“L’UOMO È EGOISTA PER NATURA, ED È IMPOSSIBILE PER LUI VIVERE IN A LUNGO IN COMUNIONE CON IL PROSSIMO”
NELLA FEDE LA CARITÀ PROMUOVE LA COMUNIONE
Efesini 4:1-7
L’unità dello Spirito e la varietà dei doni 1 Io dunque, il carcerato nel Signore, vi esorto a condurvi in modo degno della vocazione che vi è stata rivolta, 2 con ogni umiltà e mansuetudine, con longanimità, sopportandovi gli uni gli altri con amore, 3 studiandovi di conservare l’unità dello Spirito col vincolo della pace. 4 V’è un corpo unico ed un unico Spirito, come pure siete stati chiamati ad un’unica speranza, quella della vostra vocazione. 5 V’è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, 6 un Dio unico e Padre di tutti, che è sopra tutti, fra tutti ed in tutti. 7 Ma a ciascun di noi la grazia è stata data secondo la misura del dono largito da Cristo.
Efesini 4:12-13
12 per il perfezionamento dei santi, per l’opera del ministerio, per la edificazione del corpo di Cristo, 13 finché tutti siamo arrivati all’unità della fede e della piena conoscenza del Figliuol di Dio, allo stato d’uomini fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo…
Il cristiano è chiamato a vivere in comunione: «Che siano tutti uno» (Giov. 17:21). Questa comunione attuata pienamente dalla “carità”, ha le sue radici nella “fede”. La fede è accoglienza, aperta e viva, della Parola di Dio, che diffonde nei credenti la stessa luce e lo stesso Spirito. I Cristiani formano una comunione di fede e si aiutano reciprocamente a crescere in Cristo, esercitando quella virtù che viene chiamata “CARITÀ”!
1. DIO CHIAMA PERSONALMENTE E COMUNITARIAMENTE ALLA FEDE.
Gesù Cristo, la Parola vivente di Diio Padre, è venuto nel mondo per chiamare gli uomini alla fede; cioè per proporre loro, di persona, la comunione di vita con Lui, con il Padre e lo Spirito Santo.
Questa chiamata viene rivolta ad ogni persona singolarmente, stabilendo un dialogo personale, che è irripetibile ed unico, come unica ed irripetibile è ogni individuo.
Uscendo da Nazareth, al principio del suo ministero, Egli si guardò intorno per reclutare un gruppo di discepoli, si incontrò sulle rive del Giordano con lo sguardo di Andrea, di Simone e di Giovanni, ed il giorno dopo, con quello di Filippo e di Natanaele, a Betsaida in Galilea. E poi, in località diverse, in circostanze diverse, il Suo sguardo si fissa sugli altri (Confronta Giov. 1:35-51; Luca 6:12-16; Matteo 9:9-13).
Chiamati personalmente, ciascuno è obbligato a risponderGli personalmente ed immediatamente; a tu per tu…
Ma una volta risposto alla chiamata, eccoli tutti assieme a formare un gruppo, un insieme intorno a Lui, uniti, Lui è il punto di riferimento comune.
L’adesione ad un unico Maestro crea tra gli uomini di diversa estrazione e provenienza una profonda solidarietà. Essi si sentono chiamati a vivere il loro dopo personale nella Comunità, infatti, la fede è un dono di Dio (Efesini 2:8).
Nella medesima maniera, Cristo chiamò le folle della Palestina, individuando ciascuno con il proprio nome.
Egli varcò tutte le frontiere dei pregiudizi nazionalistici e settari, instaurando il dialogo della fede anche con quelle persone alle quali i farisei non degnavano nemmeno di uno sguardo o una parola.
Nella pianura di Sichea, al passo di Giacobbe, fu il turno della donna Samaritana. Essa non se lo aspettava , ma Gesù le porrà quella grande e decisiva proposta: Vuoi darmi da bere? – Io ho dell’acqua viva, vuoi essere dissetata per sempre?
Questo vuol dire proporre a quella donna un assurdo; secondo la mentalità umana; ella reagisce quindi quasi ironizzando: Come va, che tu che sei Giudeo, viene a chiedere a me da bere, che son Samaritana? – E poi ancora – Tu, non hai i mezzi per attingere al pozzo, giacché esso è profondo; dove prenderesti dunque quest’acqua viva? Però Gesù non le darà alcuna spiegazione, invece continuerà a proporgli ciò che sembra assurdo, al punto da metterla nella situazione di dovergli dar credito; lei Samaritana a Lui Giudeo: Credimi (Giov. 4:21) donna, quello che tu aspetti, il Messia, sono io (Giov. 4:26) che parlo con te.
Un incontro a tu per tu, senza l’interferenza di alcun altro. Ma, anche questa volta, dal livello personale, si passa subito a quello comunitario. La Samaritana è quella che avvicina i suoi concittadini a Gesù, e tutti insieme credono in Lui a motivo della testimonianza resa da quella donna: Egli mi ha detto tutte le cose che ho fatte. E più assai credettero a motivo della sua Parola; e dicevano alla donna: Non è a motivo di quello che tu ci hai detto, che crediamo; perché abbiamo udito da noi, e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo.
La fede comune è basata sull’incontro personale che ognuno ha fatto con il Signore Gesù Cristo.
Però l’appello di Cristo non è un fatto che si conclude in un giorno o nel giro di un’ora: esso continua. Perciò la risposta dovrà essere ogni giorno rinnovata.
L’uomo si trova ogni volta davanti alla scelta, non di una cosa, ma di una persona; una persona che si presenta carica di mistero.
Per questo motivo possiamo paragonare la fede ad una “scommessa” e molti sono coloro che trovano difficile accettare ed aderire al Signore. La fede, in un certo senso, costituisce un rischio, una avventura piena di aspetti imprevedibili (Ebrei 11:1).
Anche gli apostoli che facevano “comunità” attorno a Gesù erano in bilico tra la fede ed il dubbio, tra il si ed il no.
Non potevano penetrare il mistero del Maestro e non potevano dove Egli li portava. Anche loro “non vedevano”; e avrebbero voluto capire, rendersi conto di ciò che la loro adesione a Lui comportava.
Per questo erano sempre lì ad incalzarlo con le loro domande, «Parla chiaro!» gli diranno, anche i Giudei: «Fino a quando terrai sospeso l’animo nostro? Se tu sei il Cristo, diccelo apertamente» e Gesù: «Ve l’ho detto, e non lo credete» (Giovanni 10:24-25).
È accettare i paradossi della Sua incarnazione, morte, resurrezione ed accettare che anche la nostra vita diventi un paradosso: una realtà che non è possibile spiegare con la sola luce della ragione.
Chi crede in Cristo deve partecipare allo scandalo della croce e con Cristo apparire “stolto” davanti al mondo che lo rigetta (1 Corinzi 4:10-13) «Noi siamo pazzi a cagione di Cristo ma voi siete savi in Cristo; noi siamo deboli, ma voi siete forti; voi siete gloriosi, ma noi siamo sprezzati. Fino a questa stessa ora, noi abbiamo fame e sete, noi siamo ignudi, e siamo schiaffeggiati, e non abbiamo stanza ferma, e ci affatichiamo lavorando con le nostre proprie mani; ingiuriati, beneciamo; perseguitati, sopportiamo; diffamati, esortiamo; siamo diventati e siamo tuttora come la spazzatura del mondo, come il rifiuto di tutti. Io vi scrivo queste cose non per farvi vergogna, ma per ammonirvi come miei cari figlioli».
L’apostolo Paolo, rivolgendosi alla chiesa di Corinto nel travaglio che stava vivendo a causa dell’adesione alla fede, dichiarava: «Fratelli, quando venni fra voi, non venni ad annunciarvi la testimonianza di dio con eloquenza e sapienza eccelsi. Infatti mi ero proposto di non saper altro in mezzo a voi che Cristo Gesù e Lui crocefisso» (1 Corinzi 2: 1-2).
Come per la Comunità di Corinto, per i Cristiani di ogni tempo la fede comporta un continuo travaglio interiore. Ma è proprio questo il segno della vitalità della fede, che essendo una scelta di vita che s’impone quotidianamente, si trova di fronte alle realtà sempre nuove dell’esistenza umana.
2. I PASTORI HANNO IL COMPITO DI CONFERMARE I FRATELLI NELLA FEDE
In mezzo alle comunità di credenti Cristo manda dei fratelli con il compito di confermarli nella fede.
Nella piccola Comunità dei discepoli, Egli ne chiama uno dichiarandogli che uno dei suoi compiti sarà questo: «… Io ho pregato per te affinché la tua fede non venga meno; e tu, quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli».
Dopo la Pentecoste, quando nelle diverse regioni sorgeranno ed andranno a prendere forma le varie Comunità, il compito degli anziani andrà delineandosi sempre più chiaramente. La fede e l’amore nelle comunità hanno origine direttamente dallo Spirito Santo, ma i fedeli non vengono lasciati a sé stessi, bensì affidati alla sollecitudine dei pastori che possono sostenerli nell’impegno quotidiano di rispondere all’appello di Cristo. I pastori non sono i mediatori della fede e dello Spirito presso i fratelli, perché «uno solo è il mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo» (1 timoteo 2:5). Però, essi svolgono un ruolo insostituibile (il ruolo è insostituibile, non l’uomo) nella Comunità…
a) Il loro carisma consiste nell’interpretare la volontà dello Spirito Santo per la presidenza nel Culto comunitario, affinché risulti di lode a Dio e di edificazione per i credenti.
b) Nell’essere strumento di trasmissione del signore, della Sua Parola e della Sua volontà, interprete autentico per l’assistenza dello spirito Santo.
c) Nel discernimento e nell’approvazione dei carismi o doni dello spirito Santo comunicato ai fedeli.
È quello che intende Paolo quando rivolgendosi ai Tessallonicesi così dice: «Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie, provate ogni cosa, ritenete il bene» (1 Tessalonicesi 5:19-21).
Comunque, il dono dello Spirito Santo, viene accolto in vasi fragili (2 Corinzi 4:7 «Or noi abbiamo questo tesoro in vasi di terra, acciocché l’eccellenza di questa potenza sia di Dio, e non da noi», sempre esposti all’errore e alle tentazioni di infedeltà.
Per questo è necessaria una continua verifica che, senza l’imitare l’azione dello Spirito in una liturgia piana, guidi le libere espressioni personali della fede e dei doni spirituali all’edificazione della Comunità. Lo Spirito Santo farà dire all’apostolo Paolo: «Ecco perché vi scrivo tutto questo, mentre sono lontano da voi: per non dovervi trattare con durezza quando sarò tra voi, usando l’autorità che il Signore mi ha data per fortificare la comunità non certo per distruggerla» (2 Corinzi 13:10; confr. 10:8).
– Paolo difende il suo modo di agire, perché giravano voci che lui fosse un despota nello scrivere alla Chiesa di Corinto, ma imvece debole e umile quando era in mezzo a loro, come se non avesse il coraggio della propria responsabilità; invece, egli esprime l’intenzione di presentarsi di persona per riprendere i disordinati con estrema severità come già aveva fatto nella lettera, non già per rovinare la chiesam ma per renderla più consona alla volontà di Dio.
I singoli pastori, mentre sono garanti della fede della comunità loro affidata, sono anche testimoni della fede di questa presso il Concilio degli anziani riuniti per curare e coordinare quegli interessi spirituali, morali e materiali di tutte le Chiese del Signore esistenti nel Paese.
Ed è nell’universalità dei credenti, dal più piccolo al più grande, in comunione fra loro e non isolatamente, che lo spirito Santo agisce preservando dall’errore in materia di fede e di morale. Perciò, la fede è dono personale e ricchezza comune che alimenta e cresce proprio nello scambio che la Carità attua fra i credenti «Affinché non siamo più dei bambini, sballottati e portati qua e là da ogni vento di dottrina, per la frode di degli uomini, per l’astuzia loro nelle arti seduttrici dell’errore, ma che, seguitando verità in verità, noi cresciamo in ogni cosa verso Colui che è il capo, cioè Cristo. Da Lui tutto il corpo ben collegato e ben connesso mediante l’aiuto fornito da tutte le giunture, trae il proprio sviluppo nella misura del vigore d’ogni singola parte per edificare se stesso nell’amore» (Efesini 4:14-16).
3. LA FEDE È VITA E SI ESPRIME NELLA LIBERTÀ DELL’AMORE
Da tutto quello che finora abbiamo potuto vedere, risulta evidente che la fede in Cristo, piuttosto che una dottrina che dobbiamo imparare e più che un complesso di verità che dobbiamo credere, è un rapporto d’amore che dobbiamo vivere.
Naturalmente questo comprende anche l’accettazione di quelle verità concernenti il il mistero, se così possiamo dire, dell’opera di salvezza operata da Dio in Cristo Gesù per noi.
Queste verità riguardano la persona di Cristo con il quale dobbiamo vivere il nostro rapporto di fede; esse sono sinteticamente dichiarate nel nostro CREDO
– Cristo inviato, per amorre dal Padre (Giov. 3:16)
– Nato da Maria vergine, per opera dello Spirito Santo (Mat. 1:18; Lc. 1:30-34
– Morto, risorto e salito al cielo (Mat. 27:50; Mc. 15:37-39; Lc. 24:5-6, 51; At. 1:11).
– Atteso alla fine del tempo presente per accogliere la Sua Chiesa, per regnare con essa sulla terra milla anni, poi nel cielo per l’eternità (1 Cor. 15; 1 Tess. 4:16).
La comprensione del disegno divino della salvezza è però graduale. Lo Spirito Santo presente nella Chiesa è Colui che assicura alle nostre generazioni la grazia necessaria per accettare il messaggio della salvezza attuandolo nel concreto della vita. «Noi rendiamo grazie a Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo, nelle preghiere che facciamo per voi, avendo udito parlare della vostra fede in Cristo Gesù e dell’amore che avete per tutti i santi, a motivo della speranza che vi è riposta nei cieli; speranza che avete da tempo connosciuta mediante la predicazione della verità del Vangelo» (Colossesi 1:3-6).
Certamente nell’attuale sistema siamo anche noi condizionati dall’oppressante ritmo della società moderna, senza contare l’incombente crisi che peggiora sempre più, spingendoci alle volte ad un comportamento che del cristiano non ha la più lontana parvenza, i tempi cambiano, ma la Parola di Dio permane in eterno, neppure una virgola od un accento passeranno.
L’esortazione che l’apostolo Paolo rivolgeva ai cristiani di quell’irrequieta città portuale greca, è ancora oggi per noi credenti dell’ultima ora: «Fate molta attenzione al vostro modo di vivere, non comportatevi da persone sciocche, ma da persone sagge. Non comportatevi da persone senza intelligenza, ma cercate invece di capire cosa vuole Dio da voi… Siate ricolmi di spirito Santo,,, (Efesini 5:15-27) perché «dove c’è lo Spirito del Signore, quivi è libertà».
IN SINTESI:
Cristo, mandato dal Padre è venuto a proporci la comunione con Dio e con i fratelli, chiamandoci alla fede.
La Sua chiamata è personale, ma poiché la fede è un rapporto d’amore, tutti coloro che credono ed aderiscono a Lui hanno comunione fra loro.
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