ESSERE STRUMENTI NELLE MANI DI DIO
La nostra disponibilità al servizio è limitata, spesso e purtroppo, ad una semplice dichiarazione d’intenti espressa forse con belle parole. Ma per fare in modo che il Signore possa usarci, praticamente, come preziosi strumenti per la crescita della Chiesa e per il progresso del Vangelo è necessario passare dalle parole ai fatti.
Senza Gesù non possiamo nulla!
Nelle conversazioni tra credenti o nelle predicazioni dal pulpito si sente spesso parlare di essere strumenti nelle mani di Dio. Ci si sente giustamente esortati a lasciarci utilizzare da Lui per portare avanti i Suoi piani, secondo la Sua volontà.
La Bibbia chiama collaboratori di Dio coloro che si affaticano per il Suo Regno (1 Corinzi 3:9 e 2 Corinzi 6:1).
Anche alcune metafore molto conosciute recitano che le nostre mani devono essere le mani con cui Cristo opera nel mondo; le nostre bocche devono essere le bocche con cui Cristo parla nel mondo; i nostri piedi devono essere quelli di Cristo che portano la Buona Novella sulle vie del mondo… e così via.
Spesso, poi, toccati da una predicazione o motivati da qualche lettura, offriamo al Signore la disponibilità ad essere usati da Lui, e diciamo che siamo nelle Sue mani e che ci usi pure come vuole per la Sua gloria.
Però, quanti di noi hanno preso questo impegno con tutta sincerità, ma col passare del tempo si sono affievoliti gli entusiasmi?
Quanti di noi devono ammettere che, a volte, questa disponibilità è solo a parole e non trova il naturale proseguimento nei fatti?
Gli impegni di lavoro, gli affanni, i ritmi sempre più intensi della vita, spesso ci costringono a ridimensionare i tempi da dedicare al Signore.
Qualche volta ci lasciamo anche prendere dallo scoraggiamento e ci sentiamo fino in fondo al cuore dei servi inutili.
“Anche voi, quando avrete fatto tutto ciò che vi è comandato, dite: «Noi siamo servi inutili; abbiamo fatto quello che eravamo in obbligo di fare»” (Luca 17:10).
Il problema è che troppo spesso rischiamo di non fare neanche ciò “che eravamo in obbligo di fare”. Cioè quel minimo servizio che dimostra che siamo ancora vivi spiritualmente e non solo degli “scalda sedie” da domenica mattina!
Qualcuno addirittura usa questo passo dei “servi inutili” per giustificare le proprie inadempienze e per trovare delle attenuanti alla sua cronica pigrizia nell’impegno cristiano.
Tuttavia, le parole di Gesù devono essere intese alla luce di un’altra Sua affermazione: “Va bene, servo buono e fedele, sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose” (Matteo 25:23).
La nostra inutilità ci fa prendere atto
delle dimensioni della grazia di Dio, che ci rende partecipi di qualcosa di molto più grande dei nostri pensieri o delle nostre azioni. Ci fa capire che nella nostra carne non possiamo rendere niente a Dio (cfr. Gb 22:2,3), poiché senza Gesù non possiamo fare nulla (Gv 15:5).
Le opere, quando sono nostre, cioè quando scaturiscono dal solo desiderio di attivismo o di protagonismo, sono una nullità e dunque inutili.
Ma l’altra faccia della medaglia è l’atteggiamento di fedeltà nel servizio e nell’impegno che ogni credente deve manifestare nei confronti del suo Signore. In quel caso, la nostra inutilità viene dunque “inglobata” dalla fedeltà e viene resa adatta dallo Spirito a perseguire gli scopi di Dio.
L’ammissione di essere dei servi inutili non deve impedirci di essere dei servi fedeli!
COME POSSIAMO ESSERE VALIDI STRUMENTI NELLE MANI DI DIO?
Per capire meglio questo concetto, procediamo con un’analogia, cioè paragoniamo noi stessi, cioè strumenti umani, agli utensili utilizzati per lavorare.
Uno strumento o un attrezzo, per essere valido, bisogna che abbia almeno tre qualità.
1. Deve essere perfettamente funzionante.
Un attrezzo deve cioè essere integro ed efficiente.
Perciò deve essere costruito in un determinato modo, usando uno specifico materiale. Inoltre, a seconda della sua complessità, ha bisogno di una regolare manutenzione (un cacciavite forse non avrà bisogno di tante attenzioni quanto la catena di una sega a motore, ma chi se ne serve dovrà comunque farne un uso appropriato per non comprometterne l’efficienza).
Dunque, se noi dovessimo paragonarci a degli strumenti, chiediamoci: “Siamo già perfettamente funzionanti? “.
Credo, in tutta onestà, che la nostra risposta è: “No”.
Ed anche il materiale di cui siamo fatti non è un granché, visto che stiamo parlando di “carne di peccato”, con il “cuore pieno della voglia di fare il male” (Romani 7:14ss e Ecclesiaste 8:11).
Eppure la Parola ci dice che noi eravamo morti nelle nostre colpe e nei nostri peccati (Efesini 2:1). Ci dice che noi eravamo incapaci di capire e di fare (Geremia 6:10 e 1 Corinzi 2:14).
Il verbo è al passato! Infatti Dio ci ha resi capaci, trasformandoci (Filippesi 1:3-6 e 2:13). Perciò, con la conversione, siamo diventati figli adottivi di Dio e dunque strumenti per il Suo Regno.
Non abbiamo scuse!
Ma questo, tuttavia, non è ancora sufficiente, perché è solo l’inizio. Fino qui abbiamo solo parlato del materiale di cui è fatto lo strumento.
Ma esso ha bisogno di una continua e regolare manutenzione, altrimenti si deteriora e alla fine non serve più a niente e viene gettato via (Giovanni 15:1,2,6).
In che cosa consiste questa manutenzione per un credente?
· Una crescita continua (2 Pietro 1:3-12).
· L’obbedienza al Signore (Giovanni 14:15; 1 Corinzi 7:19 e tanti altri).
· La comunione continua con Dio (Giovanni 15:4 e altri).
· La nostra totale disponibilità a lasciarci plasmare da Dio attraverso lo Spirito Santo (Galati 5:16; Efesini 5:18b).
· Attingere continuamente all’acqua della vita, in modo che fiumi di acqua viva possano sgorgare da noi per dissetare altri (Giovanni 7:38).
2. Uno strumento deve essere adatto allo scopo
Tutti sanno che non si può usare un tagliavetro per stringere un bullone.
Al di là della banalità di questo esempio, l’applicazione spirituale è molto importante, perché ha a che fare con il servizio.
Esattamente come non si può usare una morsa per avvitare una lampadina, non si possono usare indifferentemente i credenti per un qualsiasi servizio nella chiesa o fuori di essa.
Si tratta di discernere il proprio dono.
Dalla Scrittura sappiamo che c’è varietà di doni e proprio questa varietà è essenziale alla crescita della chiesa.
“Vi è diversità di doni, ma vi è un medesimo Spirito” (1 Corinzi 12:4).
“Da Lui tutto il corpo ben collegato e ben connesso mediante l’aiuto fornito da tutte le giunture, trae il proprio sviluppo nella misura del vigore di ogni singola parte, per edificare sé stesso nell’amore” (Efesini 4:16).
Se tutti insegnassero, chi andrebbe ad evangelizzare?
Se tutti andassero solo ad evangelizzare, chi aiuterebbe i neoconvertiti a crescere nella conoscenza degli insegnamenti della Parola?
E che dire poi dei doni di assistenza, delle opere pietose, del donare, dell’esortazione, del governo, ecc…?
Esattamente come sul banco da lavoro di un’officina ci sono molti attrezzi, così è nella chiesa. Ed il meccanico, o l’artigiano, o la cuoca, o lo scultore, per fare un determinato lavoro prendono uno specifico attrezzo e non un altro.
Tutti gli attrezzi sono utili, ma non vengono usati tutti nello stesso momento e nello stesso modo. Inoltre ce ne saranno alcuni che verranno usati con maggior frequenza — nella chiesa sarà il caso della predicazione — ma non per questo gli altri sono da meno. Anzi, spesso l’artigiano può usare degli attrezzi che sono un supporto per altri attrezzi, come quando fissa in una morsa un pezzo da riparare e poi lavora con gli strumenti più fini. O il boscaiolo che inserisce dei cunei di ferro nel ceppo di legno per poi battervi sopra con una mazza in modo da aprirlo con più facilità.
A prima vista, può sembrare che gli attrezzi più utili siano quelli nelle mani della persona che li sta usando, ma se non ci fosse la morsa, come farebbe l’artigiano a tenere fermo il pezzo?
Se non ci fosse il cuneo di ferro la mazza servirebbe a ben poco.
La stessa cosa succede nella chiesa.
Ognuno di noi è adatto ad uno specifico scopo, a seconda dei doni che il Signore gli ha dato, ma tutti abbiamo la responsabilità di portare il nostro contributo.
3. Uno strumento, per essere utile, deve essere a portata di mano.
Penso che molti abbiano sperimentato la frustrazione di dover fare un lavoro manuale e di non trovare lo strumento che serve.
E’ una situazione che riesce a farci innervosire.
L’essere a portata di mano, per un credente, significa rendersi disponibile ad essere utilizzato da Dio in ogni momento e in ogni circostanza.
Un attrezzo che non si riesce a trovare è come un credente che non è disponibile.
Spesso ci lamentiamo perché non vediamo frutti o risultati o benedizioni, ma prima di lamentarci dovremmo chiederci se siamo a portata di mano di Dio o se invece parliamo soltanto.
Un corpo funziona bene quando tutte le membra svolgono il loro compito, altrimenti si indebolisce (Efesini 4:16).
Chi ha ricevuto dal Signore deve dare in misura di quello che gli è stato dato.
E’ un principio biblico.
Perciò rendiamoci disponibili per l’opera del Signore. Non importa se siamo un cacciavite, una pinza, una morsa o un microchip.
Il Signore desidera che tutti noi ci impegniamo in base ai doni che ci sono stati dati.
Cerchiamo perciò di essere sempre a portata di mano, per venire utilizzati dalle mani amorevoli e perfette del nostro Padre celeste, manifestando gioia e allegrezza per
il grande privilegio di essere strumenti di Dio!
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