AUTISMO DIGITALE

Lo smartphone è ormai diventato “l’amico tascabile” onnipresente sia quando ci troviamo soli che quando siamo in compagnia; ci consente di mediare l’interazione con gli altri reali e funge da possibile “via di fuga” quando si desidera evitare l’imbarazzo di una pausa, di un silenzio durante una conversazioneo quando si è poco interessati al proprio interlocutore e ci si annoia, pur rischiando di apparire scortesi nei riguardi di chi ci siede accanto.
Non riuscite a staccare gli occhi e le mani dal vostro smartphone nemmeno a tavola?
Quando vi svegliate la prima cosa che fate è controllare le notifiche di Facebook? Non andate a letto senza prima aver condiviso uno status sulla vostra giornata?
Quanto tempo ci assorbe questa attività di controllo dei social network?
C’è una nuova nuova malattia del millennio: “Paura di essere tagliati fuori”, che consiste nel pensiero fisso di voler controllare cosa stanno facendo gli altri e se ci stanno escludendo da qualcosa, soprattutto occasioni di divertimento.
Secondo uno studio americano, l’utente medio di smartphone lo controlla circa 150 volte al giorno, cioè una volta ogni 6 minuti. Fenomeni simili sono stati registrati anche per il controllo delle email, ma il record spetta al profilo di Facebook, per molti la prima cosa da vedere al mattino, appena svegli. Questo nasce probabilmente dalla facilità con cui si ha accesso a questi mezzi, e dalla possibilità di stabilire rapporti non mediati dalle convenzioni sociali reali, trovando così il coraggio di esporsi su un piano virtuale.
Questa fuga nella realtà virtuale (seconda vita), provoca nelle personalità più fragili, dipendenza, isolamento, solitudine, depressione, e una progressiva perdita di contatto con la corretta percezione spazio-temporale della vita reale e di conseguenza, una progressiva deresponsabilizzazione comportamentale nei riguardi di sé stessi e degl’altri.
L’iperconnessione totale è l’idolatria di ultima generazione che indirizza il bisogno di relazionalità sulle vie ingannatrici della comunicazione compulsiva che mortifica l’essenza stessa dell’incontro e della vera condivisione umana.
Nei casi più gravi, si può arrivare a delle vere e proprie crisi di astinenza tecnologica, simili a quelle studiate nell’ambito della dipendenza da videogiochi. Tutte le tecnologie di questo tipo impegnano la nostra mente 24 ore su 24, e ci allontanano a poco a poco dalla realtà, annullando le nostre interazioni sociali sul piano reale, e creando seri problemi di studio e lavoro, a causa dell’abbassamento della soglia di concentrazione.
Non ci affidiamo allo studio, a un buon libro o non ci bastava due chiacchiere scambiate con un amico davanti ad una buona tazza di thè o caffè che sia, perché oggi attraverso pochi e facili passaggi decidiamo di metterci offline da amici, lavoro, famiglia, reali e online nello spazio virtuale popolato da un elevatissimo flusso di contenuti: foto, video, post, sempre disponibili, nuovi e perennemente fruibili dagli utenti della rete.
Preferiamo l’isolamento virtuale rispetto ad un interazione reale
nell’attesa di ricevere conferme attraverso lo sperato “Mi Piace” che se arriva ci rincuora ma se non arriva ci tocca fare i conti con dubbi e un malessere di natura ansiosa. Inoltre visualizzare le foto e i commenti degli altri utenti in maniera spasmodica soprattutto negli individui con scarsa autostima aumenta la possibilità di sviluppare invidia e risentimento.
Si è perso lo scambo basato sul confronto e sulla conoscenza.
Chiudersi nel cyberspazio ci rende più fragili e impazienti e tendenti al controllo.
È nato quindi un nuovo disturbo psicologico che ingenera nelle forme più serie agitazione, ansia, depressione, senso di irrequietezza e isolamento da un contesto reale, a favore di una comunicazione virtuale portata avanti e accresciuta per mezzo dei social network. I dipendenti da Facebook mostrano una capacità di scelta limitata proprio come un’alcolista che cerca esclusivamente la bottiglia per sperimentare e ri sperimentare un provvisorio e pericoloso stato di edonismo.
Da dove viene dunque il bisogno di restare connessi? Questo risponde a due bisogni importanti, quello di appartenenza e quello narcisistico di “essere visti”.
A causa dell’iperconnessione non si conosce più cosa vuol dire faticare e si è insidiati dalla facilità. Questa facilità porterà a sua volta all’infelicità perché presto ci si accorgere che nulla si può ottenere senza fatica e si prova un senso di profondo sconforto.

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