Il peccato
L’imperfezione umana.
Prestando attenzione ai termini usati nella Bibbia per definire il peccato, possiamo ben dire che l’esistenza umana è tutta peccato: mancare, trasgredire, sgarrare il bersaglio, inciampare, cadere, guastare, ignorare e rigettare volutamente quella morale che, inducendo al rispetto di determinate regole divine e naturali, comprese quelle dettate dalla coscienza, garantisce una buona relazione fra gli uomini, col loro ambiente naturale e col Creatore, per una piena affermazione della vita.
Il peccato è tutto ciò che va dalla minima mancanza, producente il minimo danno, allo sterminio vero e proprio della vita.
Potrebbe mai l’uomo esimersi dal peccato? No, esso è imperfetto per quell’imperfezione conseguita dai suoi progenitori allorchè decisero di opporsi a Dio. La perfezione è presente soltanto in Dio, è Dio stesso, pertanto ogni forma di imperfezione, ogni difettositè è una chiara dimostrazione di opposizione, nei riguardi di Dio.
Opposizione a Dio, questo è il vero peccato. L’uomo si è abituato a convivere con l’imperfezione, anzi la considera espressione di umanità: “Errare humanum est”. Questa è una constatazione, ma non va vista come condizione immutabile. L’uomo ha capito e, al fatto che “errare è umano”, ha poi aggiunto “perseverare autem diabolicum”, quasi a redarguire se stesso, a porre un limite al suo inevitabile errare o peccare.
Quante volte si deve commettere un peccato perchè questo risulti, non più solo umano, ma anche diabolico? In quanto siamo umani, in che misura ci è consentito peccare? La Parola di Dio può apparirci anche drastica, crudele, assolutistica, dittatoriale, inaccettabile, ma, senza lasciare alternative, Essa asserisce che non c’è peccato tollerabile. Non amare Dio è peccato, non amare il prossimo è peccato.Il peccato è significato da sentimenti e azioni amane come fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, ire, con-
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tese, divisioni, sette, invidie, ubriachezze, gozzoviglie, avarizia, sopraffazione, esercizio improprio dell’autorità, noncuranza o disprezzo dell’ambiente in cui l’uomo deve vivere e molte altre cose simili. In conseguenza di ciò, la Parola di Dio afferma che “il peccato genera la morte“ (1).
La perfezione di Dio è dimostrata dal fatto che in Lui non c’è ombra di contraddizione, Egli non muta i Suoi propositi, i Suoi giudizi, pertanto Egli non tollera il peccato cioè l’imperfezione, solo perchè motivato dall’ineluttabile debolezza umana. Egli è la vita. Pertanto solo nella perfezione c’è la vita, fuori di essa non c’è che la morte. Dio vive, Dio è vita e propone e dona questa vita all’uomo da Lui stesso destinato all’eternità. Anche l’uomo vuole vivere e, tentando con le proprie forze di evadere dall’imperfezione, dal peccato che lo avviluppa, cerca la vita là dove non l’ha mai trovata, cioè fuori, lontano da Dio.
Ma le sue imperfezioni lo perseguitano e gli precludono la vita tanto desiderata. Per ritrovarsi nel pieno della vita, l’uomo dovrebbe dunque ritrovarsi perfetto. É un’operazione irrealizzabile: dovrebbe identificarsi con Dio. Benchè la Parola di Dio ci offra uno spunto incoraggiante nel dire che “Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza”, l’idea di divenire Dio a sua volta, per risultare perfetto ed entrare in possesso della vita, non sfiora minimamente l’uomo dotato di intelligenza e consapevolezza. Eppure Dio ha provveduto a che l’uomo, venendo liberato completamente dal peccato, possa avere la vita nella sua pienezza (2). Grazie al suo intervento divino e nel contempo umano, Dio ha prodotto un perfetto nettamento dei peccati a favore dell’uomo che cessa di contare sulle proprie forze psico-fisiche per raggiungere la perfezione e la vita. Un simile uomo Dio lo purifica, lo perdona, lo giustifica e lo rende perfetto (3).
“Quel che è impossibile all’uomo…“
Gesù insegna ed infonde fiducia dicendo: “Quel che è impossibile all’uomo è possibile a Dio”. È il momento di abbandonarsi fiduciosamente in Dio. Dio stesso, rivelando la grandezza delle Sue compassioni e del Suo amore, assume la natura umana, e Gesù Cristo (4); rivela le Sue perfezioni sulla terra con una condotta, un insegnamento e un operato insuperabili, dimostra di essere Signore della vita risuscitando i morti; si addossa i peccati e lo stato di morte di tutto il genere umano (5) e, poichè “il peccato genera la morte”, patisce la crocifissione, al terzo giorno dal Suo decesso risuscita Se stesso (6), garantisce la Sua divina assistenza ai credenti (7), sale al cielo da cui era disceso (8), promette di tornare a stabilire il Suo regno milleniale e a giudicare i vivi e i morti (9).
Perchè giudicherà i vivi e i morti? Tutta l’umanità sarà posta di fronte al trono del Suo giudizio: la sentenza assumerà due aspetti: di condanna e di perfetta assoluzione, di perdizione e di salvezza, di morte e di vita. Saranno condannati i peccatori, cioè coloro che non avranno stimato la persona e l’opera redentrice del Cristo e non si saranno di conseguenza espressi nel mondo con la più grande delle virtù, l’amore. Saranno giustificati e salvati coloro che avranno apprezzato il sacrificio espiatorio del Cristo, per il quale i loro peccati sono stati cancellati e dimenticati, e avranno lasciato nel mondo il segno dell’amore di Dio.
I vivi sono dunque i credenti: il giudizio loro è positivo, Dio li considera perfetti. I morti sono gli increduli: peserà su di loro un giudizio di condanna, la morte eterna. Morti erano e morti resteranno. Questa morte non è però estinzione, annientamento, disintegrazione, come viene definita dalla setta pseudocristiana dei Testimoni di Geova, ma, come dice la Bibbia, consiste nell’incolmabile stato di sofferenza, l’inferno, che il peccatore stesso si procura, preferendolo alla misericordia, alla pietà e all’amore di Dio: “…saranno tormentati giorno e notte, nei secoli dei secoli” (10).
Ma c’è un peccato base, di cui quelli che abbiamo elencato dianzi non sono altro che la conseguenza, il cosiddetto peccato a morte, per il quale non c’è la possibilità di confessare a Dio, nè remissione. Si tratta della bestemmia o oltraggio diretta allo Spirito Santo (11).
È lo Spirito Santo che fa conoscere Dio all’uomo, che lo illumina riguardo al suo stato di perdizione e che gli prospetta la via d’uscita, la redenzione, la salvezza. Rifiutando questa opera dello Spirito, l’uomo conferma per sempre il suo stato di morte.
I Vangeli, la Bibbia in genere ci parla dell’amore di Dio e dello strumento da Lui mandato e usato per salvarci: Gesù Cristo, ma è lo Spirito Santo che ci convince riguardo all’autenticità e indispensabilità di questo fatto (12). Rifiutando questa convinzione, non resto nessun altro mezzo per aiutarci a capire Cristo, per accettarLo e per essere liberati dal peccato e dalla morte (13).
Per questa ragione Cristo e i Suoi diretti apostoli insistono sulla necessità di rimuovere il peccato fondamentale, cioè l’incredulità che mantiene separati (morti) da Dio. Rimosso questo, tutti gli altri vengono agevolmente rimossi (14).
“Noi predichiamo Cristo…“
Si insiste, anche a livello di cristianità, nel rinfacciare all’uomo le proprie debolezze morali: siete malvagi, violenti, guerrafondai, egoisti, bugiardi, ladri, insensibili alle altrui necessità, ecc. Simili rimproveri non servono a niente, come non serve a niente (perchè è una bugia accattivante) affermare che l’uomo è fondamentalmente buono. Certi leader della cristianità esortano l’uomo alla giustizia, alla bontà, all’amore, ma non gli indicano l’indispensabilità di un ravvedimento, di una conversione a Cristo, di un cambiamento radicale di spirito (15) , senza il quale i momenti di giustizia e di bontà sono sempre controbilanciati da ingiustizie, odio e cattiveria, verso cui Dio non è certamente disposto a chiudere un occhio.
È questo il momento di confessare la propria impotenza morale, le proprie vergogne a Dio, il fatto di averLo finora ignorato e avversato. È il momento di esprimere con infantile semplicità il desiderio di ritrovarLo per ritrovare la pace, la libertà, la giustizia, l’amore e la vera vita, mai e con nessun mezzo finora conseguite.
Ma è anche la chiesa che deve recuperare il messaggio portato da Cristo nel mondo. La chiesa non è chiamata a moralizzare, ma a salvare. Dalla salvezza scaturirà poi spontaneamente la morale di Dio. Pertanto si deve tornare a predicare Cristo e non l’etica cristiana, Cristo e non la giustizia, Cristo e non la pace. L’apostolo Paolo l’aveva ben capita questa necessità: “I giudei (mondo medio-orientale) chiedono dei miracoli, e i greci (mondo occidentale)chiedono sapienza; ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i giudei è scandalo e per i Gentili (le nazioni in genere) è pazzia… predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio…” (16). Gesù ha sempre insegnato che quanti credono in Lui devono anche essere testimoni di Lui (17) e non in un’etica, testimoni della Sua potenza e non di metodi educativi, psicologici e sociologici promulgati da educatori, moralizzatori, curatori di coscienze e di corpi che non hanno a loro volta risolto il proprio problema spirituale ed esistenziale, schiavi del peccato (18).
Il Vangelo è ancora la Parola che cambia l’uomo, è prima di tutto la Buona Notizia. E una buona notizia non parla di condanna, ma di salvezza, non di morte, ma di vita, non di giudizio, ma d’amore e di misericordia e del perdono di Colui che è il perfetto verso gli imperfetti. Solo in extremis si può elevare la voce del giudizio divino, della condanna, della morte eterna (19).
Pertanto tutti gli sforzi compiuti, anche nelle chiese, per aggiustare il comportamento dell’uomo, il suo aspetto esteriore, risulteranno precari e vani se non viene prima rimosso il peccato fondamentale, il disaccordo con Dio. Solo se: “Siamo giustificati per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore”. E chi è giustificato è anche giusto, e che è in pace con Dio, lo è anche con gli uomini. Una fede totale in Cristo una totale, anche se graduale, buona condotta e conduce alla totalità della vita. Contro il peccato…, “noi predichiamo Cristo“!Germano Giuliani
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