L’esperienza personale di un giovane israeliano GESÙ È IL MESSIA !
La testimonianza di un giovane ebreo che ha riconosciuto in Gesù il Messia ci aiuta a capire quale trasformazione radicale si verifica nella vita di un uomo quando lascia la Parola di Dio parlare al suo cuore.
Nello scorso articolo abbiamo parlato a grandi linee del giudaismo e della religiosità degli ebrei d’oggi. In quest’articolo abbiamo deciso di lasciar parlare l’esperienza personale di un giovane israeliano che, dopo un percorso di sofferenza, è arrivato alla nuova nascita e alla conoscenza del suo Messia, il Signor Gesù. Vi incoraggiamo a leggere questo articolo con la Bibbia alla mano, perché troverete parecchie citazioni bibliche che non abbiamo scritto per esteso. Lasciamo quindi che questa testimonianza sia per tutti noi motivo di riflessione, un aiuto per capire meglio Israele e il popolo di Dio.
Segnato da odio e risentimenti
In alcune lingue e per molte persone il termine conversione significa “cambiare religione”.
Nella mia esperienza personale, ha significato in un certo senso il contrario: è stato aprire gli occhi e capire che solo con Gesù Cristo, il Messia, nel mio cuore potevo “ritrovare” le mie radici e diventare un “vero ebreo” (Ro 2:28-29).
Sono nato e cresciuto in Israele in una famiglia d’origine polacca, segnata profondamente dalla terribile esperienza dell’Olocausto, durante il periodo della II Guerra Mondiale. Tante persone della mia cerchia familiare sono state vittime di quel genocidio che, ancora oggi, provoca nel cuore di molti Ebrei sentimenti di rabbia e di dolore. I racconti di mio nonno, miracolosamente sopravvissuto a molteplici situazioni apparentemente senza via d’uscita durante la persecuzione nazista, avevano inciso il mio cuore di ragazzo e condizionato il mio percorso verso la liberazione dall’odio e dal risentimento che c’era dentro di me per le atroci sofferenze che il mio popolo aveva subito.
La tragica esperienza, in giovane età, della perdita di entrambi i miei genitori e quindi della solitudine, non ha che amplificato quei sentimenti di ribellione e d’odio che c’erano già dentro di me. Erano sentimenti duri che provavo nei confronti della gente dalla quale mi sarei aspettato aiuto e conforto, sentimenti di un orfano che cercava aiuto e sicurezza in chi aveva vicino, trovando invece indifferenza ed egoismo.
Lontano da Israele
Finito il lungo periodo nell’esercito, era (ed è tuttora) tradizione per molti ragazzi israeliani, trascorrere del tempo all’estero. Fu a quel punto della mia vita che decisi di lasciare, forse per sempre, Israele, paese che non amavo più.
Molti coetanei partivano alla ricerca di una nuova identità spirituale. Io no.
Come molti ebrei credevo nell’esistenza del Dio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe e andavo in sinagoga durante le feste ebraiche più importanti. Il mio desiderio di andarmene non era frutto di un rifiuto dell’ebraismo e delle sue tradizioni, ma piuttosto della società e di chi mi aveva ferito. Volevo semplicemente vivere in Europa, continuare i miei studi e ricominciare da capo in qualche altro angolo del mondo. Mi erano nemiche tutte le persone di quel popolo che aveva sterminato il mio popolo, mi erano nemiche tutte le persone del mio popolo che mi avevano tradito con la loro indifferenza nel momento del bisogno. Sono stati proprio questi sentimenti di delusione e di tristezza che Dio ha usato per rivelarsi e cambiare il mio cuore da “cuore di pietra a cuore di carne”(Ez 11:19; 36:26).
Un “nemico” mi ha guidato a Cristo!
Ricordo un giorno di disperazione, giorno in cui ho pregato in ginocchio con queste parole: “Dio, perché non mi parli? Se ti sei rivelato a Mosè che era un uomo, perché non puoi rivelarti a me?”. Dio mi ha portato nelle braccia di chi consideravo nemico per liberarmi dall’odio e per darmi una vita nuova. È stato un credente tedesco a portarmi al Signore.
C’era qualcosa in quell’uomo che mi rendeva geloso (De 32:21, Ro 10:19, 11:11, 14): lui, un tedesco, una di quelle persone su cui avevo riversato tutta la mia rabbia e la mia frustrazione, era in grado di amarmi con un amore soprannaturale, nonostante io lo aggredissi continuamente. Lui, un “gentile”, conosceva il Dio d’Israele meglio di me! Ricordo di aver accettato da lui con molto scetticismo il Nuovo Testamento che comunque incominciai a leggere.
Con grande sorpresa mi resi presto conto che quello che leggevo mi stava parlando al cuore e che Gesù non era chi avevo pensato che fosse. Potevo vedere che la mia vita stava incominciando a cambiare e che la mia coscienza si stava risvegliando. Io, chiuso in me stesso, prigioniero del mio dolore e del mio egoismo, sentivo che quel messaggio di vita mi stava cambiando il cuore.
Gesù era davvero il Messia? È stato molto difficile ammetterlo.
Liberato dal velo che copriva i miei occhi
C’era un velo sui miei occhi e sul mio cuore che mi impediva di vederlo dalle Scritture (2Co 3:15). Ciò che ha aperto i miei occhi, è stata la trasformazione del mio cuore, trasformazione incominciata anche prima di aver confessato con la mia bocca che Gesù è il Messia. Sono convinto che lo Spirito Santo me lo abbia rivelato e mi abbia tolto il velo che avevo davanti agli occhi.
Mi sono sentito come Natanaele: Dio conosceva il mio cuore ancor prima che glielo donassi (Gv 1:47-49). La convinzione che Gesù è il Messia non è nata grazie a un’esperienza teologica, ma in seguito ad una rivelazione interiore che mi ha trasformato. “Io vi do vita” – ha detto Gesù – e vita mi è stata donata. Solo tramite il Messia, il Mediatore, morto per i nostri peccati e poi risuscitato, il mio popolo potrà ritornare al suo Dio e incontrare un Dio personale che potrà chiamare “Abba”, Padre.
Un’altra prova rilevante che mi ha aiutato a credere (in quella situazione ero forse come Tommaso!), è stata la risposta ad una preghiera specifica che ho fatto in quel periodo. Da tanto tempo ero vittima di una forma depressiva che mi stava anche danneggiando fisicamente. “Se tu sei Dio, mi devi guarire!”- è stato il mio grido. Il giorno successivo ho sperimentato una guarigione completa, psichica e fisica. Non avevo più dubbi a quel punto.
Assillato da una serie inquietante di domande
Subito dopo la nuova nascita, mi sono ritrovato ad affrontare nuove sfide. Tante erano le domande che mi assillavano, domande alle quali ogni ebreo che arrivi alla salvezza deve poter dare una risposta. Ero confuso e avevo paura delle conseguenze della mia scelta…
Cosa fare delle mie tradizioni?
Chi sono adesso?
Sono ancora un ebreo?
Molti mi dicevano che dal momento della conversione ero un cristiano e non più un ebreo, che dovevo sbarazzarmi di tutto ciò che faceva parte del mio essere giudeo e che la Chiesa aveva sostituito interamente il ruolo del popolo di Dio. Ero turbato ogni volta che sentivo dire che Israele è vittima delle sue maledizioni e dei suoi peccati del passato e che alla Chiesa appartengono oggi tutte le benedizioni promesse a Israele.
Dio aveva davvero abbandonato il suo popolo per sempre?
Precise risposte dalla Parola!
Con il tempo, tramite lo studio delle Scritture e l’aiuto di credenti maturi, ho trovato le risposte che il mio cuore cercava e una nuova identità che credevo perduta: ero un ebreo salvato.
La lettura della lettera ai Romani, del libro di Geremia, in particolare del capitolo 31 (v. 31) mi ha portato alla convinzione che, nonostante il suo peccato e la sua infedeltà, Dio non ha dimenticato il suo popolo e che il suo patto con Israele è un patto eterno (Ro 11:1-2a).
In quel momento è nato in me il desiderio di approfondire lo studio delle mie origini giudaiche, invece di volermene sbarazzare. Volevo raggiungere i miei fratelli, raggiungere i loro cuori come ha fatto Gesù, ebreo tra gli ebrei.
Gesù amava la sua gente, guardava al cuore dell’uomo e la gente lo chiamava “Rabbi”. Gesù non ha chiesto agli ebrei del suo tempo di sbarazzarsi della propria cultura, ma di dare importanza alle cose interiori e non a quelle esteriori.
Oggi anch’io posso essere un ebreo tra gli ebrei, un ebreo con un “cuore di carne”, per la grazia di Dio. Posso amare il mio popolo con un amore nuovo.
Di nuovo in Israele, in mezzo al mio popolo
Ora che vivo in Israele, sento di aver ricevuto da parte del Signore la libertà di esprimere la mia identità di ebreo con il mio popolo: per esempio rispetto il sabato, considerandolo un giorno in cui mi devo fermare dalle attività della settimana e dedicare più tempo al Signore; celebro le feste ebraiche (come la Pasqua, la festa delle Settimane, ecc.) con una nuova consapevolezza perché sono per me una testimonianza della grazia di Dio per il mio popolo. Sono convinto che queste cose non mi salvano né mi rendono migliore agli occhi di Dio, ma che sono semplicemente figure per il tempo presente (Eb 9:9, 10:1) che trovano in Gesù la loro concretizzazione.
Credo profondamente nell’importanza di condividere con il mio popolo la mia testimonianza personale d’ebreo salvato. La gente s’incuriosisce quando si accorge che c’è qualcosa di nuovo nel mio cuore. Credo anche nell’importanza di incoraggiare i miei amici allo studio del Vecchio Testamento, con la preghiera e la speranza che tramite la sua lettura, lo Spirito Santo possa convincerli che Gesù è il Messia. Purtroppo oggi non sono molti gli Ebrei che conoscono bene il Vecchio Testamento: infatti, persino gli Ebrei religiosi studiano solo il contenuto dei libri del Pentateuco (la Torah).
Molti Ebrei messianici sono stati raggiunti dal Vangelo fuori da Israele: è più facile che un ebreo trovi il coraggio di leggere il Nuovo Testamento lontano dalle pressioni che invece riceverebbe a casa.
Vorrei concludere questa mia testimonianza chiedendo ai credenti italiani di pregare per la pace di Gerusalemme, come c’insegnano le Scritture (Sl 122:6), perché il mio popolo riceva pace nel cuore ritornando al suo Dio, riconoscendo in Gesù il Messia. Non c’è esercito che possa proteggerci dai nostri nemici e sarà necessario che tutti si mettano contro Israele perché finalmente il popolo di Dio alzi gli occhi al cielo riconoscendo che solo da Lui viene la salvezza.
Ai miei occhi, i credenti che come voi pregano per Israele, sono come Aaronne e Cur che tenevano alzate le mani di Mosè mentre Giosuè combatteva contro Amalec (Es 17:10,12). Le vostre preghiere sono come le mani d’Aaronne e Cur, mani che sostenevano le braccia stanche di Mosè. Pregate per noi senza stancarvi.
Non possiamo farcela senza la vostra intercessione.
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