AMICIZIA
L’esempio offertoci dalla relazione vissuta dal Signore Gesù con i Suoi discepoli e, per estensione, dalla relazione che vuole vivere con ciascuno di noi, ci ricorda quale valore Egli abbia dato all’amicizia: un valore di cui sarà bene tener conto nel nostro cammino.
«Nessuno ha amore più grande di quello di dar la sua vita per i suoi amici. Voisiete Miei amici, se fate le cose che Io vi comando. Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo signore; ma vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre Mio» (Giovanni 15:13-15).
Amicizia e amore
Con la parola amicizia, nel linguaggio comune, si intende normalmente quello che espongono i vari dizionari uno dei quali, il Ragionato (G. D’Anna-Sintesi-Firenze) così si esprime: “Vivo sentimento di affetto, comprensione, fiducia, stima che lega reciprocamente due o più persone”, un altro, il Garzanti, afferma: “Legame sentimentale basato su affinità di idee e reciproca stima” sinonimo di: dimestichezza e familiarità.
Si evince immediatamente che il termine esprime un concetto che, riferito ad una o più persone, le identifica come possessori di sentimenti che si concretizzano in azioni di benevolenza e di amore verso un prossimo particolare oserei dire: selezionato proprio perché si parla di “affinità di idee”.
Quando i traduttori della Bibbia i LXX (settanta) dovettero, dall’ebraico, esprimere in termini greci i concetti di amore si trovarono di fronte ad un unico termine “aheb” il cui sostantivo “AHaBA” tradussero con “agapao”, agape in italiano, che verrà poi utilizzato prevalentemente per esprimere il rapporto tra Dio e uomo.
I Greci, molto precisi e fantasiosi, usavano altri due termini; il primo ed il più utilizzato è “phileo” (=affezione verso una persona o una cosa) da cui deriva “philos” (parente, amico) e “philia” (amicizia, amore); “philema” (bacio); “philadelphia” (amore fraterno); “da adelphos” (fratello carnale), 1 Pietro 3:8.
Il secondo termine è “erao” (=amare passionalmente); da cui “eros”, amore passionale e possessivo.
Nell’Antico Testamento
In tutto l’Antico Testamento la parola “amore” viene usata poco e con cautela. L’Antico Testamento è distante da ogni forma di misticismo che invece permea tutta la letteratura greca.
Non vi si trova mai il discorso dell’elevarsi dell’uomo a Dio come per l’eros greco o per la “gnosi” (conoscenza) che costituirà una devianza nella dottrina della chiesa primitiva; al contrario nell’Antico Testamento ogni pensiero, sentimento e atto dell’uomo, ivi compreso anche il culto, sono presentati sempre come una risposta a un precedente intervento di Dio.
Inoltre l’Antico Testamento presenta Dio, prioritariamente, come Colui che elegge, che crea, che interviene concretamente nella natura, nell’uomo, che chiama un popolo concludendo con lui una alleanza, gli dona la terra e la legge.
Giustizia, fedeltà, grazia, amore, misericordia compassione, perdono… Sono concetti che riassumono l’azione di Dio. Il popolo risponde col giubilo, la lode e l’obbedienza, molte volte, purtroppo, solo formale.
Tutto l’Antico Testamento è permeato dai concetti di grazia e di giudizio. Solo i profeti osano evocare l’amore di Dio come motivo soggiacente alla Sua azione elettiva. Infatti quando il popolo devia lasciandosi trascinare in cultualità idolatriche, come quelle cananee, Osea così descrive la collera gelosa del Padre deluso, dell’amore tradito: «…Come farei a lasciarti, o Efraim, come farei a darti in mano altrui, o Israele… Il Mio cuore si commuove tutto dentro di Me. Tutte le Mie compassioni s’accendono. Io non sfogherò l’ardente Mia ira, non distruggerò Efraim di nuovo, perché sono Dio e non un uomo, sono il Santo in mezzo a te e non verrò nel Mio furore….» (Osea 11:7-9).
L’ “amore elettivo” così ben espresso è la motivazione del comandamento di amare Dio e di osservarne i precetti: «…Tu amerai dunque l’Eterno, il tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua e con tutte le tue forze. E questi comandamenti che oggi ti dò ti staranno nel cuore…» (Deuteronomio 6:5,6).
Per esemplificare l’amore umano in modo non generico viene dato il comandamento circa lo straniero: «…Il forestiero che soggiorna fra voi …l’amerai come te stesso, perché anche voi foste forestieri in Egitto…» (Levitico 19:34).
Amare qui significa quindi comportarsi come verso un amico.
Gesù riprenderà questi concetti dicendo ai discepoli: «…Se voi Mi amate, osserverete i Miei comandamenti…» (Giovanni 14:15).
Dio offre la Sua amicizia all’uomo
Questo lungo preambolo per dimostrare che l’amore umano si esprime attraverso l’amicizia, non può prescindervi. È vero che Gesù ha insegnato e comandato di amare i nemici (Matteo 5:44,45), ma chiediamoci: “Com’è possibile realizzare questo se abbiamo difficoltà ad amare gli amici, i fratelli coloro che ci stanno vicini?”.
Dobbiamo evidentemente imparare da Dio ad essere amici, a vivere con la disponibilità interiore all’amicizia ed alla concordia a guardare gli altri con gli occhi di Dio.
Vediamo dunque come si comporta Dio: il grido appassionato messo sulle labbra del profeta Osea dimostra quali sentimenti animano Dio nei confronti del suo popolo infedele, riottoso ed ingrato.
Dio manifesta con chiarezza il Suo essere vincolato alla Sua fedeltà, alla Sua Parola alla Sua santità, caratteristiche che Lo hanno animato nell’atto creazionale ed alle quali non può venire meno soprattutto verso l’uomo che ha creato a Sua «immagine e somiglianza» (Genesi 1:27) e proprio in questo si rivela la sua intenzione di stabilire con l’uomo un rapporto di amicizia parlandogli consigliandolo dandogli ogni indicazione utile per la sua vita.
Anche dopo il peccato Dio non vien meno a questo; leggiamo infatti: «…E udirono la voce di Dio il Signore, il quale camminava nel giardino sul far della sera…»; «Dio il Signore chiamò l’uomo e gli disse: “Dove sei?2…» (Genesi 3:8-9). Dio parla non dall’alto ma all’altezza d’uomo, vicino all’uomo, nel suo ambiente; lo fa con familiarità, con affetto premuroso, con spirito amichevole.
Anche i provvedimenti che è costretto a prendere sono permeati da questo spirito di amicizia volto a riparare il danno. (Genesi 3:22).
Successivamente, per bocca del profeta Isaia, Abramo viene definito “l’amico di Dio” (Isaia 41:8; Giacomo 4:4).
Di Mosè vien detto: «…Ora il Signore parlava con Mosè a faccia a faccia come un uomo parla col proprio amico…» (Esodo 33:11).
È sempre Dio che parla, che parla per primo ma parla come un uomo al proprio amico. E così farà in seguito in molte altre occasioni: alla chiamata di Samuele (1 Samuele 3:10-14; con Giobbe il suo dialogo è serrato; Isaia e Geremia odono la parola del Signore e la trasmettono al popolo; Ezechiele spaventato da una visione abbagliante disse: «..A quella vista caddi sulla mia faccia e udii la voce di uno che parlava. Mi disse: “Figliuol d’uomo alzati in piedi ed io ti parlerò”… » (Ezechiele 1:28; 2:1).
Anche in un contesto surreale il Signore manifesta il desiderio che l’uomo stia davanti al suo Dio nella condizione di dignità che gli ha conferita come immagine di sé stesso. L’amicizia è il coronamento di questo rapporto fondantesi appunto sulla dignità, il rispetto e la fiducia!
Mediante le parole suggerite a Geremia il Signore constata la consapevolezza di Israele circa l’amicizia di Dio però concomitante alla totale infedeltà:
«…Mi hai appena gridato: “Padre mio tu sei stato l’amico della mia giovinezza! Egli sarà forse adirato per sempre? Serberà forse la sua ira sino alla fine?” Ecco tu parli così ma intanto commetti tutto il male che puoi!…» (Geremia 3:4-5).
Consapevolezza senza reciprocità! Anzi, la bontà di Dio utilizzata come giustificazione del male! Questa è la risposta dell’uomo all’amicizia di Dio.
La volontà di amicizia rivelata da Dio nel dono del Suo Figlio
Ma Dio, dopo un lungo silenzio durato quasi 400 anni ha continuato a parlare e «ha parlato a noi per mezzo del figlio» che «…dopo aver fatto la purificazione dei peccati,… si è seduto alla destra della Maestà nei luoghi altissimi…» (Ebrei 1:2-3).
Il Dio dell’amicizia, il Creatore amico della Sua creatura, il Signore che chiama amici i Suoi servi (Giovanni 15:5) ha reso concreta questa volontà di amicizia attraverso il perdono originato dal sacrificio del Figlio.
Il Creatore si è posto alla pari della sua creatura, è entrato nella dinamica della carne con tutti i pericoli, le tentazioni le sofferenze che ciò comporta per ogni uomo; Egli se n’è fatto carico fino al punto di poter affermare: «…Nessuno ha amore più grande di quello di dare la Sua vita per i suoi amici…» (Giovanni 15:13).
Non possiamo non leggere in questa affermazione fatta in un contesto di incomprensione, ma anche di disillusione e di odio autentico che lo porterà sulla croce, la portata divina di salvezza, di speranza e di gioia che traguardava il futuro.
Aveva a che fare con l’inimicizia palese ma anche occulta o dissimulata, ma, come in Osea, Egli era il Santo ed ora anche un uomo consapevole che l’inimicizia può essere vinta e abbattuta solo con l’amicizia e il sacrificio.
Paolo dirà: «…Lui è la nostra pace…ha abbattuto il muro di separazione abolendo nel Suo corpo terreno la causa dell’inimicizia, la legge fatta di comandamenti in forma di precetti per creare in sé stesso dei due un solo uomo nuovo facendo la pace per riconciliarli tutti e due con Dio in un corpo unico mediante la Sua croce sulla quale fece morire la loro inimicizia…” (Efesini 2:14-16).
Paolo parla di un odio etnico-religioso fra il popolo di Israele ed i Gentili, al quale soggiace il peccato che rende impossibile il vivere secondo la Legge; un odio che si manifesta costantemente e che arriva fino ai nostri giorni come pretesa di miglior servizio e rappresentanza di Dio.
È un peccato epidemico che ci tocca da vicino perché è collocato nel cuore: «…Poiché dal cuore vengono pensieri malvagi, omicidi, adulteri, fornicazioni, furti false testimonianze, diffamazioni. Queste sono le cose che contaminano l’uomo…» (Matteo 15:18, 19). In queste parole di Gesù tutti gli uomini sono accomunati al di fuori e al di là di ogni loro modo di distinguersi, di associarsi o dissociarsi di essere amici o nemici.
Ricevere l’amicizia di Gesù per diventare Suoi amici
Dirà ancora Gesù: «…Questo è il Mio comandamento, che vi amiate gli uni gli altri come Io ho amato voi…Voi siete Miei amici se fate le cose che Io vi comando…»(Giovanni 15:12-14).
In questo modo Gesù ci coinvolge non solo nel Suo amore ma nella sua capacità di amare; essere amici di Gesù vuol dire essere capaci di amare come Lui ci ha amati; vuol dire essere amici fra di noi come Lui è stato amico di ognuno di noi; vuol dire aver rispetto fra di noi come Lui ha avuto rispetto di ognuno di noi!
Dirà infatti: «…Io non vi chiamo più servi perché il servo non sa quello che fa il suo signore; ma vi ho chiamato amici perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre…» (Giovanni 15:15).
Il rendere edotti gli uomini del consiglio di Dio, della Sua volontà, della Sua grazia è il più grande gesto di rispetto di Dio verso l’uomo e, conseguentemente dell’uomo verso l’uomo, ma in quest’ultimo caso trova la sua significanza e valore quando l’uomo che la trasmette lo fa con in cuore l’amore di Dio, con lo Spirito del Figlio, dell’amico e non del servo che si sente gratificato e giustificato solo dall’azione senza tener conto della motivazione (1 Corinzi 13:3).
Paolo dirà ai Romani: «…Quanto all’amor fraterno siate pieni di affetto gli uni per gli altri. Quanto all’onore fate a gara per rendervelo reciprocamente… provvedete alle necessità dei santi, esercitando con premura l’ospitalità…» (Romani 12:10-13).
Essere amici di Gesù significa anche:
· accoglierci vicendevolmente,
· avere un solo animo ed un solo sentimento (Romani 15:5-7),
· essere positivi e propositivi (1Pietro 4:7),
· essere insomma veri amici soprattutto nei momenti di difficoltà di bisogno e di sofferenza.
Gionatan e Davide: un esempio eccezionale ma non irripetibile!
Abbiamo un ultimo esempio di amicizia nella Scrittura che va ricordato: l’amicizia fra Gionatan, figlio di Saul, e Davide.
In 1 Samuele leggiamo: «Appena Davide ebbe finito di parlare con Saul, Gionatan si sentì nell’animo legato a Davide e Gionatan l’amò come l’anima sua… Per l’amore che aveva verso di lui Gionatan fece di nuovo giurare Davide perché egli l’amava come la sua stessa vita…» (1 Samuele 18:1).
Davide, a sua volta, nell’elegia per la morte di Gionatan, così si esprime:
«…Io sono in angoscia a motivo di te, Gionatan fratello mio, tu mi eri molto caro e l’amore tuo per me era più meraviglioso dell’amore delle donne…» (2 Samuele 1:26).
Queste dichiarazioni vanno lette nel contesto degli avvenimenti che hanno coinvolto Gionatan e Davide; ma proprio per questo risalta il legame affettivo e di amicizia fra i due protagonisti, il cui rapporto potrà anche essere ritenuto eccezionale ma non per questo impossibile e irripetibile.
È infatti un’esperienza vissuta alla quale anche noi, che siamo stati chiamati da Dio, non possiamo sottrarci idealizzandolo, collocandolo in uno spazio metafisico irraggiungibile per consolarci nella nostra debolezza ed infedeltà.
D’altro canto le affermazioni di Gesù e le esortazioni di Paolo e Pietro prima citate ma anche di Giovanni che scrive: «…carissimi, se Dio ci ha tanto amati anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri…» ed aggiunge: «…se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e il Suo amore diventa perfetto in noi…» (1 Giovanni 4:11, 12) ci rimandano agli stessi contenuti di amicizia e di amore.
Come Dio che è santo ci vuole santificati e santi così, essendo anche “amore” ed essendo amico dell’uomo, ci vuole ripieni di amore e disponibili all’amicizia fra di noi e con tutti.
I Suoi obiettivi sono alti come Egli è alto!
Possono sembrare irraggiungibili; ma in realtà mediante Gesù siamo stati raggiunti nella nostra umanità e debolezza ed ora, per mezzo Suo, possiamo anelare alla Sua perfezione ed adoperarci con tutta la nostra volontà per amare i nostri fratelli e tutti gli uomini nella profonda convinzione che solo l’amicizia e l’amore, che è «… forte come la morte…» (Cantico dei cantici 8:6), sono vittoriosi in questo mondo e nella prospettiva del mondo a venire.
Gianpirro Venturini
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