Il fariseismo e l’ipocrisia

Il fariseismo e l’ipocrisia ai nostri giorni si manifestano con: comportamenti, modi di pensare, di parlare, di trattare, di confrontarsi con gli altri, di giudicare, di sentirsi i migliori senza esserlo, di osservare tante consuetudini di poco conto, trascurando elementi e valori fondamentali.
Ogni diminuzione della vita del tuo fratello deve essere tolta, si deve imparare a “volere” la vita dell’altro, a essere contento che l’altro ci sia, e a fare quanto è possibile perché la vita dell’altro sia bella e ricca: devi aiutarlo a vivere, per quello che dipende da te. Tutto quello invece che si fa per diminuire la vita dell’altro va contro la volontà di Dio. Se anche la nostra azione non sarà negativa come l’omicidio, tuttavia ogni gesto contro il fratello è negativo. La prospettiva non è più: uccidere o non uccidere, ma volere la vita dell’altro o toglierla, diminuirla. Chi odia è omicida – non dal punto di vista giuridico, s’intende –; davanti al Signore non contano solo i gesti esterni, bensì le scelte interiori. Perciò, se uno vuole effettivamente vivere, deve amare la vita dell’altro, custodirla, non fare alcuna cosa che la ferisca o la diminuisca.
Le parole “stupido” e “pazzo” sono esempi che Gesù fa: è il cuore, la volontà negativa nei confronti dell’altro che noi dobbiamo fuggire. I nostri comportamenti non devono mai essere determinati dalla vendetta.
C’è un primo livello di vita che si lascia dominare dalla violenza, dall’interesse nel senso più deteriore, per cui può capitare di fare il male agli altri per interesse, per affermare se stessi: è la legge della giungla, è egoismo puro.
C’è poi un livello di maggior giustizia e rispetto, per cui l’uomo fa il bene a chi gli fa del bene, e fa del male a chi gli fa del male.
Dobbiamo entrare in una visione diversa della vita, cioè quello di raggiungere un livello più alto, il livello tipico di Dio, dell’amore creativo e gratuito: creativo, perché crea il bene, anche dove non c’è; infatti, “fa sorgere il sole sopra i buoni e sopra i malvagi e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti”. L’unico modo di vincere il male, non è restituirlo, perché, se ricevo il male e lo restituisco, non faccio che lasciare passare il male affinché continui dopo di me; si vince il male perdonando, facendo il bene. Bisogna cominciare a ragionare nell’ottica di amore creativo e gratuito in cui ragiona Dio stesso; Dio si comporta secondo un amore gratuito e noi dobbiamo fare altrettanto: solo così assomiglieremo a Lui. Il cristiano assomiglia a Dio se ama gratuitamente, se sa dare il suo perdono: è questa infatti la caratteristica più propria di Dio.
Quando un cristiano entra in questa logica, entra in una mentalità propriamente divina: non più la legge della giungla, cioè fare il maggior male possibile agli altri, non più la logica di giustizia che fa vivere il rapporto con gli altri in un livello di uguaglianza: il bene a chi mi fa il bene, e il male a chi mi fa il male. Dobbiamo invece attuare la legge della gratuità che il Signore chiede di vivere nella comunità cristiana.
Il cristiano è prima di tutto il discepolo di Gesù, non colui che adempie la legge. I farisei erano ossessionati dalla realizzazione letterale e minuziosa della legge; ma ne avevano completamente perso lo spirito. Di qui la parola di Gesù: “Se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei…” (Matteo 5:20)
L’amore, secondo i disegni divini, è il motore del servizio del prossimo.
L’amore concreto si manifesta con la riconciliazione con il prossimo, con il non adirarsi, e con il non insultare nessuno.
Una piccola riflessione sull’uso della parola.
È spesso usata per non farsi capire, per portare sulla strada sbagliata, per ingannare, per fare del male, per ferire: tutti usi scorretti e ingiusti della parola.
Talvolta anzi succede che l’uomo, per dare valore alle sue parole, fa appello a Dio e giura: la mia parola non è sufficiente nella sua luminosità, allora prendo Dio come testimone, mi servo di Dio per far credere alle mie parole. Non dobbiamo mai “usare” Dio per ottenere il consenso degli altri.

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