Colombia: perché NO alla pace?
Spieghiamo il NO dei colombiani all’accordo di pace. Dalla paura di una nuova ondata di violenza contro i cristiani in alcune regioni del paese, alla confusa opinione pubblica colombiana (in grossa parte astenutasi dal voto), in poche righe una fotografia di quanto sta accadendo in Colombia.
Dopo 52 anni di conflitto, oltre 200.000 morti e 4 anni di negoziati, una massiccia campagna supportata a livello internazionale ed avallata dall’alleanza di buona parte dei partiti, al referendum vince a sorpresa il NO all’accordo di pace, un brutto colpo per il processo voluto dal neo premio Nobel per la pace e presidente della Colombia, Juan Manuel Santos. Nelle aree localizzate dove i cristiani sono stati perseguitati dai gruppi di guerriglieri (FARC in testa), chiese, leader cristiani e vittime della guerriglia temono o addirittura si attendono una nuova ondata di violenza, mentre si rumoreggia di movimenti e raggruppamenti di miliziani come reazione al voto.
Solo 12.800.000 colombiani hanno votato il 2 ottobre scorso: il SÌ all’accordo di pace ha avuto il 49,78%, mentre il NO il 50,21% dei voti, con un’astensione record di addirittura il 63% degli aventi diritto, segno di un’insofferenza mista a frustrazione e scetticismo diffuse. Di fronte alla sorprendente sconfitta, il presidente Santos ha dichiarato che i negoziati continueranno poiché “Tutti vogliono la pace”, ha affermato in una conferenza stampa riferendosi sia ai sostenitori del NO che del SÌ. Tra gli oppositori, fomentati dal partito dell’ex presidente Uribe, vi sono associazioni di vittime delle FARC, vari settori sociali e anche una buona parte della chiesa (cattolica ed evangelica). La Colombia vive una delle più ampie spaccature sociali degli ultimi tempi. Ma come mai? Perché molti cristiani hanno votato contro?
Perché l’accordo di pace è stato percepito come un diretto attacco ai valori della famiglia attraverso l’introduzione dell’ideologia gender (molto dibattuta anche in Italia), una sorta di minaccia alla fede cristiana. Ma che c’entra la gender con la pace coi guerriglieri? Nelle ben 297 pagine dell’accordo finale si affrontano molti temi, tra cui la riforma delle terre, la reintegrazione degli ex-guerriglieri, la rappresentanza politica del movimento ma vengono in qualche modo lambite anche questioni legate al genere. Nell’enorme e confusa macchina comunicativa, il merito del referendum si è perso, assai pochi colombiani erano ben informati su ciò che andavano a votare e molti apparivano stanchi e confusi alla vigilia del voto: secondo molti analisti questo è stato il motivo della vittoria del no. La polarizzazione delle istanze per il SÌ suonava (semplificando) più o meno così: “Se voti SÌ, voti per la pace, la vita, la famiglia e il futuro. Se voti NO, voti per guerra, violenza e morte”; dall’altra parte le istanze per il NO si semplificavano in: “Vota NO se vuoi preservare i valori sani, tradizionali e morali in difesa della famiglia. Vota SÌ se vuoi un regime comunista che proibisca la libertà di espressione e disintegri la società anche attraverso l’introduzione dell’ideologia gender”.
Ora, come detto più sopra, tra i cristiani direttamente in contatto con le aree di azione dei gruppi guerriglieri aumenta il timore di violenze. Non è un segreto che la Chiesa evangelica colombiana si sia occupata assai poco dei loro fratelli e sorelle perseguitati nel loro stesso territorio. La situazione post-referendum non sembra assolutamente migliorare la situazione. Lo sforzo di Porte Aperte di aiutare i perseguitati e di rendere consapevoli le chiese colombiane dura ormai da anni.
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