« ■ doni ■ »

(*) Il termine greco tradotto con «dono» (karisma) significa più propriamente «favore», «dono della grazia». In questo testo comparirà quindi sovente come «dono di grazia».
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La Chiesa, in effetti, non potrebbe vivere senza l’esercizio di ciò che la Parola chiama i «doni di grazia». Il «dono» è propriamente una facoltà, o una capacità, donata da Dio a una determinata persona per agire nei confronti degli uomini. Cristo non li lascia mancare alla Chiesa. Egli ha donato, dona e donerà per mezzo dello Spirito Santo, tutto ciò che è necessario e sufficiente, fintanto che essa sarà sulla terra, per nutrirla ed edificarla.

Vi sono numerosi tipi di doni. I vari versetti che trattano l’argomento ci presentano diversi elenchi, ciascuno con un particolare scopo, ma di cui nessuno, ovviamente, è limitativo.

Vi sono, per l’insieme della Chiesa, i doni «in vista del perfezionamento dei santi, per l’opera del ministerio, per l’edificazione del corpo di Cristo» (Efesini 4:11-12). Egli stesso, glorificato come Testa di questo corpo, «ha dato gli uni come apostoli, gli altri come profeti, gli altri come evangelisti, gli altri come pastori e dottori». Si tratta in questo contesto essenzialmente del «servizio della Parola», e ad esso soprattutto ci si deve riferire quando si impiega il termine «ministerio». Quello degli apostoli continua ancora oggi in quanto il loro messaggio fa ora parte degli scritti ispirati. I profeti, secondo i tempi, applicano la Parola di Dio ai bisogni che Dio fa loro discernere nella Chiesa con la risposta che Egli vuole darvi; essi mettono, per così dire, gli uomini in contatto con Dio stesso. Gli evangelisti lavorano fra gli uomini del mondo per trarli fuori e condurli nell’assemblea. I pastori hanno il compito di fornire il nutrimento spirituale opportuno e vegliano sul gregge che è continuamente minacciato dal mondo e da Satana. I dottori espongono in modo sano e chiaro la verità (*).
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(*) Il ministerio degli apostoli continua per mezzo degli scritti ispirati nel Nuovo Testamento. È necessario attirare l’attenzione sui mezzi di edificazione che Dio mette a nostra disposizione mediante scritti, indubiamente non ispirati, ma che racchiudono il ministerio di coloro che sono stato dei veri profeti e dottori, per insegnare e «tagliare rettamente» la Parola. Essi hanno espresso ciò che il Signore aveva da comunicare per il loro tempo e che è utile anche a noi. Si dimentica troppo spesso questo «cibo», dispensato da un ministerio secondo Dio (il «vitto a suo tempo» Matteo 24:45) per leggere qualsiasi altro cosa.
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Il capitolo 12 della 1a Epistola ai Corinzi, che insiste soprattutto sulla sovranità dello Spirito Santo nella distribuzione dei doni, ci ricorda che Dio nella Chiesa ha messo «degli apostoli; in secondo luogo dei profeti; in terzo luogo dei dottori; poi i miracoli, poi i doni di guarigione, le assistenze, i doni di governo, la diversità delle lingue» (v. 28).

I doni che i Corinzi prediligevano tanto, miracoli e lingue, erano dei «segni» per gli increduli (*); in questo capitolo non vengono menzionati gli evangelisti in quanto qui l’apostolo considera le manifestazioni spirituali tipiche di un’assemblea locale, nella sua vita diretta dallo Spirito.
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(*) Detti doni erano usati dai servitori del Signore per accreditare la predicazione del Vangelo, rivelazione del tutto nuova per i Giudei e tanti più per i pagani ; ma non ne è promessa la continuità, come invece è promessa alla fede, alla speranza e all’amore (1 Corinzi 3 :8 e 13). Vediamo inoltre chiaramente che il dono di guarigione non venne mai esercitato a favore di credenti come invece alcuni pretendono di fare (Paolo non guarì né Epafrodito, Fil. 2:27-28, né Timoteo, 1 Tim. 5:23, né Trofimo, 2 Tim. 4:20).
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In Romani 12 troviamo non soltanto il servizio della Parola, ma l’insieme dei «servizi» cristiani, che ci sono presentati come «doni di grazia». Essi vanno dalla profezia, che è limitata ad alcuni, all’esercizio della misericordia che certamente tutti i fedeli, fratelli e sorelle, possono praticare.

Tutti hanno ricevuto e tutti sono esortati a dare. Nello stesso tempo, tutti sono richiamati alla «misura di fede che Dio ha assegnata a ciascuno» per non oltrepassarla, in modo che il corpo intero funzioni armoniosamente.

In 1 Pietro 4:10 -11, la diversità dei doni «della svariata grazia di Dio» è distribuita, dice l’apostolo, a «ciascuno» di voi che siete chiamati ad esserne i «buoni amministratori». Di modo che «se uno parla, lo faccia pure come annunciando oracoli di Dio; se uno esercita un ministerio, lo faccia come con la forza che Dio fornisce». L’amore fervente al quale tutti i fedeli sono invitati, fa si che «si faccia valere al servizio degli altri» i doni di grazia che ciascuno, fratello o sorella, ha ricevuto.

Questi insegnamenti della Parola non debbono restare per noi considerazioni teoriche; la loro portata pratica è di estrema importanza. Vi è una grande diversità di «doni». Noi siamo portati a definire così solo i doni più evidenti, in particolare il ministerio della Parola, e ad apprezzarli nella misura in cui essi sono esercitati in modo brillante o accattivante; ma agli occhi di Dio non vi sono tali distinzioni. Il ministro della Parola è solo un canale, colui che esercita la misericordia è un focolare d’amore. Il più umile servizio nell’assemblea ha sovente più valore di un altro molto più in vista.

Questi «doni» per «l’opera del ministerio» a tutti i livelli conferiscono non un’autorità ufficiale, ma una responsabilità per coloro che ne sono investiti. Essere servitore è essere ciò che è stato Cristo. Pretenderebbe qualcuno di essere più del suo Maestro? «Che hai tu che non l’abbia ricevuto?» (1 Cor. 4:7). Così «chi presiede» o «è preposto» (essere alla testa) non è affatto un capo nel senso in cui lo intendono gli uomini; egli è al pari dei suoi fratelli, ma messo in un posto di responsabilità particolare. Il pericolo, per chi ha ricevuto un dono che potrebbe metterlo in evidenza (come quello di presentare la Parola), è di erigersi a capo e di distogliere le anime da Cristo attaccandole in maniera più o meno consapevole a se stesso. D’altra parte esiste anche per gli altri il pericolo, non meno grande, di adagiarsi passivamente su qualche dono che Dio ha dato e addormentarsi nella «routine», provocando così, forse senza accorgersene, la nascita e il permanere di un clero.

Ciascuno ha un «dono». Ciascuno deve sapere ciò che ha ricevuto dal Signore e obbedirgli, nella dipendenza dello Spirito Santo. Perché il corpo cresca e funzioni, è necessario che ogni membro adempia al suo compito, con serietà, come troviamo in 1 Corinzi 12. Siamo membra gli uni degli altri; è per il bene comune, e non per una nostra soddisfazione personale, che dobbiamo desiderare «ardentemente i doni maggiori» (1 Cor. 12:31). Ma davanti a noi è aperta una via che è «la via per eccellenza», quella dell’amore (1 Cor. 13).

Pensiamo con gioia al fatto che il Signore «dona» per i bisogni della Chiesa che Egli ama; mai cesserà di fornirle i doni necessari. Ma come sono esercitati? e come è ricevuto il loro esercizio da coloro che ne usufruiscono? Nello stato attuale delle cose, molti doni sono perduti perché inutilizzati, anche se ci sono. Questo aspetto dell’impiego dei doni ci viene presentato in Romani 12. Agiamo secondo il dono che ci è stato dato. Se non è cosi è una perdita per tutti. Lo stato attuale della Chiesa mette in evidenza non l’assenza dei doni, ma l’assenza del loro esercizio o il loro cattivo impiego. Timoteo è esortato a «ravvivare il dono di Dio» che è in lui, Archippo a «badare al ministerio» che ha ricevuto nel Signore. Il Signore può dire a tutti noi: «Che cosa hai fatto di quello che ti ho dato?» (*).
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(*) Altro pericolo e quello di exercitare un ministerio senza averlo ricevuto dal Signore o agire come se si avesse ricevuto un dono senza però averlo ricevuto. In questo caso il ministero sarà inconcludente e senza edificazione, e l’assemblea ne soffrirà e non potra crescere (n.d.r.).
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Lungi da noi il pensiero che tutti i doni suscitati attualmente da Dio si trovino tra i fratelli coi quali ci si raduna. E non abbiamo la pretesa di conoscerli tutti. Voglia Dio che, tra noi, non ci sia altra azione che quella dello Spirito Santo che si esercita attraverso i «doni», e che ciascuno agisca nella dipendenza, secondo quanto ha ricevuto dal Signore stesso.

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