Acqua nel deserto
«Allora il Signore disse a Mosè: “Mettiti di fronte al popolo e prendi con te alcuni degli anziani d’Israele; prendi anche in mano il bastone col quale hai percosso il fiume e va’. Ecco io starò là davanti a te, sulla roccia che è in Oreb; tu colpirai la roccia: ne scaturirà dell’acqua e il popolo berrà”. Mosè fece così in presenza degli anziani d’Israele» (Esodo 17:5-6).
Israele ricevette un meraviglioso e impagabile dono. Dalla roccia battuta vi scaturì dell’acqua. Essa era un regalo dato direttamente da Dio, piena di vita e benedizione.
Essa diede la possibilità al popolo di Dio di poter incamminarsi nel deserto.
Tutto il popolo bevve di quell’acqua e ne furono rinvigoriti. Sia uomini che animali poterono bere di quell’acqua.
In questo racconto è nascosta per noi una ricchezza di significati spirituali.
«Se qualcuno ha sete, venga a Me e beva» (Giovanni 7:37); in questo modo il Signore chiama ancora il Suo popolo, Cristo sul Golgota è per la comunità del Nuovo Testamento la roccia percossa (1 Corinzi 10:4).
Da Lui scorre la provvidenza divina, che sazia ogni cuore desideroso.
Così ricolma è la pienezza del Signore Gesù Cristo, il quale è risorto ed è vivente, che Egli aggiunge una bella promessa: «Chi crede in Me, come ha detto la Scrittura, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno (dal profondo della propria vita)» (Giovanni 7:38).
Ciò vuol dire che il credente stesso, il quale rimane nella roccia Gesù Cristo e beve della Sua acqua, diverrà un canale di benedizione per le persone che sono assetate (Giovanni 7:37-39; Giovanni 4:10, 14).
Conservare le benedizioni celesti
Durante il cammino nel deserto nulla era più importante dell’acqua.
Grossi conflitti vi erano sempre tra le tribù migranti che si contendevano la proprietà dei pozzi o delle fonti d’acqua. Quindi non è sorprendente che il diritto del popolo di Israele sulle rive dell’Oreb venne contestato.
Gli amalechiti volevano cacciare via gli israeliti, per poter godere loro della ricchezza di quella nuova oasi.
Come guerriglieri esperti nel deserto certamente avevano più vantaggi degli schiavi da poco liberati dalla schiavitù. Eppure, anche se gli israeliti erano inesperti di guerra, dovettero prendere le loro armi e difendere ciò che spettava loro.
Il combattimento stesso con le loro proprie forze comportava per gli israeliti poca speranza di successo.
Ogni volta che la forza divina si indeboliva, quando le braccia stanche di Mosè si abbassavano, «Amalec vinceva». Gli israeliti non erano capaci di vincere, la loro vittoria proveniva solo da Dio, attraverso la «roccia spirituale che li seguiva».
Durante i primi tempi come cristiano, quando il cuore è ripieno di grande pace e gioia e del primo amore e quando la gioia del Signore illumina ogni cosa, allora i piedi sono come quelli delle cerve, si pensa di poter sempre camminare sulle alture spirituali (Abacuc 3:19).
Ben presto però ci si rende conto che si è al centro di un combattimento spirituale, che le tentazioni si moltiplicano e che la fede spesso sembra cedere nella lotta contro lo scoraggiamento.
I nemici spirituali contestano ogni passo in avanti di chi vuole vincere.
Cercheranno di confonderlo tentando così di fargli perdere la giusta via o di introdurlo ad una falsa dottrina. Lo possono aggredire nella sua persona, nella sua situazione anche finanziaria e sociale o attraverso la sua famiglia o gli amici.
Il nemico ha sempre lavorato con questo metodo.
In mezzo ai figli di Israele cercò di tentare il popolo con l’idolatria e con la fornicazione con i pagani.
Israele fu indotto a lamentarsi contro la provvidenza divina, a non aver più fiducia in Dio, e spesso il popolo venne aggredito da forze esterne.
Ciò vale anche oggi: «l’insidia del diavolo» (Efesini 6:11) si usa di mezzi esterni ed interni per impedire che la vita ed il ministero sia del singolo cristiano che della comunità portino frutto.
Ci sono certi pastori sinceri che piangono nella presenza di Dio perché le loro comunità sono fredde o disunite.
L’evangelista unto viene disturbato nel suo ministero perché si spande nell’atmosfera della riunione qualcosa di oppressivo e paralizzante che ostacola la libertà del suo spirito impedendo così che le persone vengano a Gesù Cristo.
In tanti casi sembra che si prega, anche per diverso tempo, senza avere effetto sul problema. Anzi sembra che la preghiera è senza vita e Dio è lontano.
Qualche volta il nemico va subito al contrattacco quando vede che si trama qualcosa particolare contro lui. I collaboratori crollano, la malattia indebolisce il corpo, si perdono d’occhio le mète spirituali e lo scoraggiamento paralizza ogni sforzo per il Signore.
Esperienze di questo genere sono abbastanza comuni come molti possono testimoniare.
«Allora venne Amalec per combattere contro Israele a Refidim. E Mosè disse a Giosuè: “Scegli per noi alcuni uomini ed esci a combattere contro Amalec; domani io starò sulla vetta del colle con il bastone di Dio in mano”. Giosuè fece come Mosè gli aveva detto e combatté contro Amalec; e Mosè, Aaronne, e Cur salirono sulla vetta del colle. E quando Mosè teneva le mani alzate, Israele vinceva e quando le abbassava, vinceva Amalec. Ma le mani di Mosè si facevano pesanti. Allora essi presero una pietra, gliela posero sotto ed egli si sedette; Aaronne e Cur gli tenevano le mani alzate, uno da una parte e l’altro dall’altra. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole. E Giosuè sconfisse Amalec e la sua gente passandoli a fil di spada» (Esodo 17:8-13).
Difendersi con costanza contro il nemico
Non in ciò che si vede, ma in ciò che non si vede sta il segreto della vittoria o della sconfitta.
Contro i nemici spirituali di Israele, che si erano proposti di distruggere la mèta di Dio e di tenere lontano il popolo dalla terra promessa, contro ciò Mosè usava autorità che gli proveniva da Dio.
Anche i nostri odierni nemici spirituali, che ci vogliono sbarrare la via all’acqua della vita e che ci vogliono derubare della comunione con Dio e che vogliono tentarci a peccare, possono essere sconfitti, se ci uniamo nel combatterli con la forza e l’autorità del Signore.
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