NOTIZIE DAL MONDO-PERSECUZIONI-Macro-analisi: allarghiamo la prospettiva
1. Olanda: Tensioni fra cristiani e musulmani nei centri di
accoglienza
I cristiani in centri di accoglienza nei Paesi Bassi si sono lamentati delle intimidazioni
provenienti dai rifugiati musulmani, come riportato dal NRC in data 22 luglio 2015. Anche in
Svezia ci sono preoccupazioni per la sicurezza dei richiedenti asilo cristiani, dopo che un
gruppo di cristiani è stato cacciato fuori da un alloggio per immigrati, come Jihadwatch ha
riportato lo stesso giorno.
Dennis Pastoor, analista della persecuzione per la World Watch Research, commenta:
“Il nostro dipartimento di ricerca ha più volte sottolineato la questione del
trattamento dei cristiani nei campi profughi, che non si sentono sempre al sicuro. I centri di
accoglienza ovviamente non possono essere paragonati a campi profughi, ma non sono privi di
minacce ai cristiani più vulnerabili. Nel 2013 un richiedente asilo iraniano nei Paesi Bassi è stato
assassinato in circostanze poco chiare. Alcuni credono che sia stato ucciso come rappresaglia
per la sua conversione al cristianesimo”.
Molti ricorderanno la tragedia di aprile di quest’anno in cui in un gommone 12
migranti cristiani, secondo le indagini della Polizia italiana, sarebbero stati
picchiati e gettati in mare da uomini musulmani di varie nazionalità per ragioni
esclusivamente religiose. E’ chiaramente un aspetto da non sottovalutare
quello della forzata convivenza/vicinanza dei migranti di fedi diverse. Siamo di
fronte a una diffusione senza precedenti del radicalismo islamico, non solo in seno a gruppi
terroristici o califfati, ma soprattutto nella cultura sociale di molti paesi islamici. I prodotti di
questa diffusione sono odio e intolleranza in primis nei confronti dei cristiani.
2. India: L’Alta Corte dichiara che i cristiani convertiti hanno ancora
Il 27 luglio 2015 il quotidiano Times of India ha pubblicato un interessante
articolo su una sentenza dell’Alta Corte di Kerala sull’obbligo dello Stato di
rispettare i diritti e i benefici che riguardano i membri delle Scheduled Castes
(SC)/ Scheduled Tribes (ST), anche se una persona si converte da una religione
ad un’altra. I primi sono circa il 16,6% e i secondi l’8,6% della popolazione
indiana (secondo il censimento del 2011). Sono conosciuti con il termine dispregiativo di
“intoccabili”; il termine moderno è “dalit”.
Il caso giudiziario si è tenuto perché le persone convertite dal cristianesimo all’induismo
volevano ricevere i benefici governativi assegnati ai gruppi ST e SC. Lo Stato del Kerala ha
stabilito che una persona che lascia l’induismo perde questi diritti/benefici. L’Alta Corte del
Kerala, invece, ha stabilito che sia la conversione dall’induismo al cristianesimo che viceversa
non avrebbe cambiato questo status, garantendo dunque i normali benefici e diritti. Questa
sentenza apre interessanti scenari.
Rolf Zeegers, analista della persecuzione per la World Watch Research, commenta:
“Ci sono alcuni fatti interessanti in questa situazione. Prima di tutto, la decisione
dell’Alta Corte del Kerala mina la cornice della campagna Ghar Vapsi dei radicali indù, per la
quale chi si converte al cristianesimo o all’islam viene attirato nuovamente all’induismo con la
promessa di accesso a quei benefici. Senza dubbio, i radicali indù continueranno a usare questo
tipo di campagna per spingere molti più convertiti a “tornare a casa” (all’induismo) nonostante
la decisione dell’Alta Corte. La corte ha anche dimostrato che non è importante quanto tempo
prima si sono verificate le conversioni e se i convertiti e/o ri-convertiti sono le stesse persone, se
i genitori o nonni hanno deciso di lasciare l’induismo anni o decenni fa e i figli o i nipoti tornano
all’induismo ora, tutte queste variabili non sono di nessuna importanza. In secondo luogo,
questo caso è un altro esempio di questioni religiose decise a livello statale. È altamente
improbabile che il governo centrale di Delhi faccia appello contro il verdetto. Dopotutto, il
Primo Ministro Modi può affermare che questo non è affar suo, e la decisione è senza dubbio
benvoluta. Infine, è importante notare che le persone credono che una conversione
dall’induismo non modifichi il carattere/benessere di una persona. In questo senso, si ritiene
che lo status della casta aderisca a una persona, non importa se o quanto spesso si converta.
Questa decisione avrà conseguenze di vasta portata per la Chiesa in Kerala, che ha molti
membri convertiti dai Dalit. Resta da vedere se molti altri stati seguiranno l’esempio del
Kerala, ma l’impatto potrebbe essere davvero grande”.
L’India rimane dunque uno scenario complesso e diversificato, ove coesistono aree dove la
persecuzione dei cristiani è una realtà, con principale fonte di persecuzione il nazionalismo
religioso indù. È per questo motivo che questo paese occupa la posizione 21 della WWList
2015 di Porte Aperte.
3. Europa: L’Islam politico è una minaccia per la democrazia?
Secondo un pensiero comune, diffuso anche tra vertici politici delle nazioni europee, “l’islam
politico” sarà una componente solida del futuro dell’Europa. Dichiarazioni in tal senso da
parte anche di alti esponenti dell’UE hanno causato una diffusa costernazione nella gente
comune, soprattutto perché l’opinione pubblica europea è ancora scossa dagli attentati in
Francia, dalle minacce dell’ISIS contro Roma e altre capitali, da esecuzioni di cittadini europei
da parte di jihadisti e dall’allarmismo creato attorno ai “foreign fighters”, ossia a quei cittadini
europei partiti per rimpinzare le file dei combattenti del Califfato. Vi è l’opinione diffusa tra
alcuni politici e politologi per la quale l’islam politico non debba essere temuto, poiché ciò che
fa davvero la differenza è se il processo in cui è inserito sia democratico o meno.
Il nostro Dennis Pastoor commenta: “È assolutamente sbagliato pensare che l’islam
politico sia meno minaccioso dei gruppi jihadisti, come lo Stato Islamico. È altrettanto
miope aspettarsi che un processo democratico sia sufficiente per contenere la minaccia
dell’estremismo. L’espressione partecipazionista dell’islam politico utilizza il sistema
democratico per raggiungere i suoi obiettivi, compresa l’attuazione della sharia”.
L’affermazione del nostro analista è forte e va spiegata affinché non generi fraintendimenti.
L’islamismo o islam politico può essere definito come l’insieme di tutte le “forme di teoria e
pratica politica che hanno come obiettivo la creazione di un ordine politico islamico, nel senso
di Stato, i cui principi governativi, istituzioni e sistema giuridico derivano direttamente dalla
al suo interno notevoli differenze dal punto di vista strategico, politico e persino teologico. Non
tutti i cittadini europei (americani o di altre nazioni e regioni) di fede islamica hanno
ovviamente un’agenda politica in mente. Tuttavia comprendere l’islam politico e chi vi aderisce
attivamente e convintamente è un esercizio a cui i politici e le nazioni europee devono
impegnarsi senza irrimediabili ingenuità. Molti si sentono “coperti” dalla macchina
democratica, ma ci si deve chiedere come l’islam politico veda il sistema democratico.
”. Ma va evidenziato che l’islamismo è un movimento molto eterogeneo, che presenta
Alcuni esperti individuano 3 espressioni chiave dell’attivismo dell’islam politico
nei confronti della democrazia, a cui Dennis Pastoor fa riferimento:
“negazionisti (o rigettanti) violenti”, “negazionisti (o rigettanti) non-violenti” e
“partecipazionisti”. Lo Stato Islamico è un esempio tipico di “negazionisti
violenti”, o jihadisti, l’espressione più radicale dell’ideologia islamica. Esso non è
soltanto “un lupo solitario”, bensì parte integrante di uno spettro di opzioni islamiche ben
consolidato, ispirato da certi concetti religiosi chiave. Chi vi aderisce rigetta la partecipazione a
sistemi democratici e usa la violenza come metodo principale per raggiungere i propri obiettivi
e crediamo che questo sia ormai piuttosto chiaro a tutti. I “negazionisti non-violenti”, invece,
sono individui e gruppi che rigettano apertamente ogni sistema di governo non basato sulla
legge islamica, ma non ricorrono alla violenza (perlomeno non apertamente) per raggiungere i
propri obiettivi. Un esempio? Certi gruppi salafiti. Infine i “partecipazionisti”, a cui fa
riferimento Pastoor, sono individui e gruppi che, come la Fratellanza Musulmana, adottano
quella parte dell’ideologia islamista che promuove l’interazione con la società, tramite
attivismo e partecipazione nella vita pubblica e nel processo democratico. Pastoor fa
1 Dal libro di Peter Mandaville “Global Political Islam”
riferimento a quest’ultima opzione dell’islam politico quando parla di “espressione
partecipazionista” e il suo monito dunque è un appello ad un’analisi vera e approfondita delle
istanze dell’islam politico in relazione alle democrazie occidentali, analisi che va spogliata di
ogni superficialità e visione idilliaca di questa forza sociale. Condividiamo questo appello ad
un’analisi veritiera, come diffondiamo al tempo stesso il nostro motto nei confronti delle
comunità islamiche in tutto il mondo: I Sincerely Love All Muslims (acronimo ISLAM).
4. Nigeria/Camerun/Ciad/Benin/Niger: La violenza dei Boko Haram
si intensifica e diventa regionale
Da quando il Presidente della Nigeria Buhari è in carica (maggio 2015), la
violenza causata da Boko Haram non solo si è intensificata, ma è anche sempre
più regionale. In Nigeria, gli ultimi attacchi terroristici di una certa portata in
ordine di tempo (alla data in cui redigiamo questo dossier) sono avvenuti a
Gombe il 22 luglio, a Damaturu il 26 luglio e a Malari il 2 agosto. Ma Boko
Haram ha colpito anche fuori dalla Nigeria, uccidendo e ferendo centinaia di persone in
diversi attacchi terroristici a Maroua, nel nord del Camerun. Nel frattempo, il governo del Ciad
ha dichiarato che le sue forze di sicurezza hanno ucciso 117 combattenti di Boko Haram,
mentre il Benin ha promesso 800 soldati per la forza regionale nella quale questo paese
partecipa insieme con Niger, Ciad e Camerun.
Il fatto che il Camerun sia più spesso bersaglio di attacchi terroristici da parte di Boko Haram è
una conseguenza diretta del suo impegno nella lotta contro questa fazione terroristica
islamica. Ci si possono aspettare attentati terroristici continui in tutti i paesi che hanno aderito
alla forza regionale. Per i cristiani in questi paesi, inevitabilmente questa è una fonte
immensa di preoccupazione.
5. Repubblica Centrafricana: un conflitto complesso
La Repubblica Centrafricana occupa ancora una volta i titoli dei giornali, dopo che i ribelli
hanno attaccato uomini delle Nazioni Unite e una stazione radio nel mese di luglio 2015, come
riportato da News Mission Network il 3 agosto 2015. Amnesty International ha pubblicato un
rapporto che documenta le violenze commesse dalle milizie anti-Balaka contro i musulmani.
Dennis Pastoor commenta: “Il conflitto in CAR ha molte sfaccettature. È sempre più
difficile capirci qualcosa, ma è troppo semplice inquadrarlo come un conflitto
interreligioso. Anche se è vero che le milizie anti-Balaka si definiscono cristiani e lottano per
preservare e proteggere i cristiani, la loro lotta non è di natura religiosa; è in gran parte
politica. Inoltre, la maggioranza cristiana e i leader cristiani in C.A.R. hanno ufficialmente e
con veemenza preso le distanze dalla violenza anti-Balaka. In realtà, molti cristiani stanno
anche soffrendo a causa degli anti-Balaka. Ci sono alcune segnalazioni di cristiani attaccati e
leader della chiesa minacciati, perché hanno osato parlare contro di loro”.
6. Russia: Gli ortodossi diventano più aggressivi
Il 19 luglio 2015 l’analista Paul Goble ha pubblicato un editoriale su degli
sviluppi preoccupanti in Russia: i credenti ortodossi sembrano assumere
sempre più un atteggiamento aggressivo nella società. Chiedono la
costruzione di nuove chiese a Mosca e stanno impedendo concerti perché
disturbano la preghiera. Tali incidenti avvengono sempre più spesso. Goble cita
Dmitry Rudnyev che, nel mensile russo Sovershenno Sekretno, ha osservato che “da cinque a
dieci anni fa, la frase ‘radicalismo ortodosso’ avrebbe suscitato un sorriso condiscendente.
Oggi, però, è diventata una delle realtà della vita religiosa russa. Ma il problema del
radicalismo nella chiesa esiste e oggi la gente ne parla in modo serio”.
Rolf Zeegers rincara: “La Russia è cambiata. Lo Stato sta diventando sempre più
nazionalista e xenofobo e in parte lo è anche la Chiesa Ortodossa Russa (ROC). La
Chiesa ha bisogno dell’aiuto dello Stato per raggiungere i suoi obiettivi e, di conseguenza, i
radicali ortodossi usano mezzi discutibili per convincere le autorità che l’ortodossia è una forza
potente. Pertanto, spesso i gerarchi fanno dichiarazioni in difesa degli ortodossi tali da
offendere gli altri. Si tratta di un’espressione di ‘protezionismo denominazionale’. Fino a poco
tempo fa, la ROC era considerata dal regime del Presidente Putin come parte integrante della
nazione russa. La ROC in cambio ha fornito il proprio sostegno alle politiche nazionalistiche
del governo chiamate Russky Mir (mondo russo). Ora stiamo vedendo come la Chiesa faccia
ulteriori passi in avanti: sta diventando sempre più assertiva e intollerante, rivendicando una
posizione dominante nella società, lo stesso tipo di ruolo che aveva come Chiesa di Stato
all’epoca degli zar russi”. Questo ricercatore si spinge a prevedere un futuro prossimo
inquietante: “Resta da vedere se il governo russo sia d’accordo con questa posizione della ROC,
ma è un dato di fatto che non abbia mosso un dito per fermare i radicali ortodossi. Finora, i
radicali ortodossi non hanno attaccato altre denominazioni, ma non è un segreto che
protestanti e cattolici sono visti come non-russi. Faremo meglio a prepararci a futuri incidenti in
cui i radicali attaccano i cristiani non ortodossi”. Nelle analisi di Porte Aperte che sfociano nella
World Watch List, questo tipo di fonte di persecuzione paventata da Zeegers viene denominata
settarismo ecclesiastico.
7. Asia Centrale: sempre meno libertà religiosa
KIRGHIZISTAN: si volge ancora verso la Russia
Il 22 Luglio 2015 AsiaNews ha riferito che il Kirghizistan ha unilateralmente posto fine a un
accordo di cooperazione firmato con gli Stati Uniti nel 1993. È stato un atto di rappresaglia per
la decisione del Dipartimento di Stato Americano di dare un riconoscimento all’attivista
kirghiso Azimjan Askarov per essere “una figura unificante per i diritti umani della comunità,
che riunisce persone di tutte le etnie e trascorsi, per sollecitare il governo del Kirghizistan ad
adottare misure efficaci verso la creazione di una pace sostenibile tra uzbeki e kirghisi”.
Askarov, giornalista e attivista per i diritti umani, aveva assunto una posizione indipendente
negli scontri etnici tra kirghisi e uzbeki a Osh e Jalal-Abad del settembre 2010 ed è stato
condannato all’ergastolo per “incitamento all’odio etnico” e per la complicità nell’omicidio di
un funzionario, accuse che ha sempre negato. Il premio degli Stati Uniti ha fatto arrabbiare il
governo di Bishkek, tanto che hanno deciso di porre fine all’accordo sulla Cooperazione per
Facilitare la Fornitura di Assistenza, con effetto dal 20 agosto del 2015.
L’analista Rolf Zeegers dichiara: “La decisione è parte di una strategia più ampia, tesa
ad avvicinare di più il paese dell’Asia Centrale alla Russia e alla Cina, allontanandosi
dagli Stati Uniti. Il Kirghizistan è un paese molto povero, che si basa per oltre il 50%
sulle rimesse di oltre un milione di kirghisi che lavorano all’estero, principalmente in Russia.
Bishkek è chiaramente del parere che è molto meglio mantenere buoni rapporti con la Russia”.
Il punto cruciale dell’analisi di Zeegers è però un altro: “La Chiesa in Kirghizistan ne subirà le
conseguenze. Fino a poco tempo fa, i cristiani in Kirghizistan sperimentavano maggiore libertà
dei cristiani in altri paesi dell’Asia Centrale, ma i recenti sviluppi sono piuttosto negativi. Nel
2015 il Kirghizistan ha adottato una legislazione che richiede alle organizzazioni non
governative (ONG) che ricevono finanziamenti dall’estero di registrarsi come
“agenti stranieri” (il vecchio termine sovietico per descrivere le spie). Questo
influenzerà anche le organizzazioni religiose che ricevono finanziamenti
dall’estero. Ancora più minacciose sono le bozze di una nuova legge sulla libertà
religiosa. Con questa legge aumenterebbero le restrizioni a questa libertà, il
problema più grande è l’aumento delle firme da 200 a 500 necessarie per la registrazione
ufficiale. Dal momento che nessuna delle chiese in Kirghizistan ha questo numero di membri,
praticamente tutte perderanno la registrazione”.
TAGIKISTAN: Un giro di vite (45° WWL)
Il Tagikistan impone sempre più restrizioni alla sua popolazione. Recentemente ha deciso di
limitare ulteriormente la libertà dei media, come è stato riportato da Radio Free Europe (RFE)
il 21 luglio 2015. In un altro articolo dello stesso giorno, RFE ha descritto che la più grande
minaccia per il Tagikistan non viene dall’esterno del paese, ma dall’interno: “Recenti mosse del
governo tagiko per controllare la pratica dell’Islam all’interno del paese ed emarginare i gruppi
e le personalità dell’opposizione sono la vera minaccia per la stabilità in Tagikistan”. Il
problema della lotta al terrorismo islamico potrebbe spingere il governo verso una china
pericolosa di diminuzione di libertà elementari del cittadino. La mano pesante
nell’antiterrorismo conferisce allo Stato Islamico una parvenza di legittimità e credibilità, e lo
aliena anche alle persone comuni, che hanno visto la loro privacy invasa.
Rolf Zeegers commenta: “Se il regime perde la sua credibilità con la popolazione
dovrà senza dubbio ricorrere alla violenza. La libertà religiosa in Tagikistan è già
piuttosto limitata e la situazione sta peggiorando. Il regime può prendere di mira gli
estremisti islamici, ma in realtà attacca tutti i credenti. La sua campagna sembra essere contro
la religione in generale. I cristiani stanno sperimentando anche maggiori problemi. La
sorveglianza è intensificata e i credenti vengono interrogati. L’instabilità avrà solo conseguenze
negative per loro”.
AZERBAIGIAN: nessun miglioramento (46° WWL)
Il 16 luglio 2015, Forum 18 ha pubblicato una nuova indagine sulla libertà religiosa in
Azerbaigian. In essa chiarisce che il governo utilizza un mix di tattiche per limitare la libertà
religiosa: una legislazione restrittiva, obblighi ripetitivi per registrarsi nuovamente, un ente
statale di controllo che blocca quasi tutto e un insieme di regole e politiche non scritte che
consentono ai funzionari statali di andare ben oltre le restrizioni legali già presenti.
Soprattutto quest’ultima categoria crea un sacco di problemi ai credenti. Forum 18 afferma: “I
funzionari si comportano come se lo Stato di diritto, comprese le leggi pubblicate, non
ponessero limiti alle loro azioni. Le prove di presunti reati spesso mancano palesemente e così
viene meno il principio di un giusto processo. I funzionari non consentono il rispetto degli
standard internazionali dei diritti umani. Oltre alle restrizioni contenute nelle leggi pubblicate,
molte comunità di credenti hanno compreso che ci sono anche restrizioni non scritte. Senza
l’approvazione da parte di figure del governo di alto livello, gruppi di persone rischiano di non
essere autorizzati a esercitare la libertà di religione o di credo fondamentale. Questo, in
pratica, impedisce alle comunità di esistere legalmente ed esercitare attività come l’apertura di
luoghi di culto, recupero di beni confiscati in epoca sovietica, organizzazione di eventi pubblici
e pubblicazione di libri religiosi. I funzionari sfruttano appieno la formulazione poco chiara o
indefinita delle leggi e spesso ignorano altre leggi e procedure legali. C’è impunità per le azioni
ufficiali extralegali”.
“L’indagine di Forum 18 offre una comprensione profonda della situazione della Chiesa
in Azerbaigian. Viene pubblicato assai poco su questo paese. Molti cristiani in
Azerbaigian hanno paura e non sanno di chi fidarsi. Forum 18 ha prodotto una relazione ben
documentata su un paese in cui i cristiani (e altri credenti) si trovano ad affrontare molti
problemi. È auspicabile che possa essere utilizzata da organizzazioni internazionali come
l’Unione Europea e le Nazioni Unite, e dagli Stati Uniti per esercitare pressioni sul governo di
Baku”, afferma l’analista Rolf Zeegers.
8. Messico e America Latina: Dati allarmanti
Su una serie di indicatori politici e di sicurezza, il Messico continua a
rimanere a un livello piuttosto basso. Come riportato il 21 luglio 2015
dall’agenzia di stampa messicana Proceso, il Messico è al terzo posto (dopo
la Russia e la Colombia) nell’Indice Globale di Impunità, che prende in
considerazione variabili come gli agenti di polizia pro-capite, la capacità dei
carceri, i giudici pro-capite e i diritti umani. Il 31 luglio 2015, il Wilson Center ha segnalato che
il Messico, insieme all’Ecuador, l’Honduras, il Perù e il Venezuela, ha ricevuto il suo peggior
punteggio sull’indice di Freedom House’s Press in oltre un decennio. Infine, il 29 luglio 2015, il
Ministero dell’Interno messicano ha pubblicato un rapporto rivelante che, in media, avviene un
omicidio ogni mezz’ora in Messico.
Dennis Pastoor, spesso impegnato in viaggi di ricerca anche in questa parte del
mondo, dichiara: “Purtroppo, questi dati allarmanti non sono sorprendenti. Il contesto
di violenza è diventato una delle principali preoccupazioni per i cittadini messicani e il loro
governo. Gli effetti sono ben visibili, distorcendo il funzionamento complessivo della società
mediante la creazione di una cultura della paura, dell’impunità e della corruzione. La libertà
religiosa in Messico, e più in generale in America Latina, è un quadro complesso e deriva
dall’interazione tra una generale mancanza di sicurezza e di esclusione sociale. L’alto grado di
violenza colpisce particolarmente i cristiani attivi, che sono percepiti come una minaccia per
l’egemonia e l’influenza delle organizzazioni criminali, come più volte sottolineato dalla WWList
di Porte Aperte”.
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