“Ho voluto riflettere per comprendere” (Salmo 73:16)
Se si prova invidia vuol dire che non si è soddisfatti di Dio e di ciò che Egli dona.
Asaf era tormentato dall’invidia per come vivevano gli empi. Ma se Asaf non si fosse posto delle domande, se non si fosse arrovellato cercando di trovare una risposta, se si fosse lasciato convincere che la loro vita è la migliore forse, agendo d’impulso, avrebbe definitivamente perso la fede. Cosa lo ha spinto a porsi delle domande e a riflettere? Il dubbio. E ciò lo portò a riflettere e a trovare le risposte entrando nel santuario di Dio. Badate bene che il dubbio non è sempre una cosa negativa, anzi dubitare significa interrogare, mettere in discussione ciò che sorge dentro di noi. C’è un detto cinese che dice:
“Grande dubbio, grande illuminazione; piccolo dubbio, piccola illuminazione; nessun dubbio, nessuna illuminazione”,
ribadendo come il dubbio, l’interrogare, sia la chiave indispensabile al risveglio.
Chi si pone delle domande vuol dire che non vuole arrendersi e non vuole accontentarsi di ciò che appare e di ciò che ascolta.
Continuare a porre la domanda significa rimanere aperti ed esposti, quando si è bloccati o sopraffatti da un problema, ci si può chiedere “Qual è il problema?”.
Il cristiano si deve chiedere il perché è triste, il perché non ha la capacità di trarre tanto dal nulla e di gioire del poco, di trovare la felicità in quello che si ha. Domandarsi il perché non è allegro, sorridente e positivo anche quando vivono momenti di grande difficoltà. Perché? Quanto noi diciamo di sapere ma nel frattempo non capiamo e non mettiamo in pratica ciò che sappiamo. “Il Signore è la mia forza… Il Signore è la mia luce: di chi avrò paura?”, sì, e intanto si è deboli come un fiore e tremanti come foglie. Il cristiano sà che chi cammina secondo lo Spirito non adempirà affatto i desideri della carne, ma continua a camminare come gli pare e piace.
“Il Signore è con te”, – “sì, lo so, ma…”; “Il Signore sà bene ciò che è meglio per te”, – “sì, lo so, ma voglio comunque ciò che è bene per me.”
Il sapere non si deve fermare alla conoscenza ma all’incarnare gli insegnamenti nella propria vita.
Riflettere significa considerare con attenzione, ripensando e meditando.
Su cosa si deve basare la riflessione? Sull’azione, cioè porre attenzione al contesto in cui si agisce, soprattutto per cogliere le situazioni incerte e non agire
immediatamente sulla base delle nostre abitudini di comportamento e di interpretazione. “Signore cosa devo fare?”, “Signore qual’è la Tua volontà?”, quindi ci deve portare a consultare il Signore, sempre.
La riflessione aiuta ad assumere maggior consapevolezza circa le proprie scelte, consente di approfondire, di verificare ed ampliare le conoscenze acquisite, ed è un’occasione di riflessione critica su di esse.
È la capacità di previsione, di anticipazione di quello che si andrà ad ascoltare, leggere, vedere, e la capacità di pre-selezionare.
Di cosa ci nutriamo? Cosa guardiamo e cosa ascoltiamo? Cosa è meglio fare? Non fermiamoci a dire “Cosa c’è male?”, non cresceremo mai in questo modo, e rimarremo superficiali.
La riflessione porta ad individuare i propri limiti come anche le proprie
potenzialità:
– Correggere eventualmente i propri
atteggiamenti, razionalizzare pregiudizi, idee stereotipate, dando una prospettiva diversa a quella cui si è abituati;
– mira ad apprendere dall’esperienza;
– Atteggiamento esplorativo e di ricerca, quindi ad imparare a osservare ed a confrontare.
La metafora del vaso ci aiuta a descrivere i possibili atteggiamenti che si possono avere circa l’ascoltare, lo studiare gli insegnamenti, e in generale verso la pratica stessa. Il vaso capovolto rappresenta la situazione in cui non c’è interesse e nemmeno curiosità, e quindi in pratica non si ascolta, mentre il vaso pieno indica la condizione in cui crediamo (consciamente o inconsciamente) di sapere già tutto, diamo tutto per scontato: in questo caso manca “spazio” per un ascolto vero. Quando il vaso è bucato il nostro interesse è solo superficiale, manchiamo di serietà, di perseveranza, di energia, e quindi la comprensione non arriva, mentre il vaso sporco indica che la nostra motivazione non è pura, è una motivazione puramente egoistica e mondana; ad esempio seguiamo la pratica perché ci è utile socialmente, perché ricerchiamo un’accettazione sociale, per denaro, potere o prestigio: in questo caso possiamo anche ottenere una certa conoscenza degli insegnamenti, ma sarà una conoscenza solo superficiale, solo accademica, che non funziona veramente.
Un vaso rivolto verso l’alto, vuoto, integro, pulito indica l’atteggiamento corretto: cioè c’è interesse o perlomeno curiosità verso l’insegnamento e siamo aperti e ricettivi a ciò che ci viene detto; inoltre abbiamo sufficiente energia e perseveranza per mettere in pratica gli insegnamenti – è comunque Dio che ci dà la forza e la capacità di farlo – e la nostra motivazione ci spinge verso una conoscenza reale, una comprensione che è salutare e benefica sia per noi stessi e che per gli altri. Chi si rivolge a Dio si deve svuotare di sé stesso, delle proprie convinzioni e delle proprie idee, della propria volontà, per essere riempito solo della Sua presenza, del Suo modo di pensare, della Sua parola, e della Sua volontà.
La riflessione è diretta a comprendere qual è il senso, che valenza hanno gli insegnamenti nella propria vita: un senso, una valenza che sono esistenziali e non astratti. La domanda “che cosa significa per me, in questo momento, ciò che ho ascoltato o letto?” “che senso ha la pratica nella mia vita quotidiana?”; un dubbio fecondo, che continuamente ci aiuta a non dare nulla per scontato e ci permette di ritrovare semplicità e freschezza, ci permette di risvegliarci al presente, ci spingerà di meditare la parola di Dio e di spendere del tempo alla presenza di Dio in preghiera per ascoltarLo.
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