Giobbe cap. 10; 23 Non è possibile cercare aiuto in altri che in Dio stesso, anche se Egli è un Dio che non si lascia comprendere.
Una fede vera non dovrebbe forse rimanere in piedi anche senza alcuna “siepe”? Non dovrebbe essere in tal senso una fede per nulla?
E la risposta è che sì, è possibile la fede per nulla; che anzi solo quando essa è per nulla si tratta di fede vera. La vera fede (timor di Dio) è quella che rimane ferma anche quando all’uomo è tolto tutto, patrimonio, affetti, e soprattutto salute. Il libro di Giobbe intende rispondere alla domanda: è possibile la fede anche a fronte della sofferenza? E più radicalmente, è possibile la fede? Soltanto una fede che resti ferma a fronte della sofferenza infatti appare come una fede vera. Questo è dunque il sorprendente potere della sofferenza: far apparire incerto ciò che invece sembrava certo e affidabile.
La protesta è il documento della nostra arroganza, della nostra pretesa di sapere che cosa Dio dovrebbe fare o rispettivamente dovrebbe non fare. L’argilla protesta con il vasaio!
Purtroppo, si protesta sul modo di agire di Dio, e non invece sul nostro modo di agire.
Dopo essere passato attraverso la voglia di morire Elia giunge al colloquio familiare con Dio, Dio parla a Giobbe dal turbine, perché Giobbe deve essere ricondotto alla consapevolezza della sua condizione umile; humilis vuol dire tratto dalla terra (humus); e dunque vuol dire anche vivo per un soffio. Giobbe deve ricordare che egli vive per un soffio, quello di Dio. La pretesa di Giobbe di giudicare l’operato di Dio equivale alla volontà di oscurare il consiglio di Dio con parole insipienti.
Il dolore parla, addirittura insegna. Per alcuni sarebbe troppo dire che Dio fa soffrire l’uomo per educarlo; e tuttavia anche attraverso la sofferenza l’uomo apprende.
Certo, è facile, in momenti di debolezza, nutrire cattivi sentimenti. Però, il farlo non risolve nulla, anzi ci porta solo a peccare contro Dio e a stare peggio.
Quando i pesi della vita sono tanti, quando siamo afflitti, in quei momenti è facile togliere gli occhi da Dio e fissare lo sguardo sulle difficoltà e sui dolori. Quando facciamo così, è quasi inevitabile che peccheremo come Giobbe.
Quello che serve, in questi momenti, è di continuare a guardare a Dio con fede, e non dobbiamo dare un nostro personale parere sulle situazioni della vita. Confida nel Signore e appoggiati al tuo Dio: “…Sebbene cammini nelle tenebre, privo di luce, confidi nel nome del Signore e si appoggi al suo Dio” (Isaia 50:10). Non lanciare accuse nei confronti di Dio, né con i pensieri, né con le parole e né con i fatti.
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