LE FESTIVITA’di ROBERTO BRACCO

di ROBERTO BRACCO – In occasione delle festività torna nelle conversazioni cristiane l’argomento delle tradizioni religiose e molti si chiedono in che modo o fino a quale limite i credenti devono o possono partecipare alle consuetudini che impegnano la cristianità nel senso generico di quest’ultimo termine. Si parla di “cenoni”, di “pranzi”, di” strenne”, di “presepi”, di “alberi di Natale”, di “auguri”, e poi… di “Babbo Natale”, della “Befana”, delle “recite”, delle “tombolate”… Si parla, si parla e, naturalmente vengono fuori le più diverse conclusioni e le più svariate e contrastanti decisioni.

Noi non vogliamo attaccare nessuno , non vogliamo giudicare nessuno e non vogliamo nemmeno biasimare nessuno, ma vogliamo soltanto chiederci quale attitudine avrebbero avuto per esempio, Paolo o Pietro di fronte alle cose che suscitano perplessità, in alcuni credenti o che da altri sono vissute nelle più opposte maniere. E’ una domanda ingenua o piuttosto è una di quelle domande la cui risposta è già scontata? Lasciamo ai lettori il giudizio che forse sarà differenziato negli individui come la pratica stessa delle tradizioni religiose.

Noi ci limitiamo a ricordare che l’insegnamento che veniva impartito nei primi giorni del risveglio pentecostale ci mostrava queste “consuetudini” come frutto di quella mondanità che sapeva trovare le proprie espressioni e le proprie estrinsecazioni anche nel mondo religioso. Chi fra i credenti dei primi anni del risveglio non ricorda la severità dei costumi delle chiese e delle famiglie? Chi ha dimenticato quella resistenza ad oltranza che veniva opposta a tutte quelle cose che potevano contaminare la purità della dottrina proclamata e predicata nella chiesa? In quei giorni si faceva notare che la data stessa del Natale era il risultato di una violenza del mondo verso la chiesa e in quei giorni si ricordava che l’albero, il “vecchione dalla barba bianca” e poi il “cenone”, il “pranzo” erano tutti elementi profani e… pagani che si erano abilmente introdotti nel mondo religioso per soddisfare esigenze non spirituali, ma carnali, non celesti, ma mondane. I pionieri della pentecoste hanno tuonato dai pulpiti contro le riprovevoli profanazioni compiute da coloro che trascinavano il sublime mistero della incarnazione di Dio sulle tavole imbandite, e in mezzo alle orgie e alle gozzoviglie delle nottate natalizie.

In quelle prediche austere e severe c’era abbastanza veemenza per rovesciare le tombolate e spegnere le candeline accese; per respingere le farse religiose e mettere in fuga le menzogne propalate in nome della poesia o del sentimentalismo. Le “feste dell’albero” o la “befana”; le ibride mescolanze del sacro col profano, la supina adesione ai cento motivi tradizionali, tutto, tutto era respinto e messo in fuga nel seno di un popolo che voleva vivere “separato dal mondo”. Quale risposta daremo oggi agli interrogativi? Certamente quella corrispondente alle nostre capacità di individuare il mondo nelle sue varie manifestazioni. Iddio ci aiuti ad essere santi al Suo Nome.

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