IL BRUCO CHE NON VOLEVA DIVENTARE FARFALLA
“La morte del bruco noi la chiamiamo farfalla”.
C’era una volta un bruco molto piccolo che viveva sopra una gran foglia di gelso. Era la sua casa e anche il suo cibo perché ogni giorno ne mangiava un pezzettino per nutrirsi e anche perché n’era goloso, gli piaceva proprio, diciamo che era il suo cibo preferito. Era un bruco di colore verde brillante, perciò si confondeva bene con la sua casa e non c’era pericolo che qualche uccello o un altro animale lo potesse scorgere e se lo mangiasse.
Era venuto al mondo in una notte di luna piena e, appena messa fuori la testa dall’uovo nel quale si era formato, aveva guardato lassù alla luna e si era subito sentito meno solo.
La luna lo aveva guardato col suo bel faccione tondo e come benvenuto gli aveva inviato un raggio della sua luce, tutto per lui, che l’aveva scaldato e rincuorato.
Gli aveva anche parlato, così almeno gli era sembrato, stordito com’era in quel primo minuto di silenzioso stupore per il luogo tanto insolito, per lui abituato al rassicurante tepore dell’uovo; c’era sì la luna, ma la notte era piena di strani rumori e presenze che gli mettevano un po’ paura, dovette confessare a se stesso.
Dunque la luna gli aveva parlato, con una nocetta argentina che ricordava il vibrare nell’aria di mille campanellini d’argento: “Benvenuto alla vita bruchino; non avere paura, non sei affatto solo. Intanto ci sono io e poi, se dai un’occhiata intorno, migliaia d’esseri viventi che come te si muovono sul quel pianeta, vivono, lottano, soffrono, imparano dagli errori fatti e infine muoiono”.
“Non ti sembrerà vero adesso, ma hai davanti a te un gran destino e darai molta gioia e bellezza a tutti coloro che ti vedranno in futuro, a tutti coloro che sapranno godere della tua silenziosa presenza. Non dimenticare queste parole e stai allegro: la vita laggiù non è poi così brutta, te lo dice una che la guarda e la studia da milioni e milioni d’anni”.
Circa questo era stato il succo del discorsetto che la luna gli tenne in quella prima notte di vita e lui, da bravo bruco coscienzioso, fece del suo meglio per stare attento e per ricordare quelle strane parole.
Non ci aveva capito per la verità molto, anzi non ci aveva capito un’acca, ma sembravano belle e importanti parole che valeva la pena di ascoltare. E poi, non aveva nulla di meglio da fare!
Si tirò fuori completamente dall’uovo e ringraziò con un buffo inchino e poi tutto compunto le disse anche qualcosa, che era suonato più o meno così; “grazie mille per l’accoglienza. Sei stata molto gentile a parlare in quel modo. Non so bene come né perché sono capitato in questo strano posto, ma cercherò di fare del mio meglio per essere all’altezza della situazione. Adesso mangerei un poco di questa foglia che ha tutta l’aria d’essere deliziosa”.
Iniziò così la vita del bruco sulla sua foglia gigante, ben inteso per le sue esigue dimensioni. Non aveva di che preoccuparsi per il cibo perché lì ve n’era in quantità, sotto e tutt’intorno a lui.
Sono poche le attività di un bruco appena nato e, a parte nutrirsi e dormire, gli rimaneva molto tempo a disposizione per pensare.
Impiegò due giorni interi ad ispezionare la sua casa e a conoscerne ogni angolo di modo che dopo ebbe tutto l’agio di scegliersi un angoletto riparato dove dormire, o ripararsi dalla pioggia, si era in primavera, e a pensare. Guardava spesso il cielo, di notte, e vide ben presto che attorno alla sua amica luna c’erano molte altre luci, molto più piccole e con una particolarità: comparivano mano mano che la luna si assottigliava fino a scomparire, per essere tante ma proprio tante quando la luna non veniva e al contrario non ce n’era quasi nessuna quando la sua amica guardava giù, come dire, a tutta faccia. Insomma, quando c’era lei tutta intera, non comparivano loro mentre quando lei spariva del tutto o in parte, arrivavano a frotte, a gruppi, a strisce.
Era un bel mistero sul quale bruco pensò e ripensò molto senza arrivare a nessuna conclusione certa.
Intanto venne alle prese con un altro mistero: quando c’era la luna in cielo, anche solo un pezzettino, o le altre luci, era molto più buio di quando non c’erano affatto. Allora sembrava che milioni di luci si accendessero tutte insieme e si concentrassero in una grande, immensa luce, molto splendente, che si muoveva lassù in alto regolarmente fino a scomparire.
Quindi tornavano loro, le sue piccole amiche lucine o la grand’amica luna.
Era uno strano mondo quello nel quale era capitato e gli piaceva un sacco passare ore intere a rifletterci sopra.
Tanto che si dimenticava perfino di mangiare e questo era grave per lui perché confusamente sapeva che doveva crescere per diventare….qui la sua mente si arrestava, come fosse sull’orlo di un abisso, e con una certa paura si ritirava su argomenti meno “scottanti”. Sentiva anche che quella cosa, quella vaga consapevolezza nel fondo della sua mente aveva qualcosa a che fare con ciò che glia aveva detto la luna quando era uscito dall’uovo, ma non gli riusciva proprio di collegare le due cose in un tutto coerente. Ci pensò e ripensò, come sua abitudine, ma si fece venire solo un gran mal di testa.
Chiuse gli occhi, respirò a fondo, e si addormentò.
Sognò, e nel sogno volava, era in alto sopra gli alberi e guardava giù. Sotto di lui boschi immensi e prati pieni di fiori, e un gran lago verde smeraldo e, lontano, lungo la linea dell’orizzonte, cime turchine e viola. Si abbassò con ampi giri e capì che stava sorvolando il boschetto dove viveva, al limitare di campi coltivati; si abbassò ancora di più e volò proprio sopra il suo albero e mentre le foglie si muovevano leggere al suo passaggio, quasi ad aprirgli un varco per farlo passare e tornare a casa, vide sulla sua foglia, ma fu un attimo, vide se stesso arrotolato sul bordo, immerso in quello che sembrava un sonno profondo e fu preso dal panico.
La testa cominciò a girargli, le orecchie a ronzare e girò e rigirò su stesso molte volte, per un lunghissimo momento, finché col cuore che gli batteva all’impazzata si risvegliò bruscamente, tutto sudato.
Stette lì immobile e intontito per molto tempo, senza capire assolutamente cosa fosse successo, confuso tra realtà e sogno, in quello stato nel quale non si è più in grado di distinguere tra l’una e l’altro e sembra ci sia stata una fusione tra i due, e il limite, di solito bene netto e comprensibile, si confonde fin quasi a scomparire.
Che cosa era sogno e cosa realtà?
Chi sogna, ma soprattutto quando si sta sognando e quando invece si è nella vita reale? E che cosa è la vita reale?
In quel momento era forse lui stesso il sogno di qualcuno o era lui che aveva sognato di volare, ma perché allora si era visto? Che strano scherzo della fantasia era mai quello?
Come il solito quando affrontava temi filosofici, gli veniva un gran mal di testa e andava in confusione totale. Meglio, decise, occuparsi della “sana” solita realtà e tanto per cominciare adesso riempirsi la pancia perché la sentiva brontolare.
Nei giorni che seguirono fu molto occupato a mangiare e a godersi le lunghe ore di sole, di caldo e di vento leggero che faceva dondolare lievi le foglie intorno a lui creando zone d’ombra e di luce che lo divertivano e lo cullavano insieme. Non pensò più alle vecchie questioni, né si pose nuove domande su quanto esisteva intorno a lui o su se stesso, ma evidentemente quelle prime riflessioni lavoravano a sua insaputa, in qualche angolo del cervello, perché di notte faceva strani sogni che però dimenticava regolarmente di giorno. Uno però se lo ricordò perché l’impressione che n’aveva ricavato non lo abbandonò per tutto il giorno dopo, anzi lo costrinse a tornarci sopra col ricordo.
Aveva sognato di percorrere un lungo tunnel buio, avanzava a fatica lungo quel budello dalle pareti tanto vicine al suo corpo che a tratti lo avvolgeva in un abbraccio deciso ma morbido. Non faceva freddo né caldo là dentro, sembrava ci fosse una temperatura adatta al suo corpo e la superficie delle pareti era asciutta ma non dura, anzi sembrava quasi che si modellasse attorno a lui dandogli una piacevole sensazione di sicurezza e protezione. Era buio pesto, tutti i suoi sensi erano all’erta per cercare di comprendere dove fosse e se ci fosse pericolo, ma non avvertiva nulla di preoccupante.
Ad un certo momento qualcosa cambiò, ci fu più luce, un tenue chiarore diffuso che non proveniva da nessun punto preciso, ma era dappertutto. Sentì contemporaneamente le pareti farsi sottili, quasi trasparenti, mentre ancora più luce invadeva il lungo budello finché… qualcosa si ruppe e si ritrovò a volare sopra una struttura madreperlacea a forma di cilindro, aperta ad un’estremità.
Era evidentemente uscito da là e volava.
Si sentiva leggero come non mai e pieno di una gran gioia, la gioia d’essere libero e di poter andare dove voleva, senza limiti, non più soggetto alla forza di gravità. E luce, tanta luce intorno che quasi gli feriva gli occhi abituati all’oscurità del bozzolo.
Ebbro di quell’emozione che solo la libertà può dare, si svegliò e c’impiegò un po’ per rendersi conto che aveva di nuovo sognato e, come già altre volte, si domandò cosa fosse sogno e cosa invece realtà.
E ancora quella sensazione forte di volare.
Lui volare? Col suo corpo poteva sì e no strisciare e anche lentamente. No, di volare non se ne parlava proprio e perché poi? Per andare dove? A fare che? No, no, molto meglio restare su quella foglia a godersi il buon cibo che aveva abbondante attorno a sé e il sole, e il vento e la sua amica luna che lo veniva a trovare e le lucine che c’erano di solito e…ma quanto sarebbe durato tutto ciò?
Questo pensiero gli attraversò fulmineo la mente e un’emozione di paura s’impadronì di lui e gli tolse il respiro e lo gettò nella più cupa disperazione. La paura per il futuro lo avvolse a ondate sempre più poderose man mano che nella sua mente si andavano formando visioni catastrofiche di se stesso, affamato e solo, alla mercé di qualunque cosa, elemento naturale o animale che fosse, potesse sopraffarlo. Erano tante le cose che potevano sopraffare un minuscolo bruco come lui!
La paura lo prese alla gola e per un momento sembrò che, questa sì, lo sopraffacesse, lo soffocasse, ma fece uno sforzo per controllarsi e, tirato un profondo respiro, si guardò intorno. Di cibo, a quanto poteva giudicare, ce n’era tanto, ma tanto che certo sarebbe bastato, a lui così piccolo, per mille vite e più. Per quello allora non c’era di che preoccuparsi. Sentiva ancora paura nel petto e nello stomaco; di cosa? Di restare solo? Che significava se, in fin dei conti, non aveva che vissuto così da quando era venuto al mondo, con, come uniche compagne, le amiche stelle, la luna e qualche animale volante che di tanto in tanto gli passava vicinissimo, al punto da fargli fremere la foglia sotto di sé. Non era forse sempre stato solo? Allora, cosa significava quella sensazione di catastrofe incombente che pro0vava, quella paura improvvisa e assurda?
Sì, assurda, perché non c’era motivo al mondo, a meno che quell’emozione non nascondesse altro, ma che cosa?
Davanti a quest’ultima, ennesima domanda, il nostro amico si confuse e decise che era meglio per il momento lasciar perdere. Ma poi, ripensandoci su, s’infuriò perché c’era di nuovo cascato: era di nuovo alle prese con pensieri più grandi di lui cui non poteva dare un senso e con domande cui non sapeva rispondere. S’infuriò tanto che per poco non finì per l’agitazione oltre il bordo della sua foglia capitombolando al di sotto.
Con un altro sforzo di volontà si ricompose e diede un morso rabbioso all’orlo della medesima, ma per la prima volta la sentì amara e la sputò.
Era proprio sconsolato e confuso e si rannicchiò tutto, arrotolandosi a mo’ di ciambellina e dopo un poco si addormentò sfinito.
Dormì di un sonno agitato, facendo ancora strani sogni, a tratti incubi veri e propri che lo facevano risvegliare di soprassalto, poi girandosi su un lato si riaddormentava. E così via di questo passo per tutta la notte. Albeggiava quando si svegliò definitivamente. Ben desto, restò immobile a godersi il fresco dell’alba e a guardare il cielo che diventava sempre più chiaro a oriente, quando uno strano impulso lo prese.
Si stirò completamente e si rotolò più volte da una parte e dall’altra e, ogni volta che faceva un giro completo, qualcosa si veniva formando attorno a lui, qualcosa di morbido che si avvolgeva intorno al suo corpo aderendovi perfettamente. Al termine della serie di quei rivoltamenti su se stesso si ritrovò completamente avvolto da una struttura asciutta e morbida, avvolgente, in un abbraccio deciso ma gentile.
E di colpo si ricordò del sogno che aveva fatto tempo addietro; la sensazione era identica, stesso buio, stesso stato di all’erta con tutti i sensi tesi fino allo spasimo, stessa sensazione di protezione e di sicurezza nonostante tutto. Nonostante la paura che sentiva montare dentro, proprio come allora. Cosa gli stava accadendo?
Contemporaneamente alla formazione di quel bozzolo attorno al suo corpo, sentiva le sue membra, la sua pelle, la sua carne, stirarsi e allungarsi, torcersi e contrarsi, strutturarsi diversamente, dapprima crescere poi rimpicciolirsi, ogni parte di quello che quello che era stato il suo corpo, ma era ancora il suo corpo? si domandò angosciato, era in movimento, tutte le singole parti in movimento simultaneo, ma era sempre lui, la sua individualità unica permaneva identica a se stessa, questo pensiero lo confortò.
Oltre tutto quel terribile lavorio sentiva la profonda identità unica del suo essere, la sua coscienza era alla stesso tempo testimone e protagonista di quel processo che stava procedendo senza la minima possibilità da parte sua, della sua volontà, di poterlo arrestare.
Paura e allo stesso tempo curiosità erano gli stati d’animo che si alternavano nel suo intimo. Non poteva fare nulla, forse era meglio assecondare tutto ciò e stare a vedere come sarebbe andata a finire.
Il tempo intanto passava, ed il processo di trasformazione continuava senza soste, né tentennamenti. Non sentiva fame, né freddo, né ormai nemmeno più paura, ma solo una gran spossatezza per tutto quel lavoro e quell’enorme dispendio di energie. Nel momento in cui pensò che non avrebbe sopportato un minuto di più quel tirare e allungare, quel piegare e scricchiolare del suo corpo, movimenti che peraltro non gli procuravano granché male ma solo gli davano un po’ d’irritazione, ogni cosa si fermò, tutto quel lavorio interno si placò e fu solo silenzio e una gran pace scese sul bruco, nella sua anima e, sfinito, si addormentò.
Fu finalmente un sonno profondo, non turbato da sogni, un sonno ristoratore.
Dormì a lungo e quando alla fine la coscienza riprese consapevolezza della realtà esterna, percepì solo buio e silenzio. Solo il battito regolare del suo cuore scandiva il passare del tempo e gli ricordava che era vivo, ma differente da prima, non capiva né cosa né come fosse accaduto, ma tutto era differente da come ricordava di essersi sentito quando tutto era iniziato. E quel buio pesto!
In principio è sempre buio, pensò chissà perché!
“Il principio di cosa?” Si domandò.
L’inizio di un nuovo stato dell’essere, sempre e ancora lui, nell’unicità di se stesso, ma anche diverso nella forma esteriore. Estese le sue sensazioni al suo corpo e avvertì che non era più lo stesso che ricordava, ma molto più grande, più duro, aveva zampe, l’abbozzo di qualcosa che poteva definirsi come due ali, e constatò che la materia di cui ora era costituito era madreperlacea e non più morbida e carnosa come ricordava essere stato dacché era emerso dall’uovo.
Si era trasformato, suo malgrado, in un altro essere, era divenuto una pupa. Si era trasformato per l’azione di quella legge che presiede ad ogni fenomeno sulla Terra e nell’intero Universo, per quella legge che dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande opera su ogni creatura, su ogni essere per trasformarlo e farlo diventare perfetto come perfetto è il Padre che di quella Legge è il Creatore, la Legge detta dell’Evoluzione.
È questa che regola la vita di tutti gli esseri, incarnati o no, viventi e non, ne modula la crescita ed il comportamento, il destino personale e di specie, le alterne vicende di nascita e morte, poiché vita e morte non sono che due aspetti del medesimo processo, appunto l’evoluzione nell’intero Cosmo.
Non si può affermare, tornando al nostro amico bruco, anzi pupa, che non ne fu sgomento, ma ormai era avvenuto, cosa poteva farci? Tornare indietro non sembrava possibile, né forse lo desiderava, oltre a non sapere assolutamente come fare. Anzi, quasi quasi il nuovo aspetto assunto gli piaceva e, pur non essendosi ancora visto, si era fatto l’idea di essere più bello di prima.
Ma, pensò dubbioso, nel sogno non finiva in quel modo, ammesso che fosse un sogno premonitore, là volava, mentre se tutto si fosse fermato a questo punto, tutt’al più avrebbe camminato. Era sempre un bel progresso, dal semplice strisciare, ma vuoi mettere volare?
Ma come mai non usciva da quel guscio? Perché non si assottigliava e come nel sogno ne sbucava fuori, che volasse o camminasse?
Cominciava ad essere stanco di stare là dentro, avrebbe voluto sgranchirsi le zampe e allungare quell’abbozzo d’ali. Chissà, magari col tempo avrebbe anche imparato ad usarle. Ma subito ebbe paura di quel pensiero e lo cancellò dalla mente come se fosse un peccato averlo pensato.
Una presunzione. Eppure era stato condotto fin lì da quella forza immensa che si era impossessata del suo corpo, perché non essere condotto oltre? Ma no! Ma no! Bisogna accontentarsi nella vita e non pretendere l’impossibile!
Mentre era impegnato in queste elucubrazioni, ecco che qualcosa comincia di nuovo ad accadere, qualcosa riprende a muoversi dentro di lui e anche attorno al suo corpo. Eccomi accontentato, pensò con un moto di fastidio, si ricomincia! Ma non fece in tempo a rendersi conto di quello che stava accadendo perché di colpo tutta la sua consapevolezza si raccolse intorno al gran movimento che sentiva dentro e intorno a sé, accompagnato da scricchiolii paurosi e i soliti stiramenti e contorcimenti.
Questa volta però tutto dura così poco tempo, abbastanza presto quel lavorio si arresta com’era iniziato, di botto.
Per fortuna, pensò il povero animaletto che era sfinito, più per le tante emozioni provate che non per la fatica, dal momento che ogni cosa era avvenuta quasi contro la sua volontà, senza il suo intervento cosciente. Era, quella, una forza a lui sconosciuta che si era impadronita di lui e lo girava e rigirava a suo piacimento. E ancora quelle parole che non comprendeva gli arrivavano alla coscienza: Legge Evolutiva.
Nelle ore che seguirono a quella prima scossa dacché si era trasformato in pupa, ci fu una relativa calma, interrotta a tratti da qualche scossettina d’assestamento. Presto ci fece l’abitudine e se ne stette calmo calmo ad aspettare gli eventi e a vedere come sarebbe andato a finire tutto quel trambusto
Stranamente non provava paura, ma seguiva il trascorrere del tempo con curiosità e alle volte un tantino di noia per la forzata immobilità. Ma poteva pensare e, giacché questa era la sua occupazione preferita nel passato, questo fece. Cominciò con una domanda tanto per cambiare: che cosa sarà mai questa Legge Evolutiva? E che cosa c’entrava con lui? Che cosa è una legge? E l’evoluzione?
Si concentrò su queste domande e sentì che quello che gli stava accadendo era appunto l’evoluzione, una trasformazione, una maturazione, da qualcosa che c’era prima a qualcos’altro che non aveva ancora sperimentato né tanto meno immaginato.
“Immaginato, sì!” – pensò in un improvviso lampo d’intuizione – “anzi sognato”.
Rivide davanti agli occhi il sogno del volo: era lui stesso che volava libero e felice nel cielo azzurro posandosi qua e là dove gli suggeriva l’estro, libero, libero!
Ma sì. era quella dopo tutto l’Evoluzione, da bruco quasi immobile a…come si chiamerà dopo?
Farfalla, sentì nella mente, come prima Legge Evolutiva.
Da bruco a farfalla.
“E volerò” – pensava estasiato. “E se cado?” – un attimo dopo, impaurito.
“Ma va’, se ho le ali come faccio a cadere? Già, ma io non so volare. Chi m’insegnerà?”
“Uffa, quanti dubbi! Volerò e basta!” – concluse irritato con la sua stupidità testona. Mentre era intento a questo monologo interiore il buio fitto di prima si era fatto meno buio e un leggero chiarore diffuso cominciava ad invadere il bozzolo. Quando fu sufficientemente forte da colpirgli gli occhi, ne prese coscienza e cominciò a tremare perché ogni cosa si stava ripetendo tale e quale come nel famoso sogno; adesso si sarebbero assottigliate le pareti, e difatti così avvenne e un momento dopo qualcosa si spezzò e una gran lama di luce s’infiltrò nel guscio abbagliandolo, dopo tanta oscurità. Con le zampette si fece largo nella fessura fino a sbucare faticosamente all’esterno. E là restò per un lungo tempo, stordito e accecato, con la strana sensazione d’essere tanto leggero che un colpo lieve di vento avrebbe potuto spazzarlo via. Eppure era ancora lui, si sentiva in tutto e per tutto se stesso.
Lentamente, a fatica, allargò le ali e le fece fremere leggere alla brezza per asciugarle e per prendere forza. Si sentiva ancora a pezzi, intontito, senza forze, ma aprì un occhio e si guardò intorno.
Quello che non aveva neanche lontanamente osato immaginare era accaduto e sul suo corpo e stava lì davanti ai suoi occhi pieni di meraviglia: era un essere, una farfalla appunto, dai colori più vivaci e brillanti che avesse mai visto. Da una parte completamente di colore marrone chiaro con degli “occhi” più scuri e dall’altra parte, difficile da immaginare qualcosa di più bello, iridescenze azzurro – verde che andavano scurendosi lungo i bordi in un blu oltremare dai riflessi d’argento e verso l’interno, verso il corpo affusolato del colore del bronzo dorato, in un giallo oro dai riflessi ramati. Lo stupore e la gioia di una simile scoperta quasi lo soffocarono e allora tutto preso dall’entusiasmo e dall’agitazione, si lanciò all’improvviso in un volo dapprima un po’ incerto, poi sempre più sicuro e libero. Volò in alto, in alto, sempre più in alto, verso i paesaggi del suo sogno.
E fu solo gioia, bellezza, libertà infinite.
Il piccolo bruco si era trasformato in una splendida farfalla ebbra di luce e di libertà.
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