontanare l’uomo dal male a cui tende per natura. Solo quando siamo stretti da catene e presi dai legami dell’afflizione, Dio fa noi conoscere il nostro comportamento, le nostre trasgressioni, poiché ci siamo insuperbiti. Dio apre così le nostre orecchie agli ammonimenti e ci esorta ad abbandonare il male. In realtà è tutto un bene. L’educazione concerne una educazione intellettuale, ma fondamentalmente disciplinare perché comprende il castigo, la correzione e il rimprovero. La correzione dolorosa è necessaria, perché ci allontana dalla stoltezza e ci rende saggi. La sofferenza si rivela come il grande strumento pedagogico che Dio usa per educare e per purificare, ed è espressione di amore e bene necessario all’uomo per il raggiungimento di una sapienza che lo orienti in tutta la vita. Spesso non rinunziamo a noi stessi, ai nostri vizi e alle nostre dipendenze; spesso non siamo soddisfatti del necessario che Dio dona; spesso Dio non è il TUTTO; spesso preferiamo agire secondo il nostro volere; spesso ci dimentichiamo di Dio nella nostra vita quotidiana; spesso spendiamo del tempo in chiacchiere profane e inutili che nessun giovamento ci danno. Questo, per esempio, non può essere eliminato se non mediante la disciplina, affinché punito tempestivamente, si è educati a tenerci lontani dai peccati. Un’altro esempio: ci è difficile amare i nostri nemici, a questo punto Dio ci circonda di nemici proprio per imparare ad amarli e benedirli.
L’afflizione si basa sui comandi del Signore e soltanto lo stolto la rifiuta fino alla morte, ed è per lui motivo di disonore e freno alla sua insipienza. Ogni sofferenza è una lezione proveniente da Dio.
Non libera l’uomo dall’afflizione, ma attraverso di essa lo salva.
La lezione è questa: non stiamo facendo scendere in profondità la Parola nel nostro cuore e nella nostra mente. È importante comprendere che usa la sofferenza, l’afflizione, come un mezzo per manifestare e consolidare la nostra fede, per trasformare la nostra vita in modo da somigliare sempre più a Gesù. Affrontare bene la sofferenza vuol dire riporre fiducia in Dio, benedirLo, e guardare a Lui. La tempesta ha il compito di recare abbondanti benedizioni Quando Dio permette alla sofferenza di entrare nella nostra vita come una fiumana, da qui si può vedere chiaramente dove è poggiata la nostra fiducia.
Sii certo del Suo piano in tutte le circostanze spiacevoli e tragiche, e troverai la cura contro le lamentele e rinunzierai a te stesso, alla tua logica, alle tue vedute, ai tuoi diritti. Vuoi diventare come Cristo? Allora devi soffrire, e soffrire nella maniera giusta, senza più aprire vanamente le labbra e accumulare parole irragionevoli.
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