Mediante la pioggia, i fulmini, i tuoni e il sole, Dio non si occupa solo di far crescere le piante.
Nell’Antico Testamento la comparsa di Dio è spesso accompagnata da fenomeni naturali. Dio è descritto da Mosè come colui che viaggia sulle nuvole (Deuteronomio 33,26): “Nessuno è pari a Dio che, sul carro dei cieli, corre in tuo aiuto, che, nella sua maestà, avanza sulle nubi”. E prima di consegnare le tavole della legge a Mosé, sul monte Sinai, Dio si fa riconoscere dal popolo d’Israele con rumori di tuono e con fulmini. “Il terzo giorno, come fu mattino, ci furono tuoni, lampi, una fitta nuvola sul monte e si udì un fortissimo suono di tromba. Tutto il popolo che era nell’accampamento tremò” (Esodo 19,16).
I fenomeni naturali sono effetti che accompagnano il suo apparire.
“Allora il Signore rispose a Giobbe…” (Giobbe 38:1)
Allora… dopo tanto argomentare, ecco la svolta!
Prima di prenderci la briga di criticare i Suoi metodi dovremmo domandarci se saremo in grado di gestire il creato come fa Dio.
Quando l’uomo si rivolge a Dio nella tempesta per attribuirGli la colpa, di fatto è solo un monologo in cui l’uomo parla e Dio tace. Nel monologo perdiamo, con il silenzio e l’ascolto vinciamo!
Dio rispose quando Giobbe rimase in silenzio e nel seno della tempesta; solo il silenzio permette l’intervento di Dio.
Quindi, non è assente, ha usato tutto ciò che stava accadendo per farsi conoscere in modo più profondo. Non c’è un ambito dove il Signore sia assente, e qualunque ambito della mia vita interessato dalla difficoltà, Dio se ne serve. Le tempeste hanno una grande utilità. In molte zone della terra i venti di tempesta portano delle piogge indispensabili dopo periodi di siccità.
Anche nella vita del cristiano si abbattono delle tempeste che sembrano portare disastri ma che, se affrontate, si rivelano importanti per la nostra vita.
È dannoso leggere le situazioni basandoci sulla prospettiva umana, sulle esperienze personali. Dobbiamo leggere le situazioni, presenti nella nostra vita e in quella degli altri, basandoci sulla prospettiva divina senza lasciare alcuno spazio ai giudizi personali.
Alla fine di tutte le vicende di Giobbe il Signore dice ai tre amici:
“Non avete parlato di me secondo verità” (Giobbe 42:7).
Quando si parla per esperienze personali, è meglio non parlare di Dio, perché non lo si fa “secondo verità”.
“…dal seno della tempesta”, ci ricorda che Giobbe si trovava ancora nel bel mezzo della prova. È da notare che la risposta fu ben diversa da quella che ci potremmo aspettare.
Giobbe voleva conoscere il perché della sofferenza giunta nella sua vita, voleva sentirsi spiegare da Dio il motivo per cui anche chi lo teme si deve trovare nella prova. Dio non diede mai a Giobbe alcuna spiegazione riguardo alle sue circostanze, ma gli chiese se egli fosse eterno, grande, onnipotente, saggio e perfetto come Lui.
Dio innanzitutto riprende Giobbe che aveva osato rimproverarLo, dicendogli: “Chi è costui che oscura i miei disegni con parole prive di senno?” (Giobbe 38:2). E poi mentre Giobbe si aspettava delle risposte alle sue domande ecco che il Signore gli dice: “Ti farò delle domande e tu insegnami” (Giobbe 38:3). Il Signore fece a Giobbe più di 70 domande riguardo numerosi aspetti della creazione. Dio domanda a Giobbe di chiarirGli l’origine dell’aurora, della luce, delle tenebre, del gelo, dei venti, dell’erba, della grandine e di molti altri fenomeni naturali. Perfino gli animali fanno risaltare l’ignoranza e la debolezza umane. A tali domande Giobbe non fu in grado di rispondere. Se siamo inclini a vantarci delle nostre abilità, l’immensità della natura ci mostra subito quanto siamo meschini. Non abbiamo potere sulla più piccola delle stelle, né spegnere uno dei raggi del mattino. Parliamo di potenza, ma i cieli ridono di noi.
Piuttosto, disse: “Io sono troppo meschino, che ti potrei rispondere. Io mi metto una mano sulla bocca”. Disse queste parole quando ancora il vento della tempesta spirava a tutta forza. La prova non era ancora finita, ma la prospettiva dalla quale guardarla e viverla era notevolmente cambiata! Dio non gli diede spiegazione delle Sue vie, ma gli rivelò delle caratteristiche Sue che Giobbe non conosceva. Chiaramente tutto ciò ha lo scopo di dimostrare a Giobbe, e a noi, quanto siamo impotenti, ignoranti, inadeguati, incompetenti e limitati.
Nel libro di Giobbe non troviamo soltanto la teoria della sofferenza, ma un esempio reale di un figlio di Dio sottoposto alla prova, con tutte le conseguenze che ne derivano. Dio ama chi ha fiducia in Lui e lo sottopone a disciplina, e proprio nel mezzo del suo dolore Giobbe riconosce che l’oro è provato col fuoco.
Non spetta a noi lamentarci per le decisioni di Dio.
Ora, sopraffatti dall’immane sapienza di Dio, scegliamo di non replicare più.
Ricordiamoci sempre in mezzo a qualunque vento di tempesta dei Suoi obiettivi, della Sua presenza, della Sua prospettiva, della Sua rivelazione.
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