STORIA CRISTIANA-La capanna solitaria
E’ una storia vera che mi è stata raccontata dal personaggio principale e che magnifica la gloria di Dio in una vita naufragata nel peccato.
Nella città di Iowa (U.S.A.) viveva un contadino chiamato Conlee. Egli era padre di dodici figliuoli: sei ragazzi e sei ragazze, che promettevano di diventare dei buoni cittadini e dei veri discepoli di Gesù Cristo, poiché il padre era un credente sincero ed educava la famiglia sotto il timore di Dio. Parecchi erano già adulti. Uno era avvocato, un altro dottore, un terzo professore in una scuola biblica, e, quando il piccolo Joe arrivò, il padre e la madre fecero per lui come per gli altri: essi lo consacrarono al Signore. Durante l’infanzia di Joe, sua madre sovente diceva: “Spero che questo diventi un predicatore dell’evangelo, come sono i suoi due fratelli”.
Gli anni passarono, durante i quali Joe fu una benedizione per il focolare. Quando ebbe finiti i suoi studi alla scuola superiore, suo padre gli disse: “Joe, hai deciso che cosa vuoi fare?”. “Sì, papà, i corsi che ho seguito mi permettono di diventare ingegnere, e quindi ho deciso di scegliere questa via”. Un’ombra oscurò il viso del padre, “Oh! sono rattristato. Noi speravamo che tu diventassi un predicatore. Sei sicuro di non avere inteso la voce del Signore?”. Joe promise di pregare per questa cosa, e due settimane dopo ritornò dal padre: “Padre, sono deciso, entro nel ministerio”.
Suo padre l’abbracciò. Joe entrò nell’università di Iowa, ottenne il diploma, e trascorse poi tre anni al collegio biblico affin di formarsi per il servizio di Dio.
Un giorno, uno dei professori gli disse: “In tutto ciò che noi abbiamo creduto dell’origine delle cose, vi è un groviglio di superstizioni. Voi siete un ragazzo intelligente, so che il preside vi considera come il ragazzo più intelligente della scuola. Esaminate ogni cosa con senno, applicatevi allo studio. Mi piacerebbe che leggeste qualche opera dei filosofi Darwin, Renan, Huxley”.
Quando Conlee uscì dalla Facoltà, la ragione lottava contro la fede, nel suo cuore. Accettò il posto di pastore in una piccola chiesa metodista a Iowa. Là si sposò con una giovane molto consacrata, figlia di un pastore di una città vicina. Tre anni dopo, egli fu nominato pastore della più grande chiesa di S. Anna. Egli passò là due anni, durante i quali si svolse un terribile combattimento nella sua anima. Joe Conlee ricevette il titolo onorifico di Dottore in Teologia. Però egli scivolava sempre di più nel suo modernismo interpretando le Scritture, e si fondava sulla ragione e non più sulla fede. L’assemblea generale della Chiesa Metodista ebbe luogo a Los Angeles, e il presidente si rallegrò con Conlee del suo eccellente lavoro, il che gli valse la nomina, prima della Prima Chiesa Metodista di S. Diego di California, poi di quella di Pomona, sempre in California.
Fu allora che il seme che era stato seminato nel suo cuore portò frutto. Un giorno egli confidò a sua moglie di sentirsi un ipocrita perché non credeva più alle cose che doveva predicare. “Non posso sopportare una simile situazione”, aggiunse, “e penso di abbandonare il ministerio pastorale”.
Un giorno salì sul pulpito e disse: “Amici, voglio farvi una confessione: non credo più nella Bibbia. Per anni c’è stata lotta nel mio cuore, e ora bisogna che rispetti le mie convinzioni. E’ l’ultima volta che predico”.
Era uno scrittore di talento, e ben presto trovò del lavoro. Tornò a Sant’Anna, ove divenne il direttore del quotidiano del luogo. Ma cominciò a fumare, a bere, a giocare; e andò avanti sempre peggio, perdendo impiego varie volte. A Covina fondò un giornale, che esiste ancora. Lo vendette e ne ricavò una piccola fortuna, diventando redattore di due importanti giornali di Los Angeles; ma perdette ancora questa posizione a causa del vizio del bere.
I suoi scritti erano sempre molto brillanti. Sembrava che la sua penna fosse sotto una continua ispirazione; tuttavia mancava spesso di lavoro, facendosi scacciare per il suo stato di ubriachezza quasi continuo. Si recava da un luogo ad un altro, lui, che era stato il pastore della più grande chiesa di S. Diego e di Pomona, diventato ormai un bevitore incorreggibile, un vagabondo, tremante nei miseri panni che aveva addosso; ogni sera lo si poteva trovare sicuramente nel retro del “cabaret Mineral”, uno dei più malfamati locali. Attribuendo alla sua vita di un tempo la responsabilità della sua caduta, nella sua animosità contro Dio cominciò delle riunioni all’aperto in cui attaccava con veemenza la Chiesa Metodista e il Cristianesimo. Divenne finalmente presidente dell’associazione dei liberi pensatori di California e, per dodici anni, non cessò una sola sera le sue conferenze sull’ateismo. Un giorno alzò le mani verso il cielo e sfidò Dio di colpirlo a morte, e, siccome non accadde nulla, esclamò: “Vedete amici, non c’è Dio”. Faceva sempre una piccola colletta, con la quale raccoglieva qualcosa da spendere al cabaret.
Magro, pallido, con gli occhi infossati, bestemmiava, malediceva, giocava a soldi e avanzava da un’orgia all’altra. Sera dopo sera lo riconducevano a casa, alla moglie che continuava a pregare per lui. Un giorno, mentre era ubriaco come al solito, urtò qualcuno. “Volete farmi un pò di carità?”, disse alla persona che aveva urtato. Essa lo guardò e, stupefatta, riconobbe in lui il suo vecchio pastore. “Siete Conlee!”.
“Sì, questo è il mio nome”. “Il mio vecchio pastore! Che cosa fate qui? Non posso credere ai miei occhi!”. E il buon dottore cristiano, poiché era lui, lo condusse con sé, gli fece fare un buon bagno, lo rivestì da capo a piedi e lo condusse in un vicino albergo. Ma il dottor Conlee vendette gli abiti nuovi e ne usò il denaro per bere. Il dottore interessò gli amici alla salvezza del vecchio ubriacone, ma senza risultati; perché ogni soldo che egli riceveva lo trasformava in liquori, finché cadde così in basso che tutti lo abbandonarono, salvo il dottore che pensava: “Se potessimo soltanto mandarlo in qualche località dove non trovi da bere, potrebbe forse guarire”.
Era l’epoca della corsa all’oro nell’Alaska; e gli uomini si precipitavano verso il metallo giallo come moltitudini di formiche. Gli amici di Conlee pensarono che forse, per quella via, poteva esserci una possibilità di salvezza per il vecchio ubriacone. Egli accettò di partire; essi gli acquistarono dei nuovi abiti, gli diedero una valigia piena di ogni cosa utile, e lo misero sul battello in partenza per l’Alaska.
Sua moglie e la figlioletta vennero per salutarlo. La piccola Fiorenza, mettendogli le braccia al collo, gli disse: “Papà, mio caro papà, la mamma ha messo nella valigia una cassettina di medicina, pensando che tu potresti averne bisogno, e io, nella cassettina, ho messo il mio libretto. Non lo darei a nessuno al mondo; ma a te si! Lo leggerai?”.
Quella piccola Bibbia era tutto per Fiorenza; e sulla prima pagina essa aveva scritto queste parole: “Al mio caro babbo, con tutto l’amore di Fiorenza. Non dimenticarti mai che noi ti amiamo”.
Alcune settimane più tardi, Conlee era mescolato con una folla innumerevole di cercatori d’oro in viaggio verso lo Yukon. Sulla piazza principale della città c’era un famoso cabaret, il più grande edifizio del luogo. Conlee si imboscò in questo vile accesso all’inferno! Là lavava i pavimenti, puliva i banchi, e per tutto salario riceveva un nutrimento che riusciva appena a tenerlo in vita; ma poteva bere tutto quel che gli pareva, fino ad ubriacarsi.
Un giorno il proprietario di un grande terreno venne a dirgli: “Dottore, ho bisogno di voi perché vi rechiate a 65 chilometri da qui. Ho trovato dell’oro. Sono il solo a sapere la cosa, insieme con l’uomo che l’ha scoperta. Ho bisogno che voi vi rechiate là per tenere il posto”. “Non io, disse Conlee; non voglio partire. Sapete la mia piccola debolezza”. Non era disposto ad andarsene in un luogo dove non potesse avere del whisky. Ma quell’uomo aggiunse: “Joe, avrete da bere tutto quel che volete; ogni due settimane noi vi riforniremo. Non avrete altro da fare che starvene seduto nella capanna e passarvela bene”.
Così Joe Conlee si trovò un giorno solo in una capanna, lontana 65 chilometri dalla più vicina città, senz’altro da fare che bere del whisky, di cui aveva una buona provvista in riserva per l’inverno che si avvicinava. Il barile era già sceso di un quarto circa, quando, un giorno d’ottobre, qualcuno bussò alla porta. Era Miller, un cattolico, che diceva di avere freddo e fame. “Entrate, fece Conlee, c’è un intero barile di whisky”. Miller ridendo entrò. Si sedettero accanto al barile e, per quindici giorni, non si fermavano nel bere che quando cadevano a terra. Allora qualcun altro bussò alla porta: era Wally Flett, uno spiritista medium di S. Francisco. Quando vide il liquore, gli venne l’acquolina in bocca e si fece avanti: “Non vi piacerebbe che mi fermassi con voi?”. “Si, si”, risposero i due. Da allora i tre occuparono la capanna, ridendo, bevendo, discutendo, compiacendosi nel raccontarsi storie oscene. Venne novembre, e passò. Fecero tre viaggi in città con i cani, per rinnovare la loro provvista di alcool. Ma ben presto l’ubriachezza continua raggiunse i loro nervi e, sera dopo sera, chiudevano le loro giornate gridando e urlando nei tormenti del delirium tremens.
Per distrarsi decisero di dedicarsi alle sedute spiritiche, e Wally Flett, antico medium, li iniziò alle pratiche dello spiritismo. Così, ogni sera, c’era una seduta.
Una notte, uno di loro si sentì vicino alla morte. Agonizzando, in una crisi di delirium tremens, Jimmy Miller gridava: “Conducetemi un dottore! Non potete lasciarmi morire così!”. La città più vicina era a 65 chilometri, la temperatura era scesa a 40 gradi sotto zero, la neve era altissima. L’agonizzante gridava sempre: “Conducetemi un dottore!”. Il dottore Conlee si ricordò allora che nella valigia aveva una cassetta medicinale; la cercò. Un libretto cadde in terra. Lo aperse e lesse: “Al mio caro babbo… Fiorenza”. Fiorenza! Fiorenza! “Cos’hai, Conlee?”, chiese Wally Flett. “E’ una Bibbia, sia maledetta!” gridò Conlee, e fece per gettarla nel fuoco. Ma Wally lo fermò: “Non bruciarla! Non abbiamo nulla da leggere in questo paese maledetto; ho letto venti volte quell’unico giornale che hai”. E la strappò dalle mani di Conlee, che gli disse: “Se ti fa piacere leggerla, leggila; ma io non la voglio vedere. Che cosa è scritto sulla prima pagina?” “Al mio caro babbo, con tutto l’amore di Fiorenza”. Era divenuto più calmo: “La mia bambina! Sono contento di non aver bruciato il libro che mi aveva dato la mia piccola Fiorenza!”.
La medicina fece buon effetto e Jimmy Miller, convalescente, desiderò presto qualcosa da leggere. Aveva l’abitudine di leggere ad alta voce, e Joe gli gridava di star zitto; ma Wally si interessava a quel che Jimmy leggeva. Spesso gli diceva: “Cosa leggevi?”. E Jimmy leggeva da capo.
Un giorno Wally Flett disse: “Non credevo mai che nella Bibbia ci fossero cose simili. Che direste se la leggessimo per passare il tempo? Oh! non per crederci. Joe è stato pastore, e dice che tutti i pastori sono stupidi!”.
Presero così l’abitudine di leggere a turno; e, senza che se ne rendessero conto, una trasformazione andava operandosi nelle abitudini della capanna solitaria, e il whisky si abbassava molto più lentamente nel barile. Certi giorni leggevano cinque, sei e anche sette capitoli; e così arrivarono presto al Nuovo Testamento. Le bestemmie, le parole aspre o cattive diventavano più rare; il whisky talvolta era dimenticato. Un giorno Wally Flett disse: “Non avete notato un cambiamento in noi? Non ho sentito nessuno di noi tre bestemmiare in questi ultimi tre o quattro giorni. Mi domando se per caso non sia la Bibbia la causa di questo?”
Venne Natale. Stavano leggendo la storia della nascita di Cristo. “Che giorno è oggi?” “Natale”. “Chissà che cosa fanno i bambini, nei nostri paesi. Cosa pensi, Joe?” “Penso solo alla mia piccola Fiorenza; aveva l’abitudine di mettere le sue scarpe davanti al caminetto… prima che io diventassi pazzo con l’alcool”.
Un giorno Wally stava leggendo: “Il vostro cuore non sia turbato… io vado a prepararvi un luogo” (Giovanni 14:1-2). Joe, col dorso della mano, si asciugava gli occhi. “Che hai, Joe?”. “Niente”. “Piangi, Joe?” “Si. Continua la lettura. Penso alla mia bambina; non piango per la Bibbia!”
Pensieroso Wally disse: “Io vorrei sapere se questo libro è vero! Da cinque giorni ho voglia di pregare. Ma ho paura che mi prendiate in giro. Ma adesso, tanto peggio per voi se vi farete beffe di me: io voglio domandare a Dio di parlarmi, se Egli esiste!”. “Ebbene – disse Joe – io vi voglio confessare che da una settimana il mio cuore ha ceduto. Mia madre adesso è nella gloria; ma mi sembra ancora di sentirla pregare. E tu Jimmy, che pensi?” “Se volete pregare, pregherò con voi”. E i tre ubriaconi si inginocchiarono. Le loro preghiere si elevarono a voce sempre più alta. All’improvviso Wally Flett si alzò: “Alleluia! Alleluia! – gridava – Gesù mi ha udito!”. Parlava ancora quando improvvisamente Jimmy Miller e poi Joe Conlee si rialzarono con un salto, rendendo gloria al Signore. Erano le due del mattino. L’Uomo dalla veste senza macchie li aveva davvero visitati. Joe prese il barile di whisky, lo rotolò davanti alla porta, Wally prese la scure, e presto il liquore colava nella neve, mentre i tre uomini davano gloria al loro Salvatore davanti alla capanna solitaria.
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Durante una serie di conferenze che io tenevo a Eugene (Oregon) il fratello Hornshuh mi presentò il decano di quella scuola biblica, il dottor Joe Conlee.
Fu l’inizio di una amicizia fra lui e me. Alla fine di quella serie di riunioni il dottor Conlee mi chiese di accordargli un incontro di tre ore, e di portare con me carta e matita. “Non ho più tanto da restare in questo mondo – mi disse. – Presto andrò con Cristo. Ho pregato, e credo che Iddio voglia che la mia storia sia scritta”. La stessa sera ero con lui. Nella stanza vicina erano la moglie e Fiorenza.
“Mi perdonerete se qualche volta piangerò un poco”, mi disse Joe. E mi raccontò la storia che vi ho riferito. Tre volte si fermò, e pregammo, prima che riprendesse il racconto. Quando ebbe finito, lo abbracciai piangendo. Una settimana dopo ero a Jakima. Un allievo della scuola di Eugene chiese di parlarmi e mi disse: “Lo zio Joe è partito per la gloria celeste. Quando capì che stava per lasciarmi, mi fece chiamare e mi lasciò questo messaggio per voi: Gesù, che mi ha trovato nella capanna solitaria, è con me. Furono le sue ultime parole. Appoggiò il capo sul cuscino, e spirò”. Wally Flett, pieno dello Spirito Santo, è predicatore dell’Evangelo nel Texas.
L’ultima volta che ebbi notizie di Jimmy Miller seppi che continuava a predicare l’Evangelo agli increduli.
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