“127 ORE”
“Se la tua mano o il tuo piede ti fanno cadere in peccato, tagliali e gettali via da te; meglio è per te entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno. Se il tuo occhio ti fa cadere in peccato, cavalo e gettalo via da te; meglio è per te entrare nella vita con un occhio solo, che aver due occhi ed essere gettato nella geenna del fuoco” (Matteo 18:8-9).
Il libro “127 ore” ed il film ad esso ispirato, hanno portato il mondo intero a conoscenza della drammatica storia di Aron Ralston che, nell’aprile del 2003, rimase intrappolato in un Canyon dello Utah.
Nel libro si racconta di questo alpinista statunitense, 28 anni, amante del trekking e del biking, che parte per una gita solitaria nel Blue John Canyon, nello stato dello Utah.
Tutto sembra andare per il meglio, mentre il giovane si gode fantastici paesaggi.
Poi, però, Aron incappa in un inaspettato e terribile incidente: mentre attraversa una stretta gola, un masso precipita e gli incastra il braccio destro contro la parete rocciosa del canyon.
Impossibilitato a muoversi, per cinque giorni (127 ore, appunto) Aron tenta in tutti i modi di liberarsi perché comprende che la mancanza di cibo e acqua lo condannano ad una morte certa.
Durante questa “prigionia”, il giovane ripensa al suo rapporto con gli amici, con la famiglia, con la fidanzata e alle ore spensierate trascorse in quel luogo favoloso prima dell’assurdo incidente.
Visti vani tutti i tentativi di liberarsi, ormai certo della propria morte, decide di riprendere la propria agonia con la videocamera digitale e di incidere il proprio nome sopra la roccia con tanto di date di nascita e della presunta morte.
Poi, in un ultimo e disperato moto di attaccamento alla vita, prende una decisione estrema: amputarsi il braccio incastrato tra il masso e la parete rocciosa del canyon con l’aiuto di un coltellino economico che fa parte della sua attrezzatura.
“Meglio rinunciare ad una parte anche importante del mio corpo, piuttosto che perdere la vita!” – si sarà detto lo sventurato Aron!
Così in un ultimo disperato tentativo di sottrarsi ad una morte certa, affonda con decisione la lama nel braccio, tranciando prima la carne, poi le ossa!!
Ritrovata la libertà, l’alpinista sfugge alla sua misera fine scendendo con una corda fino ad un sentiero dove, per puro caso, incontra due escursionisti che lo aiutano e lo portano in salvo.
Credo che, ogni credente, leggendo questa drammatica storia dai dettagli molto crudi, abbia immediatamente pensato ai versi riportati in testa all’articolo.
Aron ha capito che per uscire da quella situazione fatale doveva coraggiosamente rinunciare ad un braccio… e questa scelta, pur difficile e dolorosa, gli ha salvato la vita!
Ovviamente l’esortazione di Gesù va intesa in senso morale e spirituale; tuttavia è ugualmente importante!
Troncare con certe cose, ambienti, amicizie, abitudini, pensieri può essere, talvolta, una scelta molto difficile e dolorosa ma indispensabile per salvare l’opera della croce in noi, il cui scopo è quello di garantirci il Cielo, la vita e la gloria eterne.
Rimanere “incastrati” in qualche “canyon spirituale” e morire lentamente oppure accettare il consiglio di Cristo per continuare speditamente il cammino verso il cielo?
Aron ha fatto la sua scelta!
E noi?
Quale è la nostra scelta!
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