Henry Martyn 1781-1812
“Voglio consumarmi per il Signore!”. Queste furono le parole esclamate da Henry appena arrivò a Calcutta nel 1806. Non riuscì a realizzare appieno quanto fossero state vere quelle parole e come la fiamma della sua vita avrebbe bruciato velocemente. Infatti, sarebbe morto sei anni dopo all’età di 31 anni. Desideroso di dedicare interamente la sua vita all’opera del Signore in India, lo fede con incredibile determinazione e assoluta dedizione. Martyn compresse un’opera che avrebbe preso la sua intera vita in quei sei brevissimi anni.
Nato nel 1781 nella Cornovaglia, Inghilterra, Martyn aveva pensato di studiare Legge, ma, mentre si trovava nella prestigiosa Cambridge, il Pastore Charles Simeon stimolava l’interesse di Martyn verso le missioni con le storie di William Carey e della sua opera in India. Carey, il calzolaio, era andato in India nel 1792 ed in dieci anni aveva fondato una grande opera di testimonianza evangelica nella regione del Bengala. Martyn era altresì entusiasmato dalla lettura dei diari di David Brainerd, il missionario che svolgeva una notevole attività evangelistica, fatta con grande passione, tra gli Indiani d’America. Poco tempo dopo Henry decise di lasciare l’Inghilterra, come se tutti i suoi amici e la famiglia non esistessero più, come se fossero morti. La passione per le anime perdute aveva ormai infiammato il suo cuore. Martyn scriverà: “Attraversavo momenti di sconforto. Il pensiero di lasciare i miei affetti, le persone che amavo e che mi avevano accompagnato per tutta la vita, generava in me una sorta di tristezza mista a
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serenità. Sapevo che si trattava della volontà di Dio e anche se gli oceani mi avrebbero diviso da tutti , il Signore si sarebbe preso cura di ogni cosa. La preghiera è stata un grande conforto per tutti, insieme ci raccoglievamo presso il trono della grazia divina ed il Signore consolava il nostro cuore e ci faceva sentire più uniti”. Una volta in India, Martyn trascorsi i primi cinque mesi a Serampore.
Visse con la famiglia del Pastore Brown che svolgeva il suo ministerio a Calcutta ed era, inoltre, studioso di ebraico e lingue orientali. Anche il gruppo di William Carey si trovava a Serampore e Martyn ebbe la possibilità di conoscere il “Padre delle Missioni Moderne”. Carey stesso si rallegrò nel conoscerlo e disse che dove si trovava Martyn non c’era bisogno che andasse alcun altro missionario. Lo zelo per l’Evangelo che caratterizzava il giovane missionario, il suo spirito umile e la padronanza con le lingue lo rendevano un missionario veramente capace.
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Henry Martyn svolse il suo ministerio in India dal 1800 al 1810, prima a Dinapore e poi a Cawnpore. Durante quel periodo tradusse il Nuovo Testamento nella lingua Indù. Facendosi personalmente carico di tutte le spese, fondò numerose scuole per la popolazione locale. Predicava l’Evangelo instancabilmente e spesso subiva violenze fisiche a causa del suo fervore evangelistico. Martyn tradusse il Nuovo Testamento e i Salmi in persiano perché era la lingua usata nei tribunali musulmani in India. Da Calcutta a Damasco, sembrava che un quarto del globo comprendesse quella lingua e il Nuovo Testamento tradotto da Martyn fu il primo che raggiunse quell’immensa popolazione.
Lavorando senza sosta nella missione, la cagionevole salute di Martyn ne risentì subito. Sofferente di tubercolosi che aveva già portato alla morte i suoi genitori e sua sorella, i dottori gli consigliarono immediatamente un lungo viaggio in mare per potersi riprendere dalla malattia. Decise, allora, nel gennaio 1811 di partire per la Persia (il moderno Iran). Attraversare l’Oceano Indiano portò qualche giovamento per la sua salute fisica ma questo beneficio durò poco a motivo del caldo intenso che lo accompagnò durante il viaggio verso la città di Shiraz, un centro culturale situato a 1600 metri di altitudine e a 935 Km di distanza dall’attuale Teheran.
Tutt’oggi Shiraz è conosciuta come la “capitale della poesia” della Persia. In quel luogo Martyn riprese le sue forze e si dedicò ad affinare il persiano e a preparare una nuova versione del Nuovo Testamento che fu presentata ufficialmente allo Scià di Persia il quale apprezzò l’opera e ne auspicò la diffusione. Lo stesso Nuovo Testamento fu stampato dalla Società Biblica Russa ed una nuova edizione fu prodotta a Calcutta nel 1814. Spesso Martyn si incontrava con intellettuali di religione islamica per riaffermare la divinità di Cristo ed annunciare senza sosta l’Evangelo della grazia.
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Unico credente in quel posto, le lettere e diari di Martyn fanno trasparire le battaglie spirituali e le vittoria della fede in Dio, unico sostegno. Dai suoi appunti leggiamo: “Getto ogni mio peso sul Signore, Colui che ha già compiuto meraviglie per me e sono certo che, avvenga ciò che avvenga, sarà per il mio bene, sarà il meglio per me. Qual gran privilegio poter riposare come piccoli fanciulli tra le braccia del nostro Padre celeste! Ho scoperto che la mia sapienza è follia, e le mie preoccupazione inutili, perciò voglio vivere un giorno dopo l’altro confidando in Lui, felice di sapere che Dio mi ama e che ha cura di me”.
Spesso colpito da febbri altissime, Martyn fu costretto a tornare in Inghilterra. Viaggiando via terra fino a Costantinopoli fu sopraffatto dalla sua malattia. Morì nell’Anatolia centrale, in Turchia, e fu seppellito da sconosciuti nella città di Tocat il 16 ottobre 1812. Si era “consumato” per il Signore, ora sentiva le parole del Maestro che gli diceva: «… Va bene, buono e fedele servitore; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore» (Matteo 25:21).
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