Da una lettura di Isaia 52:13-53:12 DOLORE MORALE, FISICO E SPIRITUALE

Non ci è possibile comprendere fino in fondo il dolore vissuto dal Signore Gesù nel momento in cui, per Amore, ha voluto offrire Sé Stesso in sacrificio per noi. Ogni tentativo di comprensione, comunque, si risolve in un’intensificazione della nostra riconoscenza per quanto Egli ha fatto per noi!

Tre aspetti del dolore
Se si legge attentamente il terzo versetto del capitolo 53 possiamo conoscere la pienezza del dolore che Gesù ha subito per amore nostro, nelle sue tre manifestazioni: morale, fisica e spirituale.

· Il dolore morale.
“Egli è stato disprezzato…”
Il disprezzo è il sentimento di chi reputa una persona senza valore e indegna della propria stima e considerazione.
Normalmente si disprezza colui che ci è nemico o si detesta.
Gesù fu detestato perché la Sua santità evidenziava il peccato che era nel cuore dell’uomo e fu disprezzato perché, fatte salve poche persone, ciò che aveva fatto non contava nulla e ciò che aveva detto non interessava nessuno.
E il popolo scelse Barabba.
Il culmine del dolore morale: “…fino a non essere più tenuto nel numero degli uomini”.
Nell’enciclopedia, alla parola “crocifissione”, tra le altre cose fa seguito questa asserzione: “Nel mondo Romano era il supplizio proprio degli schiavi, dei disertori, dei ladri, di coloro che avevano perduto la personalità giuridica“.
“Ma Io sono un verme, e non un uomo; l’infamia (la vergogna e il disonore) degli uomini e il disprezzato fra il popolo” (Salmo 22:6).
Crocifisso in mezzo tra due malfattori.
Gesù lasciò che il Suo onore fosse calpestato.

· Il dolore fisico.
“…è stato uomo di dolore” (Matteo 27:26b-31).
Nel brano letto sono stati evidenziati alcuni dei dolori materiali subiti nella carne dal nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo: la flagellazione, la corona di spine posta sul capo, punto nevralgico dove il dolore perviene con grande intensità direttamente al cervello; le bacchettate sulla corona, la crocifissione, cioè: “supplizio per mezzo del quale il condannato, dopo la flagellazione, veniva inchiodato o legato al patibolo, «braccio trasversale della croce», che veniva poi fissato al palo verticale; venivano quindi inchiodati anche i suoi piedi che appoggiavano su un suppedaneo”..
Il culmine del dolore fisico: in questa condizione il sangue del crocefisso non poteva quindi circolare liberamente nelle membra violentemente tese, per cui la morte, accompagnata da sete, da sudorazione, da febbre che si protraeva anche per giorni, avveniva per crampi dolorosissimi della struttura muscolare o per soffocamento.
Nel ripensare a queste prime due tipologie del dolore, è mia convinzione che, su Gesù, satana è sicuramente intervenuto con tutta la sua più perfida e subdola malvagità, istigando i nemici e i carnefici di turno, affinché il Signore fosse colpito il più duramente possibile sia nell’anima, dolore morale, che nel corpo, dolore fisico, con il preciso scopo, se fosse stato possibile, di farlo cadere nel peccato così da rendere nulla la Sua opera redentrice, o almeno di farlo desistere così che non terminasse l’opera che il Padre gli aveva affidato.

· Il dolore spirituale.
“…familiare con la sofferenza”
Se, come ho appena accennato, nelle prime due espressioni del dolore di Gesù, satana ha partecipato attivamente, è mia convinzione che per il dolore spirituale esso non ha avuto parte alcuna, poiché, come vedremo, questo dolore fu determinato esclusivamente dalla rottura dell’intimo rapporto dell’Unigenito Figlio di Dio con il Padre.
Chi più del Signore è stato afflitto?
L’afflizione è “uno stato di tristezza e di abbattimento spirituale”.
“Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsemani, e disse ai discepoli: «Sedete qui,finché Io sia andato là, ed abbia pregato». E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò ad essere triste e angosciato (In Marco 14:33 ci viene detto che “cominciò ad essere spaventato”). Allora disse loro: «L’anima Mia è oppressa di tristezza mortale; rimanete qui, e vegliate con Me »“ (Matteo 26:36-38).
“Egli si staccò da loro quasi un tiro di sasso; e postosi in ginocchio, pregava dicendo: «Padre (Marco 14:36 ci riporta un’espressione ancora più intima: “Abba, Padre”), se vuoi, allontana da Me questo calice! Però non la Mia volontà, ma la Tua sia fatta». Allora gli apparve un angelo dal cielo per rafforzarlo. Ed, essendo in agonia, Egli pregava ancora più intensamente e il Suo sudore diventò come grosse gocce di sangue, che cadevano in terra” (Luca 22:41-44).
“Ed Egli, essendo in agonia…”: agonia è la parola latina dalla quale deriva “agognare”, cioè: desiderare intensamente.
E quale era il desiderio così intenso del Signore Gesù che lo fece sudare gocce di sangue?
Che il calice del dolore, provocato dal Suo essere diventato peccato, passasse oltre a Lui.
“Colui che non ha conosciuto peccato, Egli (Dio Padre) lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in Lui” (2 Corinzi 5:21).
Noi purtroppo abbiamo solo una pallida idea di ciò che rappresenta il peccato per Dio, se no impareremmo ad odiarlo come Lui lo odia.
Dio è vita mentre il peccato produce la morte, e vita e morte sono l’una contro l’altra.
Gesù, dopo essere entrato trionfalmente a Gerusalemme proprio per prendere dalle mani del Padre questo calice, aveva detto: “Ora l’animo Mio è turbato; e che dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma è per questo che sono venuto incontro a quest’ora. Padre glorifica il Tuo Nome!” (Giovanni 12:27-28); e in quell’ora e Gesù manifesta il Suo grande amore per noi e la Sua perfetta ubbidienza al Padre concludendo la preghiera del Getsemani con le parole: “ma pure, non la Mia volontà, ma la Tua sia fatta”.
Il culmine del dolore spirituale: “…è stato pari a Colui davanti al quale ciascuno si nasconde la faccia…”.
Ma che male aveva fatto Gesù?
Nessuno!
“Egli non commise peccato e nella sua bocca non si è trovato inganno” (1 Pietro 2:22): quale Agnello purissimo, senza macchia e senza difetto, sulla croce si era caricato di tutto il male fatto da me, da noi, da tutta l’umanità, passata, presente e futura, e per questo pagava duramente l’abbandono del Padre.

Gli ultimi momenti di Gesù
Prima di analizzare i successivi versetti di Isaia, vorrei ripercorrere gli ultimi momenti del nostro Signore per confrontare il Suo comportamento verso tutti quelli che si affidano a Lui in relazione con ciò che Lui ha subito dall’uomo.

· È stato tradito da un Suo discepolo, nonostante che Egli sia l’amico che non tradisce mai; anzi ha dato la Sua vita per noi (Giovanni 15:13).
· Nel momento di maggior tristezza aveva chiesto a tre discepoli di vegliare e pregare con Lui e per Lui, invece è stato lasciato solo nella preghiera, Lui che ora è alla destra del Padre (Ebrei 7:25).
· E’ stato abbandonato da tutti, Lui che avrebbe promesso: “Ed ecco, Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dell’età presente” (Matteo 28:20).
· Nel momento in cui aveva bisogno di un difensore davanti agli uomini è stato rinnegato tre volte proprio dal discepolo che per primo lo aveva riconosciuto come Figlio di Dio Ma Lui non ci rinnega mai, anzi ci difende presso il Padre dalle accuse di satana (1 Giovanni 2:1).
· E’ stato accusato per la Sua santità, Lui che ha perdonato la nostra iniquità.
· Gesù, l’unico giusto, è stato condannato a morte ingiustamente. Ma così Egli ha reso degli ingiusti come noi, giusti davanti al Padre.
· E’ stato coronato di spine, Lui che ha preparato per noi una corona di gloria (1 Pietro 5:4).
· E’ stato respinto e crocefisso come malfattore, Lui che ci ha considerati (Ebrei
2:11-12).
· E’ stato odiato dal mondo, Lui che lo ha amato di un amore infinito (Giovanni 3:16; 13:1).
· E’ stato ucciso per i nostri peccati, Lui che ci ha dato la vita eterna (Giovanni 5:24).

Disprezzato!
I suoi nemici si sono fatti beffe di Lui e lanciandogli una sfida: “Se Tu sei Figlio di Dio, scendi giù dalla croce!” (Matteo 27:37-44).
Stolti!
Gesù avrebbe potuto scendere subito d quella croce, ma non ha voluto.
Troppo grande era il Suo desiderio di portare a compimento l’Opera che il Padre gli aveva affidata e troppo grande era il Suo amore per l’uomo che voleva salvare:
per questo era venuto.
Ma, non contenti di beffarsi di Gesù, sfidano persino Dio: “Si è confidato in Dio: lo liberi ora, se lo gradisce”.
Nel loro cuore incredulo essi pensavano: Dio non può farlo.
Ed era vero.
Inconsapevolmente avevano detto il vero.
Dio Padre non poteva rispondere alla loro provocazione, poiché la liberazione di Suo Figlio avrebbe comportato la condanna definitiva dell’umanità corrotta e peccatrice.
Ma Dio voleva salvarci ed è per questo che aveva mandato Suo Figlio sulla terra.
Lo libererà più tardi, facendolo uscire dal sepolcro con una risurrezione trionfante, risurrezione che ha determinato la nostra giustificazione e la giustificazione di tutti quei peccatori che, come noi, avranno accettato la Sua morte per la loro salvezza.

Una lettura personale
Dopo avere analizzato il dolore subito da Gesù, vorrei concludere personalizzando per ciascuno di noi i successivi versetti di Isaia 53 (4-6).
“. . .era spregiato e io non ne feci stima alcuna. Tuttavia erano le mie malattie che Egli portava, erano i miei dolori quelli di cui si era caricato, ma io Lo ritenevo colpito, percosso da Dio e umiliato! Egli è stato trafitto a causa delle mie trasgressioni, stroncato a causa delle mie iniquità, il castigo per cui io ho pace è caduto su di Lui e mediante le Sue lividure io sono stato guarito. io ero errante come una pecora, seguivo la mia propria via; ma il Signore ha fatto ricadere su di Lui la mia iniquità”.

Benedetto sia Dio, perché il Suo Spirito ci ha rivelato che, se il Signore Gesù ha così grandemente sofferto per noi, “Egli vedrà il frutto del Suo tormento interiore, e ne sarà saziato” (Isaia 53:11), e quel frutto sono tutti coloro che hanno posto fede in Lui; quel frutto… siamo noi!

 

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