“ALZATI, SONO GESÙ!” – ERO MUSULMANA E PARALITICA

 

Io, Gulshan Fatima, la figlia minore di una famiglia Sayed, musulmana discendente diretta del profeta Maometto attraverso Fatima, sua figlia, avevo sempre vissuto una vita costretta nella mia casa, quasi reclusa, nella regione del Punjab, Pakistan. E ciò non solo perché ero stata educata, sin dall’età di sette anni, nel pieno rispetto dei più rigidi dettami del codice islamico ortodosso sciita, ma anche perché paralizzata e quindi incapace di lasciare la mia stanza senza l’aiuto di qualcuno. Il mio volto era velato agli occhi degli uomini, fatta rara eccezione per i parenti più prossimi come mio padre, i due fratelli maggiori e mio zio. Per i primi 14 anni della mia debole esistenza, i muri delimitanti il perimetro di un grande giardino costituirono per me i confini del mondo.

Fu mio padre a portarmi in Inghilterra – proprio lui che aveva sempre guardato con sospetto quegli inglesi che adoravano la Trinità invece di un solo Dio. Non mi permetteva neppure di studiare la lingua degli infedeli durante le lezione con la mia insegnante, per paura che potessi in qualche modo essere contaminata da quell’errore ed essere così allontanata dalla nostra fede. Eppure decise di portarmi fin lì, dopo aver speso una quantità enorme di denaro in patria nel tentativo di trovare una cura che giovasse alla mia condizione. Fece tutto questo per amore, preoccupandosi della mia felicità futura. Ancora oggi, nella mia maturità, mi basta chiudere gli occhi per vedere subito con la mente un’immagine a me cara: quella di mio padre quando, da bambina, entrava nella mia stanza per insegnarmi la mia religione. Lo vedo in piedi accanto al mio letto, davanti all’immagine della casa di Dio, la Mecca, il luogo più sacro dell’islam. Papà sfila il Santo Corano dallo scaffale, il luogo più alto in quella stanza, perché niente deve trovarsi al di sopra del Corano. Il mio nome in lingua Urdu significa “luogo dei fiori, giardino”. Io, una pianticella malata con un nome simile, ero veramente tenuta come quei fiori da mio padre. Lui amava tutti noi 5 figli. Sebbene l’avessi deluso una prima volta poiché ero nata donna e poi a sei mesi perché resa paralitica dal tifo, mio padre mi amava ugualmente o forse anche più degli altri. Non era forse stata mia madre stessa a lasciargli il compito di prendersi cura di me sul letto di morte? “Ti prego, non sposarti di nuovo per amore della piccola Gulschan”. Queste furono le sue ultime parole prima di morire. E mio padre per amor mio così fece, non si risposò mai più.

Eravamo in attesa del verdetto dello specialista inglese del quale mio padre aveva tanto sentito parlare in Pakistan mentre continuava la sua ricerca di un trattamento medico migliore. “Buongiorno”, disse una voce molto gentile e piacevole. Mani ferme tirarono su la lunga manica del mio abito e cominciarono a visitarmi. Passò un minuto e poi lo specialista si pronunciò. “Per questo caso non c’è cura, solo la preghiera”. Non c’era nulla da fare. Poi il dottore uscì e i miei occhi erano pieni di lacrime. Mio padre strinse la mia mano senza vita e disse sollecitamente: “C’è un solo modo. Bussare alla porta celeste. Andremo alla Mecca come volevamo fare”.

Partimmo. Fiumi di pellegrini percorrevano quel viaggio di 45 miglia. Molti andavano a piedi e marciavano stoicamente per richiamarsi al viaggio di Abramo, quando si mise in cammino cercando il santuario di Agar e Ismaele. Arrivammo alla Mecca, gli orecchi erano pieni del suono di preghiere cantate, versetti del Corano e della dichiarazione: “Non c’è altro Dio al di fuori di Allah e Maometto è il suo profeta”. Eravamo in pellegrinaggio da un mese ed era ormai tempo di tornare a casa. Mio padre mi guardò e mi disse: “Dio ci sta mettendo alla prova entrambi”. Papà disse ai miei fratelli e alle mie sorelle: “Dio non è un Dio ingiusto. Dobbiamo avere la pazienza di aspettare”.

Due anni più tardi, mio padre si ammalò e morì. Anche in punto di morte, si fece pensiero di me e disse: “Ho lasciato molte proprietà, potrai avere cento servi alle tue dipendenze per tutta la vita, abbi cura di te e non disperare”. Io ero sulla sedia a rotelle china verso di lui. Rimase in quello stato per alcune ore, poi la mattina del 28 dicembre 1968 morì. Ero distrutta e molto depressa e incominciai a pensare al suicidio. “Padre, ti prego portami con te, che senso ha la vita adesso senza di te?” Chiusa in una stanza con metà corpo paralizzato. Ma come potevo suicidarmi? Impiccandomi non potevo. Avvelenandomi? E dove avrei preso il veleno? Volevo liberarmi da quel corpo pesante. “Quale terribile peccato ho mai commesso per vivere in questo modo?”, singhiozzai. “Dio”, gridai, “dammi tu la forza, te ne prego”! Poi mi calmai e una voce bassa e gentile mi sussurrò: “Non ti lascerò morire. Resterai in vita”. “Chi sei?”, risposi: “Sono Gesù, il Figlio di Dio. Leggi di me nel Corano nel Sura Maryam e mi troverai”.

Il giorno dopo, incominciai a leggere il Sura Maryam per cercare del Profeta Gesù. Per anni avevo letto il Corano devotamente ed avevo pregato regolarmente, ma avevo anche gradualmente perso la speranza che la mia condizione fisica potesse cambiare. Adesso, invece, iniziavo a credere quello che il Corano diceva su Gesù fosse vero. Credevo che facesse miracoli, fosse vivo e che poteva guarirmi. “Oh Gesù, il Corano dice che tu abbia risuscitato i morti e guarito i lebbrosi e fatto molti miracoli. Allora guarisci anche me”. La mia speranza diventava sempre più forte.

Una notte, alle tre, mi svegliai e vidi la camera illuminata. Inizialmente pensai che si trattasse della lampada da notte. Poi la luce continuava a crescere in luminosità e splendore, finché divenne più luminosa del giorno. Mi coprii il volto con il lenzuolo. Ero terrorizzata. Pensai allora che il giardiniere avesse acceso la luce esterna per illuminare gli alberi per sorprendere dei ladri oppure volesse controllare l’impianto di irrigazioni con il fresco della notte. Riemersi dalle lenzuola per guardare meglio. Tutte le porte e le finestre erano chiuse e anche le tapparelle; le tendine erano tirate. Mi accorsi allora che immerse in quella luce c’erano delle figure in abiti lunghi a pochi passi di distanza dal mio letto. Erano 12 figure in fila. Al centro ce n’era una, la tredicesima, più grande e più luminosa delle altre. “Oh Dio”, dissi, mentre il sudore mi bagnava la fronte. Abbassai la testa e dissi ancora: “Chi sono mai queste persone? Come hanno fatto ad entrare se tutte la finestre e le porte sono chiuse?”. Improvvisamente una voce disse; “Alzati! Questo è il cammino che cerchi da tempo. Sono Gesù, Colui che invochi. Eccomi, ti sto dinanzi! Alzati e vieni da me!”. Scoppiai a piangere. “Gesù, sono paralizzata; non posso venire; non posso alzarmi!”. Allora Egli disse: “Alzati e vieni da me! Sono Gesù!”. E siccome esitavo, disse ancora una volta quelle parole, ma continuai a dubitare e così mi comandò per la terza volta: “Alzati!” Io, Gulshan Fatima, costretta all’immobilità da 19 anni, sentii una forza fluire dentro le mie membra malate. Poggiai il piede sul pavimento e mi alzai. Feci alcuni passi di corsa e caddi ai piedi dell’Uomo della visione. Ero completamente immersa in una luce purissima che brillava come la luna e il sole messi insieme. Disse: “Io sono Gesù. Io sono l’Emmanuele. Io sono la Via, la Verità e la Vita. Io sono il Vivente e sto per tornare. Da oggi tu sarai mia testimone. Ciò che hai visto con i tuoi occhi, questo devi portare al mio popolo. Il mio popolo è il tuo popolo. Tu devi rimanermi fedele e portare questo messaggio al mio popolo”. Poi aggiunse: “Devi sempre mantenere questo abito e il tuo corpo senza macchia. Dovunque andrai, io sarò con te”.

Finalmente riuscivo a camminare come una persona normale. Gesù mi aveva salvata e chiamata ad essere Sua testimone. Tutta la mia famiglia si alzò e, quando mi videro camminare, rimasero senza parole. Potevo fare il giro per casa senza la sedia a rotelle. I miei fratelli erano felicissimi, tanto che facemmo festa. Ma quando mi domandarono come fosse potuto succedere, gli raccontai la verità. Dissi: “Gesù mi ha guarita”. Il silenzio cadde sui presenti, e mio fratello più grande disse: “Tu sei confusa, chi ti ha guarita è stato Maometto”. Ero triste perché pensavo che almeno i miei familiari fossero contenti per me. Invece una gran guerra si stava scatenando contro di me. Ma io ero forte, avevo il Signore Gesù che mi aveva detto: “Io starò sempre vicino a te e non permetterò che nessuno cosa ti faccia del male, solo resta fedele alla mia Parola”.

Da quel giorno dovetti andar via da casa e mi rifugiai in una chiesa metodista. Lì conobbi l’amore cristiano che il pastore Khan e sua moglie mi diedero. Ebbi una Bibbia e ogni giorno la divorai, e poi fui battezzata nella loro casa. Un giorno mi arrivò una lettera da mio cognato, che diceva che mia sorella era gravemente ammalata, e prima di morire voleva vedermi. Mi consigliarono di non andarci perché la mia famiglia stava tramando di uccidermi. Io pregai Gesù e andai lo stesso. Mentre ero nel taxi, avevo il cuore che mi arrivava alla gola, non sapevo se era tutto vero o se cercavano di uccidermi. All’improvviso senti la Sua voce dolce e gentile: “Anis non è morta, sta solo dormendo”. Sussurrai: “Signore, sei tu?”. “Sì, sono io, Gesù, te l’ho detto, non temere, solo abbi fede”. Fui inondata da una pace immensa.

Quando arrivai a casa, mia sorella era già morta. Mi inginocchiai e incominciai a pregare a Gesù. Poi mi alzai e dissi: “Perché piangete? Non è morta, è viva!”. Ci fu una costernazione generale. “È pazza! Mettetela in un’altra stanza, rinchiudetela!”. Così mi chiusero in una stanza vuota. Cominciai a pregare di nuovo Gesù. La sera, un’ora prima che portassero via mia sorella, mi fecero uscire e accomodare vicino alla bara. All’improvviso, mia sorella mosse un braccio, poi si mise seduta. Il panico totale, chi fuggiva, chi sveniva. Io abbracciai subito mia sorella. Suo marito, insieme all’imam, il maulvi e il muezzin accorse dalla moschea. “Anis, dimmi la verità, cosa ti è successo? 14 ore fa eri morta!”, e lei disse: “Io non ero morta!” La dottoressa era lì presente: “Tu eri morta! Non c’era vita in te!”, insistette. “Io non ero morta; stavo dormendo!”, disse mia sorella. “Durante il mio sonno ho fatto un sogno. Salivo a piedi su per una scala. In cima alla scala, c’era un uomo vestito di bianco con una corona d’oro in testa e dalla sua fronte fuoriusciva una luce intensa. Ho visto la sua mano posarsi sopra di me. C’era una luce che usciva dalla sua mano. Mi ha detto: ‘Sono Gesù Cristo, il Re dei re! Io ti rimanderò indietro e, al momento stabilito ti riporterò qua’, poi riaprii gli occhi”. Mentre parlava, aveva il volto raggiante e trabbocava di gioia. Non posso descrivere la gioia e lo stupore di tutta la nostra famiglia. Persino il marito, che era stato quello che mi aveva osteggiato di più all’inizio, adesso diceva che le mie preghiere avevano portato sua moglie in vita. Anche mio cognato si convertì insieme a mia sorella, mentre il resto della famiglia mi guardava con cattiveria. Dopo un po’, anche loro si battezzarono e diedero il loro cuore al Salvatore Gesù.

Alcuni mesi dopo, fui arrestata e messa in prigione per aver rinnegato l’Islam. In prigione, nel breve tempo che ci rimasi, parlai alle mie compagne di cella della mia fede in Cristo Gesù. Tra loro c’erano due ladre e un’assassina. Quando fui scarcerata, avevano dato il cuore a Gesù lì nella cella, e mentre mi allontanavo da loro, fiumi di lacrime versarono per la gioia di aver incontrato il Salvatore delle loro anime.

Nel prosieguo della mia vita, una volta, in casa di uno dei miei fratelli, venni presa con forza e messa in ginocchio. La pistola puntata alla testa e mi chiesero di rinnegare Cristo e di non andare più nella chiesa cristiana. Sentivo le voci dei miei parenti con gli occhi pieni d’odio: “Sparale! Sparale! E finiamola una volta e per sempre”. Risposi: “Il Corano afferma che una volta nati, si deve anche morire. Quindi, andate avanti, sparate, non mi importa di morire nel nome di Cristo”. La mia Bibbia dice: “Colui che crede in me, anche se muore, vivrà” (Giovanni 11:25). La sua mano tremò, la pistola gli cadde di mano, allora presero me e la mia valigia e mi buttarono fuori della casa. Sola e abbandonata, in mezzo a una strada oscura, cercai di raggiungere la fermata principale degli autobus. Ma avevo poco tempo per arrivarci, oramai era tardi. All’improvviso, vidi un uomo che trasportava un risciò, gli feci segno di fermarsi con la mano. L’uomo mi fece salire, poi incominciò a correre senza fermarsi fino alla stazione centrale degli autobus. Presa la mia valigia, la trasportò sopra l’autobus. Gli chiesi quanto gli dovessi. “Niente”, rispose: “Dio mi ha detto di aiutarla”, e se ne andò. Solo allora notai che i suoi occhi erano luminosi.

Gesù mi dimostrava la Sua potenza e la Sua protezione sempre, in qualsiasi circostanza. Il Signore mi portò in Inghilterra, e da lì ho partecipato a migliaia di conferenze in tutto il mondo, come testimone dell’Iddio Vivente e Vero. Sono andata in tutta Europa, in America, Brasile, Australia, Singapore e in Estremo Oriente. Sono stata chiamata a rendere testimonianza di quello che aveva fatto Gesù per me. Dio è buono, Egli è l’Iddio fedele è vero! A Lui solo la gloria e l’onore!!

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