Abraamo non si ribella……….

Genesi 22
Abraamo non si ribella, non si lamenta, né si dispera. Nel totale silenzio continua a credere in Dio, quale protettore e diffusore della vita.
Abraamo non dubitò, non si mise a sbirciare a destra e a sinistra con angoscia, non importunò il cielo con le sue preghiere. Sapeva ch’era Dio, l’Onnipotente, che lo metteva alla prova; sapeva che si poteva esigere da lui il sacrificio più duro: ma sapeva anche che nessun sacrificio è troppo duro quando è Dio che lo vuole.
Qual’e la nostra tentazione quando siamo messi alla prova? Quella di trovare un’alternativa più moderata rispetto all’esigenza di fedeltà assoluta richiesta dal Signore.
Abramo soddisfa il volere di Dio, che all’istante gli fa trovare l’agnello del sacrificio a due passi dell’altare e il sorriso del figlio che con gioia lo aiutò. Un grande esempio di ubbidienza e di fede, che ci insegna che sebbene valutiamo errato il destino che Dio ci pone, non dobbiamo biasimare ne polemizzare la Sua volontà, ma che in silenzio eseguiamo il compito che ci ha dato, anche quello di soffrire.
Il timore consiste essenzialmente nel riconoscersi creatura di fronte al Creatore, è più precisamente l’accettazione della volontà divina.
Il Signore, buono e santo, è l’Unico a conoscere sul serio ciò che è “buono” e ciò che è “cattivo” in senso morale, e dunque è l’Unico che possa guidare e orientare l’uomo. Abramo si dimostra infallibile, è subito pronto a fare quanto gli comanda il suo Signore. Dunque, la condotta morale retta consiste nell’obbedienza e nella fedeltà alla volontà di Dio.
La fede è il semplice “sì” detto a Dio. Significa “dire amen con tutte le sue conseguenze”.
Colui che ha fede attua una dedizione di tutto sè stesso a Dio con tutte le sue facoltà: con la conoscenza e con la volontà. Ma è soprattutto l’elemento volontario ad essere messo inevidenza quando la fede è ricondotta all’obbedienza. La fede si colora di attesa confronti del futuro, e così diventa sostegno per perseverare nella prova.
In conclusione, non ci facciamo illusioni; ognuno di noi conosce i propri “isacchi” e sappiate che prima o poi bisognerà che muoiano. I propri “isacchi”: che vuol dire? Vuol dire ciò su cui noi abbiamo messo in gioco la nostra vita, i doni di Dio che sono diventati ciò su cui si basa la nostra esistenza e vedete quindi i nostri “isacchi” sono quei doni di Dio, che in quanto doni di Dio sono belli, santi, grandissimi, meravigliosi, ma relativi. Sono doni di Dio, non dio; sono le promesse di Dio, non dio e noi invece li abbiamo fatti diventare dio, li abbiamo identificati con Dio. Quando noi non distinguiamo più tra i doni e il Donatore, tra le promesse e Colui che fa le promesse, quando le promesse di Dio belle e meravigliose, quando i doni di Dio belli, meravigliosi, diventano assoluti per noi, quello è diventato per noi quell’Isacco, di cui bisognerà prima o poi liberarsi, perché non è più il dono di Dio, ciò che ci consente di essere in relazione con Dio, ma ha finito per sostituire Dio. In altre parole “Isacco” per noi è quello che noi creiamo ogni volta che noi chiudiamo Dio dentro i nostri schemi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *