NELLE CRISI, ESSERCI (1)
A volte diciamo: “Non è una mia responsabilità, non mi faccio coinvolgere”. Gli psicologi definiscono “distacco compassionevole” questa tendenza ad evitare di aiutare chi è in difficoltà. Le motivazioni potrebbero essere il disagio che ne verrebbe, la volontà di proteggere se stessi o l’indifferenza; comunque sono sbagliate. “Esserci” significa dimostrare coi fatti l’amore per Dio e per il prossimo. Per aiutare bisogna distinguere tre tipologie di crisi: 1. Crisi accidentali, legate alle circostanze esterne. Pensiamo ad esempio a minacce improvvise per il benessere in generale, ad eventi di disturbo, perdite inattese, malattie serie, la morte di un familiare, la perdita dei mezzi di sostentamento o della sicurezza. Giobbe sperimentò tutte queste cose contemporaneamente e si chiese perché Dio lo stesse permettendo. 2. Crisi legate ai
cambiamenti. Accadono quotidianamente, cambiare casa, andare all’università, il matrimonio, la nascita dei figli, la pensione, l’invecchiamento, la salute che si indebolisce, la perdita degli amici. Abramo e Sara cambiarono spesso residenza; sopportarono anche anni di sterilità e tensioni familiari, compresa la sfida derivante dal sacrificio di Isacco. 3. Crisi esistenziali. Forse ci vediamo come un fallimento quando fronteggiamo verità scomode su noi stessi: un divorzio o la morte del coniuge, la scoperta di un male incurabile, l’essere rifiutati a causa di razza, classe sociale, o il renderci conto di essere ormai troppo vecchi per poter realizzare i nostri obiettivi di vita. Chi davvero vuole aiutare, lo fa con misericordia, cercando di capire, di farsi coinvolgere ed incoraggiando; tiene gli occhi aperti e lo fa “con gioia”.
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