“Un giovane venuto dal nulla”, il cui impatto sulle missioni cristiane fu uguale,
se non superiore a quello di William Carey –
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Hudson Taylor fu, nei 19 secoli che seguirono il ministero dell’apostolo Paolo, il missionario che ebbe la visione più ampia e che portò a compimento in modo sistematico il più grande piano di evangelizzazione in una vasta zona geografica. Il suo obiettivo era di raggiungere l’intera Cina con i suoi quattrocento milioni di abitanti. La Missione per l’interno della Cina fu una sua creazione e diventò un modello per le missioni di fede che sorsero nel futuro. Nel corso della sua vita, il gruppo di missionari da lui guidati oltrepassò il numero di 800, e continuò a crescere nei decenni successivi alla sua morte.
La storia di Taylor è una storia d’amore, d’avventura e di solida fede in Dio, anche se non è la storia del santo senza difetti che i suoi primi biografi avevano creato.
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Hudson Taylor nacque nello Yorkshire in Inghilterra nel 1832. Suo padre era farmacista e predicatore, ed inculcò nella mente e nel cuore del figlio la passione per le missioni. Prima ancora di compiere cinque anni, il piccolo Hudson raccontava già agli ospiti che il suo desiderio era di diventare missionario, e che la Cina era il paese che lo affascinava di più.
La lettura e la preghiera in famiglia furono parte integrante dell’educazione di Taylor, ma egli non si convertì fino all’età di 17 anni. Da quel momento, egli cominciò a concentrare la sua attenzione sul lavoro missionario in Cina. All’età di 18 anni, cominciò a studiare medicina, prima come assistente di un medico di paese e poi facendo pratica in un ospedale di Londra. In questo tempo il giovane Taylor cominciò a portare avanti un rigoroso programma di rinuncia a sè stesso, vedendo ciò come un’ulteriore preparazione per il lavoro missionario. Fece lo sforzo di vivere completamente per fede. La sua dieta era frugale, costituita da alcune mele e da una pagnotta di pane al giorno. Il suo ragionamento era semplice: “quando arriverò in Cina, non dovrò pretendere niente da nessuno. Le mie richieste saranno fatte unicamente a Dio. È dunque molto importante che io impari, prima di lasciare l’Inghilterra, a far agire gli uomini, tramite Dio, con il solo mezzo della preghiera”.
Ma rinunciare alle sue necessità materiali e alle sue comodità era molto più facile per Taylor che rinunciare ai suoi interessi romantici.”Miss V.” come egli la chiamava nelle sue lettere, era diventata oggetto del suo affetto. Era una giovane insegnante di musica presentatagli da sua sorella, e per Taylor fu amore a prima vista. Dopo poco il loro primo incontro, egli scrisse a sua sorella: “So che la amo. Senza di lei il mondo per me è vuoto”. Ma la signorina Vaughn non aveva una visione per la Cina. Considerava la passione di Taylor un’idea passeggera, ed era convinta che egli non avrebbe rinunciato a lei. Taylor era ugualmente convinto che sarebbe stata lei a cambiare idea e sarebbe infine partita con lui. La consacrazione di Taylor si rivelò più forte del suo amore per una donna.
L’occasione favorevole per Taylor di andare in Cina venne inaspettatamente. I progetti per completare le sua formazione medica furono improvvisamente interrotti quando arrivò in Inghilterra la notizia che Hung, che si dichiarava cristiano, era diventato imperatore della Cina. La prospettiva di una Cina aperta al vangelo fu una risposta alle preghiere dei direttori della Società Cinese per l’Evangelizzazione che aveva finanziato gli studi di Taylor. Essi erano ansiosi che partisse subito. Così nel settembre del 1853, il ventunenne Taylor salpò per la Cina. Egli arrivò a Shanghai, all’inizio della primavera del 1854. A Shanghai, in una colonia internazionale, Taylor trovò la sua prima casa. e li soffrì una solitudine opprimente. La Società Cinese per l’evangelizzazione era un piccolo comitato missionario disorganizzato. Nella colonia internazionale i missionari erano numerosi, ma guardavano con disprezzo il giovane rozzo e non consacrato ufficialmente. Poco dopo il suo arrivo Taylor si trovò in difficoltà finanziarie. Il sostegno economico che gli era stato promesso non arrivava, e i soldi che aveva erano solo una misera somma. Rispetto ai prezzi inflazionistici di Shanghai.
Gli sforzi di Taylor per conoscere la lingua cinese non fecero altro che contribuire alle sue frequenti depressioni. I primi mesi li trascorse soprattutto allo studio della lingua. Fortunatamente lui trovò opportunità di scaricare le proprie tensioni collezionando piante e insetti. Ma la fonte di consolazione più grande per lui fu la profonda fede personale in Dio. Taylor non fu mai contento di vivere in mezzo agli altri missionari. Secondo lui, essi vivevano nel lusso. Dopo un anno dal suo arrivo in Cina, egli cominciò a fare dei viaggi verso l’interno. In uno di questi viaggi Taylor risalì il fiume Yangtze, fermandosi in quasi sessanta colonie che non erano mai state visitate da un missionario protestante. Nei suoi viaggi scoprì presto di essere una novità per la gente, molto interessata ai suoi vestiti e ai suoi modi di fare che al suo messaggio. Per lui ci fu una soluzione logica: quella di diventare cinese, adottando abbigliamento e cultura cinesi. Ma la maggior parte dei missionari protestanti considerava tale comportamento un radicale allontanamento dai metodi missionari accettabili. Per loro il cristianesimo era “puro” solo se espresso secondo modelli di cultura occidentale. Diventare cinese fu un’impresa complicata per Taylor, che aveva gli occhi blu, i capelli biondo-rossicci e un’educazione tipica dello Yorkshire. I pantaloni, “circa sessanta centimetri troppo ampi alla vita”, “la pesante tunica di seta”, e le “scarpe con il tacco basso e le punte rivolte in su”, rappresentano sufficienti difficoltà, ma per ben amalgamarsi con la gente cinese, erano indispensabili anche i capelli neri e un codino. Il risultato finale valse la pena. Con un po’ di “capelli finti intrecciati” con i suoi capelli tinti, per formare un codino, e con occhiali cinesi, Taylor fu in grado di confondersi tra la folla.
Hudson Taylor non avrebbe potuto sopravvivere in Cina, nei primi anni senza l’aiuto dei doni privati. Questo alterò i suoi rapporti con la società Cinese per l’Evangelizzazione, e nel 1857, egli lasciò la Società. Da quel momento in poi egli fu indipendente. La solitudine che Taylor aveva sperimentato durante i suoi primi mesi in Cina continuava a tormentarlo. Egli desiderava disperatamente una moglie e, sebbene la signorina Vaughn avesse rifiutato di venire in Cina con lui, Taylor non riusciva a dimenticarla.
Durante questo tempo di depressione e di incertezza Taylor giunse a Ningpo, un’importante città costiera a sud di Shanghai, dove incontrò Maria Dyer. Era una donna di grandi capacità, la cui consacrazione al Signore e alle missioni era fuori di dubbio. Nel marzo del 1857, diversi mesi dopo che Taylor e Maria si erano conosciuti, egli cominciò a corteggiarla. I mesi passarono e i due si videro una sola volta. Che incontro memorabile! Sancirono il loro fidanzamento, fra baci ed abbracci. Poi pregarono, parlarono e si baciarono ancora senza bisogno di scusarsi. Taylor scrisse: “Non ero fidanzato da molto tempo, ma tentai di ricuperare il numero dei baci che non avevo avuto nei mesi precedenti”. Il 20 gennaio 1858, Hudson e Maria si sposarono.
Maria era proprio la donna di cui Taylor aveva bisogno. Lei addolcì alcuni lati spigolosi della personalità del marito e lo aiutò a incanalare il suo entusiasmo e le sue ambizioni. Sin dall’inizio ci fu una vera collaborazione nel loro matrimonio. Essi rimasero a Ningpo per tre anni, durante i quali fu inaspettatamente affidato a Taylor l’incarico di supervisore dell’ospedale locale. Mediante quest’esperienza, egli si convinse che aveva bisogno di una migliore formazione in campo medico, ma la decisione di lasciare il loro posto in Cina non fu facile.
Nel 1860 i Taylor giunsero in Inghilterra per un congedo prolungato, che sarebbe servito a diversi scopi. Sia Hudson sia Maria avevano avuto seri problemi di salute, e necessitavano di un tempo di riposo. Taylor colse anche l’occasione per approfondire i suoi studi. Un’altra priorità durante il loro congedo, fu il lavoro di traduzione. Insieme con un assistente cinese che li accompagnò in Inghilterra, e con un altro missionario, Taylor fece una revisione del Nuovo Testamento in lingua ningpo, un compito arduo che alle volte lo impegnava per più di tredici ore al giorno. In questo periodo nacque la Missione per l’Interno della Cina.
La Missione non fu l’idea di uomo ambizioso o desideroso di vantare una propria organizzazione. Fu piuttosto il risultato di una visione che si sviluppò lentamente nella mente e nel cuore di un uomo desideroso di portare il vangeli ai milioni di cinesi. Ciò che commuoveva gli uditori di Taylor durante i suoi viaggi in Inghilterra, non era la sua eloquenza, né la vasta conoscenza, piuttosto la sua passione per le anime perdute. La Missione per l’Interno della Cina fu una società missionaria unica nel suo genere. Essa era interdenominazionale e in gran parte rivolgeva un appello alle classi operaie. Taylor cercava uomini e donne consacrate tra la classe operaia inglese, benché sapeva che se avesse dovuto attendere la mobilitazione dei ministri còlti e ufficialmente ordinati, la Cina non sarebbe mai stata evangelizzata. All’inizio egli fu riluttante ad assumere la direzione della missione, ma con il passar del tempo si rese conto del bisogno di una forte guida. Divenne praticamente un dittatore, pur rimanendo sempre sensibile alle esigenze personali di quanti lavoravano sotto di lui. Riguardo all’aspetto finanziario della missione e al sostegno personale dei missionari, essi non ricevevano uno stipendio fisso, perché dovevano piuttosto dipendere interamente da Dio per le proprie necessità. Nel 1865 la Missione per l’Interno della Cina fu fondata ufficialmente, e l’anno seguente Taylor fu di nuovo pronto ad imbarcarsi per la Cina. Con lui partirono Maria, i suoi quattro figli e quindici nuove reclute, tra le quali 7 donne nubili. Il periodo che Taylor trascorse in Inghilterra fu qualcosa di memorabile.
Il viaggio verso la Cina fu, in un certo senso, straordinario. Era la prima volta che un gruppo missionario così numeroso navigava insieme con il fondatore e direttore della missione, e l’impatto con l’equipaggio della nave fu drammatico. Quando doppiarono il Capo, il giuoco delle carte e le imprecazioni avevano ceduto il posto alla letture della Bibbia e ai cantici spirituali. Ci furono dei problemi. Nel gruppo missionario cominciavano ad insinuarsi i “germi del risentimento e della divisione” e, prima dell’arrivo a destinazione, dalla compagnia una volta armoniosamente unita uscivano ormai note stonate. Lewis Nicol, fabbro, capeggiò i dissidenti. Insieme con altri due missionari egli fece un’indagine, giungendo alla conclusione che loro come missionari della Missione per l’interno della Cina, avevano ricevuto meno equipaggiamento di quanto solitamente ricevessero i presbiteriani e altri missionari. A questa protesta se n’aggiunsero altre e Taylor si ritrovò ben presto bersagliato da più parti con dardi avvelenati. Taylor parlò “privatamente e affettuosamente” a ogni missionario, calmando così le discussioni, ma sotto la superficie rimasero dei sentimenti di ostilità che in un futuro non troppo lontano sarebbero culminati in una divisione quasi fatale.
L’autorità di Taylor fu contestata, e la Missione si trovò di nuovo in conflitto. Persino i sostenitori più fedeli di Taylor vacillarono. La situazione era tesa e le prospettive di rinnovare la comunione erano deboli. Come avrebbe potuto salvarsi da tale confusione il grandioso sogno di Taylor? Il prezzo pagato fu alto, ma la missione fu salvata: la piccola Gracie Taylor di otto anni, che il padre adorava, si ammalò. Il padre la stette vicino per molti giorni, dandole la migliore cura medica di cui fosse capace, ma le sue condizioni non migliorarono. Mentre prodigava le sue cure alla figlioletta, Taylor si dovette assentare per un viaggio di un giorno; il suo rientro fu ritardato, perché la sua presenza fu richiesta con urgenza in un’altra stazione per curare Jane McLean, una delle missionarie che lo aveva fortemente contrastato e che ora era molto malata. La sua malattia non era così grave come si pensava, e lei si riprese presto. Ma il ritardo di Taylor nel tornare a casa si rivelò fatale per Gracie. Nel giro di qualche giorno ella morì. Fu una tragedia straziante, ma salvò la Missione. Le offese furono dimenticate e l’effusione di condoglianze riportò i missionari insieme, ad eccezione di alcuni, tra cui una era proprio Jane McLean. La morte di Gracie non mise fine ai problemi della Missione per l’Interno della Cina. Il primo violento attacco contro i missionari giunse a Yangchow nel 1868. La casa della Missione fu incendiata e i missionari a malapena scamparono. Taylor non cercò mai la vendetta e non chiese la protezione britannica, ma alcuni politici opportunisti videro l’incidente di Yangchow come il pretesto ideale per mandare le cannoniere della Marina Reale a umiliare la Cina. Che ne pagò le conseguenze fu la Missione. Sebbene non fosse stato mai sparato un solo colpo, il Times di Londra lamentò che “il prestigio politico dell’Inghilterra era stato danneggiato”, incolpandone a “una compagnia di missionari che aveva il nome di Missione per l’Interno della Cina”. Questa pubblicità sfavorevole fu devastante, il sostegno finanziario calò e le potenziali reclute persero improvvisamente ogni interesse. Mentre la controversia internazionale infieriva sull’incidente, i missionari tornarono tranquillamente in quella città e continuarono il proprio ministero. La gente cinese aveva osservato il trattamento crudele subito dai missionari per mano di una minoranza di teppisti, e il coraggio da loro dimostrato nel tornare fu una testimonianza che aprì la porta a un’opera efficace. Fu fondata una chiesa che Emily Blatchley così descrive: “… i convertiti qui sono diversi da tutti gli altri che abbiamo conosciuto in Cina. Tra di loro esiste una vita, un calore e una sincerità particolari”. Ma le critiche contro Taylor non si conclusero. Gli editori dei giornali e i cittadini privati continuarono a inveire contro di lui. La sua disperazione divenne talmente grande da contemplare perfino il suicidio.
Ciò comunque che lo afflisse di più furono i conflitti interiori: “Mi odiavo, odiavo il mio peccato, eppure non trovavo la forza per opporvi resistenza”, disse, e più cercava di migliorare la sua spiritualità, meno si sentiva soddisfatto. Se non fosse stato per l’intervento di un amico, Taylor sarebbe forse crollato. Consapevole del problema di Taylor, 1’amico condivise in una lettera il segreto della propria vita spirituale: “Lasciare che il Salvatore che ci ama compia in noi la Sua volontà… dimorare in Lui senza lottare con le nostre forze e senza dibatterci… non dobbiamo sforzarci per avere fede o per aumentarla… tutto ciò di cui abbiamo bisogno e di guardare a Colui che e fedele, riposarsi interamente in Colui che amiamo “. Quella lettera cambio la vita di Taylor. Egli scrisse, infatti: “Dio mi rinnovò completamente”. Il rinnovamento spirituale di Taylor intervenne in tempo per sostenerlo durante un periodo di grandi prove.
Poco dopo il periodo natalizio, nel gennaio del 1870, i Taylor fecero i preparativi per mandare i loro quattro Figli più grandi a scuola in Inghilterra. Ma per questa famiglia così unita, la prospettiva della separazione si profilava traumatica. La cosa fu così grave che Sammy, un bambino fragile di appena cinque anni, non sopportò la cosa e morì un mese dopo. Malgrado questa tragedia i Taylor rimasero fermi nella loro decisione di mandare i figli in Inghilterra. A marzo i Taylor salutarono gli altri tre ragazzi con il cuore pesante. I bambini non immaginavano che i baci e gli abbracci che davano alla madre sarebbero stati gli ultimi. Durante la calda estate che seguì, Maria, in uno stato avanzato di gravidanza, si ammalò gravemente. All’inizio di luglio diede alla luce un figlio che sopravvisse meno di due settimane. Pochi giorni dopo anche Maria morì all’età di trentatré anni. Senza Maria, Taylor si sentiva smarrito. Egli si era appoggiato molto sull’aiuto e sul discernimento di lei, e gli mancava molto il suo profondo affetto. Sentiva fortemente la mancanza della compagna di cui era stato privato, e questo, senza dubbio, influenzò la sua decisione di visitare Yangchow nei mesi che seguirono alla morte di Maria. In quella località trascorse del tempo con Jennie Faulding, una missionaria nubile ventisettenne, che era stata una buon’amica di famiglia sin da quando erano arrivati insieme in Cina. L’anno dopo s’imbarcarono per l’Inghilterra, dove si sposarono. Tornando in Inghilterra, Taylor ebbe la gioia di riunirsi con i figli, ma trovò anche un sovraccarico di lavoro amministrativo ad attenderlo.
Le missionarie nubili erano comuni nella Missione. Da molto tempo Taylor si era reso conto della loro disponibilità e della loro potenziale efficacia nel ministero. Le donne cinesi, che erano più aperte degli uomini, potevano essere raggiunte con efficacia solo dalle donne missionarie. Taylor dimostrò l’alto grado di fiducia che aveva nelle donne, nel 1877, Egli si trovava nuovamente in Inghilterra con Jennie e i bambini, quando gli giunse notizia che terribili carestie stavano devastando il Nord della Cina. C’era disperato bisogno di soccorso, e si prospettava una straordinaria opportunità per l’evangelizzazione. Si erano già presentate delle volontarie per la Missione, ma non c’era nessun disponibile per guidarle. Taylor stesso era ammalato, e chi altri conosceva la Cina, la sua gente e la lingua abbastanza bene per guidare la spedizione? La risposta fu ovvia: Jennie. Ma la decisione per lei non fu facile, perché doveva lasciare un marito in cattiva salute e sette figli (due propri, i quattro di Taylor avuti da Maria, e un’adottata). Taylor la incoraggio fortemente ad andare.
Scrivendo a potenziali candidati, egli aveva precisato: “Se intendi che tua moglie sia soltanto una moglie, casalinga e amica, e non una vera missionaria, non unirti a noi”. Jennie fu “una vera missionaria”. Seguita da un gruppo di donne nubili, partì per l’interno della Cina del Nord, dove lei e le sue compagne d’opera lavorarono fino a quando Hudson, con altre reclute, le raggiunsero l’anno seguente.
Più Hudson viaggiava e lavorava in Cina, più sentiva il dovere di evangelizzare quell’immensa popolazione. Così egli si esprimeva: “Le anime muoiono dappertutto per mancanza di conoscenza; più di mille ogni ora vanno definitivamente a incontrare la morte e le tenebre”. Sebbene il compito sembrasse impossibile, Taylor aveva escogitato un piano. Se fosse riuscito ad avere mille evangelisti, e se ognuno di essi avesse potuto raggiungere con il vangelo duemilacinquecento persone, l’intera Cina sarebbe stata evangelizzata in poco più di tre anni. Il piano non era realistico e il suo obiettivo non fu mai raggiunto, ma, nonostante ciò, la Missione lasciò un’impronta indelebile sulla Cina. Entro il 1882 la Missione era penetrata in ogni provincia, e nel 1895, a trent’anni dalla sua fondazione, aveva più di 650 missionari consacrati al lavoro in Cina.
L’obiettivo principale della Missione non era di fare convertiti o di fondare chiese cinesi, ma di diffondere la conoscenza del vangelo in tutto l’impero, nel modo più veloce possibile. Tale politica non fu saggia. L’ostilità verso gli stranieri sfociò nella ribellione del partito dei Boxer. Gli ultimi anni del XIX secolo furono carichi di tensione e di inquietudine, e sulla Missione per l’Interno della Cina si addensavano nubi minacciose. Mano a mano che il potere imperiale si schierava con i conservatori, la situazione degli occidentali diventava sempre più precaria, finché, nel giugno del 1900, un decreto imperiale di Pechino ordinò la morte di tutti gli stranieri e l’annientamento del cristianesimo. Seguì il più grande olocausto della storia missionaria protestante: centotrentacinque missionari e cinquantatre figli di missionari furono brutalmente uccisi senza pietà. Taylor si trovava isolato in Svizzera mentre cercava di riprendersi da un forte esaurimento fisico e mentale, e le notizie che giungevano dalla Cina, sebbene attenuate da coloro che si prendevano cura di lui, quasi lo sopraffecero. Non si riebbe mai totalmente dal trauma. Nel 1902 si dimise dall’incarico di direttore generale della Missione e soggiornò con Jennie in Svizzera, fino alla morte di quest’ultima nel 1904.
L’anno seguente Taylor torno in Cina, dove morì in pace un mese dopo il suo arrivo. Negli anni che seguirono, la Missione per l’Interno della Cina continuò a crescere. Intorno al 1914 era diventata l’organizzazione missionaria straniera più grande del mondo, raggiungendo nel 1934 il suo apice con 1568 missionari. Dopo la salita al potere dei comunisti, nel 1950, la Missione fu espulsa dalla Cina insieme con le altre società missionarie. Nel 1964, dopo cento anni di servizio, la Missione per l’Interno della Cina cambiò il suo nome in “Overseas Missionary Fellowship”, un nome più rappresentativo delle sue crescenti iniziative missionarie in Oriente.
da: GRIDO DI BATTAGLIA
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