La condanna alle pene eterne di George Whitefield

 

George Whitefield

(Lettera di George Whitefield agli abitanti di Savannah, in Georgia).

Miei cari Amici,

Sebbene il seguente sermone sia stato già predicato altrove, non posso fare a meno di ricordare l’occasione in cui lo predicai a voi, l’attenzione che mi prestaste pubblicamente e la soddisfazione che mi esprimeste, quando venni a visitarvi nelle vostre case; per questo ho pensato di farvelo avere.

E non posso fare a meno di benedire Dio per aver visto che non amate le dottrine eretiche; e oltre a questo, che siete zelanti, e che approvaste la mia condotta quando, per la gloria di Dio e per il vostro bene, fui sospinto a confutare e parlare pubblicamente contro le dottrine anticristiane sostenute da alcuni.

Voglio solo esortarvi a chiedere con forza a Dio che Egli vi dia una fede vera, e che aggiungiate alla vostra fede la virtù, affinché possiate adornarvi del vangelo del nostro Signore Gesù Cristo.

La costanza che mostrate nel frequentate quotidianamente i culti, la gioia con cui mi avete ricevuto nelle vostre case, l’umiltà con cui vi siete sottomessi ai miei rimproveri, e ancor più il grande rammarico che avete avuto (sebbene io non lo meritassi) alla mia partenza, mi inducono a sperare che lo farete.

Non so per quanto tempo Dio nella Sua buona provvidenza mi terrà lontano da voi. Comunque, ritornerò come vi ho promesso, non appena avrò ricevuto l’imposizione delle mani, e avrò concluso le altre questioni per cui mi sono allontanato.

Nel frattempo, accettate questo, come pegno del sincero affetto del vostro affezionato, sebbene indegno, pastore,

George Whitefield

Londra, 1738


“E questi andranno nelle pene eterne” (Matteo 25:46).

L’eccellenza della dispensazione del vangelo è evidenziata con forza da quei decreti di ricompensa e di punizione che esso rimette alla scelta di tutti i suoi uditori, perché essi si impegnino ad essere ubbidienti ai suoi precetti. Poiché il vangelo promette non meno della felicità eterna ai giusti, e una punizione non inferiore a una sofferenza eterna agli empi: da una parte, “un odore di vita a vita“, dall’altra “un odore di morte a morte” (cfr. 2 Corinzi 2:16). Si potrebbe immaginare che basti menzionare il primo di questi due argomenti per spingere gli uomini al loro dovere, eppure ministri in ogni epoca hanno dovuto ricordare frequentemente alla gente il secondo, e mostrare loro i terrori del Signore, per dissuaderli dal peccare.

Ma per quale motivo gli uomini sono tanto ostinati? La ragione sembra essere la seguente: la promessa della felicità eterna è tanto gradita agli uomini, che tutti coloro che si definiscono cristiani, universalmente e volontariamente affermano di crederci e di essere d’accordo con questa dottrina; ma c’è qualcosa di tanto spaventoso nel considerare i tormenti eterni, sembra essere infinitamente sproporzionata la durata eterna delle pene in confronto alla breve vita umana spesa nei piaceri della vita, che gli uomini (o almeno parte di loro) sono restii a confessare anche questa parte della dottrina come elemento di base della propria fede: cioè, che un’eternità di miseria attende gli empi nella vita dopo la morte fisica.

Desidero pertanto insistere sulla necessità di riconoscere questa parte come uno degli elementi della nostra fede, e cercare di farvi vedere il bene che deriva dall’accettare le parole del nostro benedetto Signore: “Questi” (cioè gli empi) “andranno nelle pene eterne“.
Quindi, senza considerare le parole in relazione al contesto, quello di cui voglio parlarvi si riassume in un solo pensiero: che i tormenti riservati per gli empi, dureranno per l’eternità.

Ma, prima di procedere, voglio che sappiate che prendo per scontato che ognuno di voi che mi ascoltate creda che ciascuno di noi ha qualcosa dentro di sé, che noi chiamiamo anima, e che è capace di sopravvivere alla dissoluzione del corpo, e di vivere nella miseria o nella gioia per tutta l’eternità.
Prenderò per scontato, inoltre, che crediate alla rivelazione divina: che quei libri, enfaticamente chiamati “le Scritture”, sono stati scritti per ispirazione di Dio, e che le cose in essi contenute sono fondate sulla verità eterna.
Prenderò per scontato che voi crediate che il Figlio di Dio è venuto in terra a morire per i peccatori; e che c’è solo un Mediatore tra Dio e gli uomini, ed è Cristo Gesù.

Fatta questa necessaria premessa, procederemo ora a comprendere il bene contenuto nelle parole del nostro testo, ovvero nel fatto che i tormenti riservati per gli empi sono eterni: “questi andranno nelle pene eterne“.

Il primo motivo che ci dovrebbe rendere certi del fatto che le sofferenze che attendono i peccatori sono eterne, è che è proprio la Parola di Dio ad affermarlo.

Mancherebbe il tempo per citare tutti i passaggi che convalidano questa dottrina. Basti dunque ricordarne solo alcuni. Nell’Antico Testamento, nel libro di Daniele, al capitolo 12 verso 2, ci viene detto che “molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno; gli uni per la vita eterna, gli altri per la vergogna e per una eterna infamia” (Daniele 12:2). Nel libro di Isaia, parlando di coloro che hanno trasgredito la legge di Dio, vivendo e infine morendo da ribelli impenitenti, ci viene detto che “il loro verme non morirà, e il loro fuoco non si estinguerà” (cfr. Isaia 66:24). E altrove, il santo profeta, senza dubbio colpito e attonito per l’orrore della prospettiva per i dannati di vivere per l’eternità nei tormenti, “chi di noi potrà dimorare con le fiamme eterne?” (Isaia 33:14).

Il Nuovo Testamento è ancora più chiaro in tale proposito, essendo una rivelazione che ha portato questo ed altri particolari simili alla luce. L’apostolo Giuda, parlando dei profani che disprezzano la dignità, ci dice che ad essi “è riservata l’oscurità delle tenebre in eterno” (cfr. Giuda 8, 13). E nel libro della Rivelazione di Gesù Cristo, o Apocalisse, è scritto che “il fumo del loro tormento sale nei secoli dei secoli” (Apocalisse 14:11). E se crediamo alla testimonianza degli uomini ispirati da Dio, la testimonianza del Figlio di Dio, al quale lo Spirito è dato senza misura, è di gran lunga maggiore. E nel vangelo di san Marco, Cristo ripete questa solenne dichiarazione per tre volte: “meglio è per te entrare monco nella vita“, cioè è meglio abbandonare i piaceri delle tue concupiscenze, o essere disprezzato da un amico per perseguire una santa condotta, piuttosto “che avere due mani” (cioè indulgere nel peccato o disubbidire a Dio per non dispiacere un amico) “e andartene nella geenna, nel fuoco inestinguibile, dove il verme loro non muore e il fuoco non si spegne” (Marco 9:44, cfr. Matteo 18:8). E di nuovo troviamo, nelle parole del testo, “questi andranno nelle pene eterne” (Matteo 25:46).

So che alcuni di quelli che negano l’esistenza di un’eternità di tormenti per gli empi, asseriscono che parole come “eterne” e “per sempre” sono spesso usate nelle Sacre Scritture (in special modo nell’Antico Testamento) per indicare non una durata infinita, ma una quantità di tempo limitata.

Su questo sono d’accordo: ma rispondo che, quando le parole sono utilizzate in questo senso limitato, ci si rende subito conto di ciò dal contesto in cui esse si trovano; o si trovano in alcuni modelli prescritti da Dio in occasioni particolari, come quando viene detto: “sarà un patto eterno” e anche “come uno statuto… un patto eterno“; cioè si tratta di un modello stabile, non soltanto temporaneo o occasionale come la colonna di nuvola o la manna. O, infine, c’è una qualche relazione con il patto che Dio stipulò con la Sua Israele spirituale; il quale, se compreso nel suo significato spirituale, è e resterà eterno, sebbene i cerimoniali richiesti siano stati aboliti.

È evidente che le parole: “questi andranno nelle pene eterne” non possono essere interpretate in modo da significare una durata limitata, come si comprende leggendo le parole che seguono nello stesso verso: “ma i giusti a vita eterna” (Matteo 25:46).
Leggendo queste parole, tutti sono concordi nel dire che la vita promessa ai giusti sarà eterna. E per quale motivo la punizione per i malvagi non dovrebbe essere intesa anch’ella come eterna, dal momento che vengono utilizzate le stesse parole per entrambe le affermazioni, nello stesso verso?

Inoltre, se Dio ricompenserà i Suoi santi con una vita eterna di felicità, ciò prova che eterna sarà anche la vita di miseria riservata ai peccatori. Poiché noi non sappiamo nulla con certezza, tranne quello che ci è stato detto per rivelazione divina, di quello che avverrà al giudizio; e ciò che sappiamo è che Egli ha stabilito di punire eternamente i malvagi, e di ricompensare i giusti. Ne consegue che la Sua giustizia sarebbe messa in dubbio se non condannasse, o se non ricompensasse.

Alcuni obiettano anche che sebbene Dio sia obbligato dalla Sua promessa a ricompensare i giusti, la veracità della promessa non va presa in considerazione in quanto Egli potrebbe non punire i malvagi come avvenne nel caso di Ninive. Dio dichiarò espressamente al Suo profeta Giona che Ninive sarebbe stata distrutta in quaranta giorni; ma, leggendo la storia (cfr. Giona 3:4-10), apprendiamo del pentimento dei niniviti: “Dio vide ciò che facevano, vide che si convertivano dalla loro malvagità, e si pentì del male che aveva minacciato di far loro; e non lo fece” (Giona 3:10).

In risposta a questa obiezione dirò che le minacce di Dio, come pure le sue promesse, sono senza ripensamento, perché fondate sulle leggi della giustizia eterna. Vediamo che quando l’uomo non ubbidiva a delle condizioni sulla base delle quali Dio avrebbe risparmiato la giusta punizione, Egli mandava sempre ad effetto quanto aveva minacciato di fare: la cacciata di Adamo dall’Eden, la distruzione del vecchio mondo tramite il diluvio, la rovina di Sodoma e Gomorra, sono tutti esempi che, come monumenti, stanno a ricordarci del fatto che Dio esegue le sue minacce, sebbene alla nostra debole comprensione le punizioni possano talvolta sembrare sproporzionate rispetto al crimine.

È vero, Dio risparmiò Ninive, e lo fece perché gli abitanti si pentirono, soddisfacendo così la condizione per cui Dio aveva mandato il profeta ad avvertirli: affinché si pentissero, e Lui potesse perdonarli, e risparmiarli.

Allo stesso modo, se agli avvertimenti del vangelo gli uomini rispondono con ravvedimento e ubbidienza, seguendo gli insegnamenti del vangelo mentre ancora sono in vita, Dio certamente non li punirà; al contrario, darà loro la ricompensa riservata ai giusti. Ma affermare che Egli non punirà, e per tutta l’eternità, i peccatori impenitenti, ribelli, ostinati, secondo quanto ha promesso, non è altro che fare Dio bugiardo come gli uomini: “Dio non è un uomo, perché possa mentire, né un figlio d’uomo, perché possa pentirsi. Quando ha detto una cosa, non la farà? O quando ha dichiarato una cosa, non la compirà?” (Numeri 23:19).

Ma l’assurdità di una simile opinione apparirà ancor più evidente guardando la natura del patto cristiano. E qui devo di nuovo farvi osservare che, come ho detto all’inizio di questo discorso, assumerò che crediate che il Figlio di Dio è venuto in terra per salvare i peccatori; e che esiste un solo Mediatore tra Dio e gli uomini, e cioè Cristo Gesù.

E assumerò, inoltre, (a meno che non siate di quelli che credono all’assurda e infondata dottrina del purgatorio) che siate pienamente persuasi che questa vita è l’unica concessaci da Dio Onnipotente per scegliere la via della salvezza, e quando saranno trascorsi questi pochi anni, non rimarrà più alcun sacrificio per il peccato.

E come questo è vero, ne consegue che se gli empi muoiono nel peccato, e sotto l’ira di Dio, tale sarà il loro stato per tutta l’eternità. Poiché non esiste alcuna possibilità di essere liberati da tale condizione, tranne che mediante Cristo soltanto, durante questa vita; e dunque, all’ora della morte, il tempo per la mediazione e l’intercessione di Cristo sarà irrevocabilmente finito; per questo motivo la punizione per un peccatore che muore nelle colpe delle sue iniquità non durerà soltanto un giorno, un anno, un secolo, ma per tutta l’eternità.

Infine, desidero provarvi che i tormenti riservati ai malvagi nella vita dopo la morte sono eterni, in quanto i tormenti del diavolo sono tali.
Apprendiamo dalle Scritture che esiste un essere chiamato diavolo, che una volta era un angelo di luce, ma per il suo orgoglio e la sua ribellione contro Dio fu scacciato dal cielo ed ora, con il resto degli angeli caduti, percorre e domina il mondo, cercando chi poter divorare; sappiamo inoltre che esiste un luogo di tormento riservato ad essi, e che, per usare le parole dell’apostolo, “Egli ha pure custodito nelle tenebre e in catene eterne, per il gran giorno del giudizio, gli angeli che non conservarono la loro dignità e abbandonarono la loro dimora” (Giuda 6). Accetterete queste verità se, come ho premesso all’inizio del mio discorso, siete di coloro che credono che le Sacre Scritture siano state scritte per ispirazione e rivelazione di Dio.

Se dunque crediamo in questo, e troviamo giusto che Dio punisca quegli spiriti una volta gloriosi, ma ora caduti per la loro ribellione, come possiamo pensare che Egli sia ingiusto nel punire uomini malvagi e peccatori per la loro impenitenza, per tutta l’eternità?

Mi direte, forse, che essi peccarono contro una luce maggiore, e meritano dunque un castigo maggiore. E così pensate che la punizione per gli angeli caduti possa essere più severa di quella degli uomini peccatori; ma vi dico che eterno sarà il castigo per entrambi: poiché in quel giorno, come ci dicono gli oracoli viventi di Dio, il Figlio dell’Uomo dirà a quelli della sua sinistra: “Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli!” (Matteo 25:41). Qui troviamo che i peccatori impenitenti saranno gettati nelle stesse fiamme eterne con il diavolo e i suoi angeli; e ciò è fin troppo giusto. Poiché quand’anche questi ultimi avessero peccato contro una luce maggiore, i cristiani peccano contro una grazia maggiore. Cristo non morì per gli angeli, ma per gli uomini, perché fossimo salvati. Perciò, se Dio non risparmiò quegli esseri eccelsi, siate certi, o peccatori ostinati, chiunque voi siate, che non sarete risparmiati.

Da quello che ho detto è chiaro che i tormenti riservati ai peccatori sono eterni. E se è così, fratelli e sorelle, dobbiamo correre a Gesù Cristo, il nostro rifugio; dobbiamo essere santi in ogni conversazione, devoti, affinché possiamo scampare all’ira a venire!

Ma prima di procedere a un’esortazione pratica, permettetemi di aggiungere qualche parola a quanto è stato detto.

Come prima cosa, se i tormenti riservati ai malvagi sono eterni, cosa dirò a coloro che professano apertamente di credere in una vita eterna di ricompensa per gli uni, e di tormento per gli altri, eppure osano vivere ancora nei peccati, che senza dubbio, a meno che non ci sia un sincero ravvedimento, li condurrà al luogo del tormento? Voi sapete che le pene per i malvagi impenitenti nella vita a venire sono eterne. “E fai bene; anche i demòni lo credono e tremano” (Giacomo 2:19). Ma sappi, o uomo vano, che a meno che questo credere non influenzi la tua vita e ti faccia abbandonare i tuoi peccati, ogni volta che ripeti questo credo stai dicendo, in effetti: “io credo che sarò dannato per l’eternità“.

Come seconda cosa, se le pene riservate agli empi, ai peccatori, sono eterne, ciò sia di monito a quelle persone che cercano di dissuadere i credenti dal credere in questa verità: poiché, in tutta probabilità, non esiste un modo migliore per incoraggiare e promuovere l’infedeltà e la profanità. Poiché se gli avvertimenti che Dio, per il nostro bene, ci dà sulla fine di coloro che amano l’iniquità e non vogliono ravvedersi, non bastano come deterrente per far allontanare gli uomini dal peccato, a quali alte vette di malvagità e perversione potranno essi velocemente arrivare se gli viene insegnato che c’è speranza di un perdono futuro? O ancora peggio, se gli viene detto che dopo la morte non esiste una vita, che le loro anime periranno come le bestie? Guai a quei falsi insegnanti, quelle guide cieche che guidano altri ciechi. “Può un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?” (Luca 6:39). E tali corruttori della Parola di Dio sappiano che quest’oggi io testimonio ad ogni uomo o donna che mi sta ascoltando, che “se qualcuno vi aggiunge qualcosa, Dio aggiungerà ai suoi mali i flagelli descritti in questo libro; se qualcuno toglie qualcosa dalle parole del libro di questa profezia, Dio gli toglierà la sua parte dell’albero della vita e della santa città che sono descritti in questo libro” (Apocalisse 22:19).

Terzo e ultimo, se i tormenti riservati agli empi sono eterni, serva questo come rimprovero a coloro che disputano con Dio, e affermano che è ingiusto punire una persona per l’eternità per aver vissuto nei piaceri del peccato per un tempo. Tali persone sappiano che non sarà il loro pensare o definire Dio ingiusto a renderlo tale, non più di quanto le grida e le lamentele di un criminale condannato possano far diventare ingiusta la legge o un giudice. Non sai, o verme, di quale blasfemia ti rendi colpevole nell’accusare Dio di essere ingiusto? “La cosa plasmata dirà forse a colui che la plasmò: Perché mi hai fatta così?” (Romani 9:20). Presumi di accusare l’Onnipotente con i tuoi vili ragionamenti? E di chiamarlo ingiusto per averti punito per l’eternità, solo perché tu desideri che ciò non accada? Dio l’ha detto, e non lo farà forse? Egli lo ha detto: “sia Dio riconosciuto veritiero e ogni uomo bugiardo” (Romani 3:4). “Il giudice di tutta la terra non farà forse giustizia?” (Genesi 18:25). Certamente lo farà. E se i peccatori non riconosceranno la giustizia dei suoi avvertimenti in vita, si troveranno a doverli subire quando saranno tormentati nella vita a venire.

Ma avviamoci ora alla conclusione di quanto è stato detto.
Avete visto, fratelli e sorelle, che le pene eterne sono una realtà, per espressa dichiarazione delle Sacre Scritture, e avete ascoltato quali sono le conseguenze del rifiutare tale avvertimento. Non è necessario essere esperti di retorica per persuadere una persona saggia ad aborrire e abbandonare i peccati, poiché senza ravvedimento essi la porteranno nelle sofferenze eterne. La sproporzione tra il piacere e la sofferenza (ammesso che vi sia alcun reale piacere nel peccato) è così infinitamente grande che, supponendo che fosse possibile ma non certo che gli empi saranno puniti, nessuno uomo assennato, per godersi un temporaneo piacere materiale, si azzarderebbe a fare qualcosa per cui un giorno dovrà pagare con i tormenti eterni. Ma, dal momento che i tormenti dei dannati non solo sono possibili, ma certi (dal momento che Dio stesso, che non può mentire, ce lo ha detto nella Sua Parola) per gli uomini peccatori, perseverare nella disubbidienza, e lusingarsi che non li aspetta nessun castigo, non è altro che un eccesso di follia e presunzione.

Anche il ricco della nota parabola credeva che, se qualcuno fosse risorto dai morti e fosse apparso ai suoi figli per avvertirli del pericolo che correvano vivendo nel peccato, essi avrebbero creduto e si sarebbero ravveduti (cfr. Luca 16:27 e segg.); ma i cristiani, a quanto pare, non si ravvedono, nonostante il Figlio di Dio sia morto e risorto, e abbia detto loro quello che devono aspettarsi, se continuano nelle loro vie malvagie e ribelli.

Se ogni tanto distogliessimo i nostri sguardi dalle cose visibili, e per fede meditassimo un po’ sulle miserie e le sofferenze dei perduti, non dubito che sentiremmo i pietosi lamenti di molte anime infelici: “O miserabile uomo che sono! Chi mi libererà da questo corpo di morte?” (Romani 7:24). O sciocco essere mortale che sono stato, mi sono causato questa vita di tormenti eterni per aver vissuto per poco tempo in piaceri che mi hanno dato solo scarse, fugaci soddisfazioni. Ah! È questo il salario, sono questi gli effetti del peccato? O dannato apostata! Prima mi ha illuso con presunte promesse di felicità, e dopo molti anni di faticoso lavoro per lui, mi ha ripagato con queste pene eterne. Oh se non avessi mai dato retta alle sue allettanti insinuazioni! Oh se avessi respinto i suoi consigli fin dall’inizio con orrore e ripugnanza! Oh se avessi preso la mia croce e seguito Cristo! Oh se non avessi ridicolizzato la vera devozione, vantandomi della mia finta educazione, condannando i veri credenti come troppo bacchettoni, fanatici, o superstiziosi! Sarei stato felice, avrei avuto gioia oltre quello che saprei spiegare a parole, felice per tutta l’eternità, in quei luoghi benedetti dove sono i santi, i credenti riscattati, rivestiti di gloria ineffabile, che cantano con serenità le loro lodi all’Agnello che siede sul trono in eterno. Ma, ahimè, è ormai troppo tardi per queste riflessioni; ora sono solo desideri vani e inutili. Non ho sofferto con loro, e dunque non posso regnare insieme a loro. Ho in pratica rinnegato il Signore che mi ha acquistato col Suo sangue, e ora giustamente sono rinnegato da Lui. Ma devo proprio vivere per l’eternità tormentato da queste fiamme? Il mio corpo che una volta era vestito di porpora e lino fine, di abiti sontuosi, deve ora restare confinato eternamente in questo luogo di sofferenza, tra gli insulti e le beffe dei demoni? O eternità! Quel pensiero mi riempie di disperazione: resterò miserabile per sempre.

Venite, dunque, voi tutti peccatori che vi state illudendo, e immaginatevi al posto di quell’uomo miserabile che vi ho appena descritto. Pensateci, vi supplico per la grazia di Dio in Cristo Gesù, pensate dentro di voi a quanto angoscianti e insopportabili saranno le interminabili accuse della coscienza dentro di voi. Pensate a quanto insostenibile sarà per voi rimanere per l’eternità in quelle fiamme.

Venite, voi tutti cristiani tiepidi, come quelli di Laodicea, che professate una religione, che vi occupate un poco, ma non abbastanza, delle cose di Dio; oh pensate, pensate dentro di voi, quanto deplorevole sarà perdere il vostro accesso al cielo, e finire nei tormenti eterni, soltanto perché vi accontentate di essere dei “quasi cristiani” e non perseguite la pienezza della speranza e dello zelo. Considerate, vi imploro, considerate quanto disprezzerete e inveirete contro quella fatale stoltezza che vi ha fatto credere che sarebbe bastato qualcosa di meno della vera fede in Gesù – producente una vita di vera devozione, abnegazione e mortificazione delle opere della carne – per preservarvi da quei tormenti senza fine.

Ma ora devo fermarmi. Questi pensieri sono troppo angoscianti perché io, e anche voi, ci soffermiamo ancora su di essi; e Dio sa che come giudicare è il Suo dovere, così avvertire gli uomini affinché siano salvati è il mio. Ma se il solo parlare dei tormenti dei perduti è così sconvolgente, quanto dev’essere terribile subirli!

E ora, ci sono forse alcuni tra di voi che, come i discepoli, diranno: “Questo parlare è duro; chi può ascoltarlo?”. Ma i cristiani sinceri non siano terrorizzati dalla parola che ho annunciato: no, per voi è riservata una corona, un regno, uno smisurato peso eterno di gloria. Cristo non ha mai detto che i giusti, i credenti, i retti, i sinceri, andranno nelle pene eterne, ma piuttosto i malvagi, gli spietati, i formalisti che ragionano come detto prima. Per voi che Lo amate con sincerità, una via nuova e vivente è stata inaugurata mediante il sangue di Gesù Cristo, per accedere al Santo dei Santi: e, nel grande giorno del giudizio, vi sarà concesso ampio ingresso nella vita eterna. Badate, dunque, e fate attenzione che non ci sia tra voi nessuna radice d’amarezza causata dall’incredulità: ma, al contrario, con fermezza e sincerità abbiate fede nelle molte preziose promesse largitevi dal vangelo, sapendo che Colui che ha fatto le promesse è fedele, e dunque le manterrà.

Ma gli empi e i formalisti che si ostinano a peccare non osino applicare alcuna delle promesse divine a se stessi: “non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini”; no, ad essi rimangono solo i terrori del Signore. E, come certamente Cristo dirà ai suoi fedeli servitori: “Venite, voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il regno che v’è stato preparato fin dalla fondazione del mondo” (Matteo 25:34), con altrettanta certezza Egli pronuncerà questa terribile sentenza contro tutti quelli che muoiono nei loro peccati: “Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli!” (Matteo 25:41).

Da quello stato infelice, possa Dio nella Sua infinita misericordia liberare tutti per mezzo di Gesù Cristo; al quale, con Te, o Padre, o Te, o Spirito Santo, tre persone e un solo eterno Dio, sia reso, poiché Ti è dovuto, tutto l’onore, la potenza, la forza, la maestà, e il dominio, ora e per sempre.

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