Viviamo un Cristianesimo Dopato?

 

Sono cresciuto in chiese evangeliche dove mi sono attenuto a una dieta costante fatta di spettacolo e montature sceniche.

Quando avevo sei o sette anni, ho partecipato a un musical natalizio in una mega chiesa a Houston. I miei ricordi sono un po’ confusi, ma credo ci fosse una scaletta di brani che andavano per la maggiore nel corso degli anni, e ogni pezzo musicale rappresentava il modo in cui questa festa veniva celebrata in un determinato decennio. Hanno cantato “Rockin’ Around the Christmas Tree” (Dondolandosi intorno all’albero di Natale) per gli anni Cinquanta e “I’ll Be Home for Christmas” (Tornerò a casa per Natale) legato agli anni Quaranta, tutti avevano un abbigliamento che cercava di essere coevo a quel periodo.
La scena cui ho partecipato strizzava l’occhio agli anni sessanta. Indossavo pantaloni bianchi a zampa di elefante che avevano un triangolo di stoffa a pois nella parte più bassa, una tunica di raso arancione sformata e una catenina di perle colorate tipica della cultura hippie.

Alcuni mesi prima, mi sono battezzato in un’altra mega chiesa battista a Houston. Nei miei ricordi, questo posto condivide le dimensioni e l’estetica di un centro congressi. Massiccio, moderno e freddo. Il pastore che mi battezzò indossava pesanti stivali di gomma, si sistemò i capelli in uno specchio, si infilò una veste bianca sulle spalle e si aggiustò di nuovo i capelli. Chiese educatamente a tutti coloro che venivano battezzati di non bagnargli i capelli nel momento in cui entravamo e uscivamo dall’acqua.

Quello stesso pastore ha ora la sua denominazione, diffusa in vari Stati, dove proiettano i suoi sermoni sui grandi schermi. Ho sentito che l’hanno filmato con le telecamere RED, che costano quasi quanto una casa. Ha un blog su cui si discute dell’abbigliamento dei pastori, parlando di tutto ciò che tra di loro fa tendenza. Ha scritto un libro sul sesso e ha passato un giorno e una notte a trasmettere interviste su quest’argomento da un letto collocato sul tetto della sua chiesa. Ha anche dei video rap su YouTube. No, non mi sto inventando nulla.

Più tardi ci trasferimmo da Houston a New Albany, nell’Indiana, e non passò molto tempo prima che iniziassi a frequentare il gruppo giovanile. Sebbene fosse guidato da persone sincere, gentili e di buon cuore, era sicuramente strano. Lo spettacolo e il clamore erano di sicuro una componente imprescindibile e l’elemento caratterizzante del gruppo.
Le riunioni settimanali, anziché essere dei momenti di lode e rappresentare degli autentici culti spirituali, erano un tempo dedicato sostanzialmente a delle attività ludiche.

Ecco perché dico che sono allenato a resistere a tutto ciò che è effetto scenico e “turbo spiritualità”. La mia crescita spirituale è andata ben al di là di questi giochi. Nei gruppi giovanili, nei campeggi e nelle gite, la maggior parte dei relatori erano giovani di venti o trent’anni che, a ben vedere, mi ricordavano un motivatore. Ricordo una conferenza che si è conclusa con una clip del film Glory – Uomini di gloria. Era la scena dei momenti che precedevano la battaglia finale con la quale si concludeva il film. Matthew Broderick chiede chi porterà la bandiera se l’alfiere dovesse cadere durante la battaglia. Questa scena era usata come metafora: “La bandiera della nostra fede è caduta”, disse il relatore, “chi la porterà nella prossima generazione?”. Ci fu una pausa, e poi, in fondo alla stanza, un’anima coraggiosa urlò: “Lo farò io”. Presto l’intero auditorium mormorò, i ragazzi si alzavano in piedi ripiegando le pesanti sedie del teatro, mentre da ogni angolo della stanza si elevavano delle grida: “Lo farò io”. Sembrava una competizione, per vedere chi lo diceva più forte e con maggiore convinzione.
L’anno successivo, a questa stessa conferenza, lo stesso scenario si è ripetuto, soltanto che al posto di Glory il videoclip era la scena “Oh capitano! mio capitano” dell’Attimo Fuggente. Il mio amico Lachlan si sporse e disse: “Ci farà alzare tutti in piedi sui banchi”. Certo, dopo un po’ di preparazione ci fu una pausa e, “Oh capitano! mio capitano!”, tutti in piedi sui banchi. Tutti quelli che non avevano frequentato l’anno prima erano profondamente commossi.
L’anno successivo, si ripeté di nuovo.

In mezzo a questi momenti in cui andava in onda una precisa “messinscena spirituale”, ce n’erano molti altri in cui eravamo radunati in piccoli gruppi e abbiamo parlato della nostra fede in modo diretto e decisamente più silenzioso. Questi momenti erano intensi e sinceri, eppure rimanevano marginali. Erano episodi poco frequenti che nascevano spontaneamente. Raramente qualcuno si è seduto per parlarci degli aspetti della fede più ordinari, potremmo dire quotidiani e del tutto normali. Non corrispondeva alla logica di tutto ciò che ci dicevano a proposito della fede: essere cristiani era troppo forteNon si poteva essere “ordinari”. Così sono stato addestrato a rincorrere un’esperienza pirotecnica dopo l’altra, vivendo dei picchi emozionali per poi mettermi subito alla ricerca della prossima sensazione straordinaria.

La mia esperienza è stata comunque modesta rispetto a ciò che molti cristiani hanno visto e vissuto nelle chiese. Ci sono innumerevoli esempi di guaritori prezzolati, incantatori di serpenti e carismatici istrionici, che non arretrano di fronte a nulla, fossero pure le risate sante, il ruggire sacro, cadute nello spirito e molto altro ancora.
Una stranezza più recente sono state le manifestazioni della nuvola di gloria avvenute nella chiesa Bethel a Redding, in California. Per alcuni mesi, durante i servizi di culto nella chiesa, una nuvola di brillantini appariva nell’aria sopra le teste degli adoratori mentre cantavano, ballavano e gridavano affinché Dio operasse. Le persone hanno riferito di aver visto dei gioielli sul tappeto o persino nelle loro case dopo che avevano la sciato la chiesa. Pellegrini alla ricerca dell’evento straordinario hanno viaggiato fino a Bethel per vedere la nuvola gloriosa, e iscriversi alla loro “Scuola di Ministero soprannaturale”.

Un mio amico ha partecipato a uno di questi culti. Mentre la nuvola appariva in questo culto, era accompagnata da piume (le persone naturalmente presumevano fossero piume d’angelo). Il mio amico stava guardando una piuma cadere verso di lui quando una ragazza estatica lo spinse di lato, aprì le braccia al cielo e prese la piuma nella sua bocca. E la ingurgitò!

Puoi guardare scene come questa su YouTube. Puoi anche vedere diversi video che analizzano il fenomeno, compresi quelli che esaminano le cose al microscopio. Si scopre che la polvere della nuvola gloriosa assomiglia molto al tipo di brillantini cosmetici usati dalle ragazze pompon e dalle spogliarelliste. Si scopre anche che il punto da cui si diffonde la nuvola nella sala è vicino alle prese d’aria della chiesa.

C’è una linea sottile tra il desiderio di coltivare un’esperienza emotivamente trascendente e la diffusione di brillantini luccicanti tramite le prese d’aria. E mentre le bufale religiose sono vecchie quanto l’umanità stessa, c’è un filo che collega questo a campeggi dove tutto è incentrato sui giochi, a raduni di chiesa emotivamente manipolativi e a ogni altro fenomeno di clamore e spettacolo che imperversa nella chiesa di oggi. Tutti sono radicati in un profondo cinismo.

Rivelano una perdita di fiducia nelle attività che hanno formato e unificato la Chiesa nelle generazioni precedenti: pratiche radicate nella Parola di Dio, nella preghiera, nella comunione fraterna, incontri che celebrano la vita condivisa e condivisibile di una comunità di fede (Atti 2:42). Se non abbiamo fiducia che Dio si riveli in queste pratiche spirituali, sperimentiamo l’esigenza pressante di fare accadere qualcosa a tutti i costi.

Impariamo a dipendere da questi stati d’animo e ci sentiamo male quando siamo in astinenza. Tanto per dire, potremmo trovarci perfino nel vero luogo in cui è morto Gesù e non essere in grado di provare nulla. Dov’è il discorso motivazionale tanto atteso? Dov’è il gruppo musicale? Chi mi aiuterà a provare qualcosa? Il potere dell’abitudine fa sì che il corpo e la nostra anima si sintonizzino solamente a certe condizioni, quando cogliamo determinati ritmi. Viviamo in funzione della prossima dose, e quando questa viene a mancare siamo in crisi, poiché viviamo un cristianesimo dopato.

C’è un denominatore comune che lega queste esperienze. Tutti i nostri sforzi religiosi scaturiscono da un cuore che desidera ardentemente la redenzione, la spiritualità e, soprattutto, il contatto con Dio. Perciò Lo cerchiamo in oggetti incantati, come croci di plastica o piume dal cielo, o nei momenti più estatici di un servizio di culto.

Più di ogni altra cosa, stiamo cercando una sorta di assicurazione che Dio sia ancora lì, che si mostrerà ancora benigno nei nostri confronti. Per ritrovare quella sicurezza, dobbiamo separare ciò che siamo soliti aspettarci, come le esperienze di vario genere in “cima al monte”, e ciò che Dio promette: il tranquillo conforto della Sua presenza reale.

Nelle Scritture vediamo che Dio non arriva in una tempesta, ma in una voce dolce e sommessa. Non come un guerriero che fa sfaceli, ma come un falegname. Non viene in una tribù vittoriosa, ma in una chiesa impoverita e perseguitata. La vera meraviglia è che questo è ciò che vogliamo davvero. Le esperienze sulla “cima del monte” non bastano, ma la presenza di Gesù riesce in questo intento, e Lui ha promesso che non ci abbandonerà.
È presente quando stiamo cucinando o discutiamo con il nostro capo. Mentre rispondiamo a una chiamata alla consacrazione o nei nostri tranquilli momenti di preghiera individuale. È misterioso e nascosto, eppure è una promessa fondamentale del Nuovo Testamento: Dio è con noi.

Dobbiamo imparare a distinguere il nostro bisogno di quella presenza reale, dall’eccitazione che sperimentiamo in occasione di un culto di adorazione particolarmente guidato. Abbiamo bisogno di scoprire che la presenza di Dio è spesso più semplice, tranquilla e sottile di quanto certe esperienze cristiane ci abbiano insegnato a credere.

Questo non vuol dire che i momenti più intensi non siano importanti. Abbiamo bisogno di queste esperienze. Abbiamo bisogno di momenti in cui i mari si separano, le montagne si abbassano e i morti risuscitano. Ma abbiamo anche bisogno della presenza di Dio in modo ordinario, nella guida costante di una nuvola di giorno e di un fuoco notturno. Abbiamo bisogno della luce della lampada che illumini i nostri passi e della vicinanza e dell’umiltà di un pastore. E abbiamo bisogno di fiducia in quella presenza quando sopraggiungono le tempeste e la sofferenza ci lascia stanchi e tristi, le notti buie al capezzale di un malato e negli ospedali, quando l’ultima cosa che ci possa consolare è proprio un’adorazione in stile rock con laser e fumo.

Soltanto quel tipo di presenza “ordinaria” può permetterci di mettere radici profonde, in un mondo disincantato e scettico. È una presenza che arriviamo a conoscere più intimamente nella quiete della preghiera e nella semplicità della Parola di Dio. Di contro, una spiritualità che non ci insegna a pregare nelle ore più buie o non ci spinge ad ascoltare la voce di Dio attraverso le Scritture, ci lascerà morire di fame, e allora andremo sempre alla ricerca del “qualcosa di più o comunque di diverso”.

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