“…e so che il suo comandamento è vita eterna” (Giovanni 12:50)
Da Cristo sentiamo parole che oltre a comunicarci verità divine, hanno il potere di compiere opere che noi non sappiamo compiere, e hanno la capacità di mettere in discussione il nostro comportamento e di sconvolgere la nostra coscienza. La Sua parola dovrebbe regolare il nostro modo di vivere.
Egli ci dice che tutte le parole da Lui pronunziate gli sono state ordinate dal Padre, per cui credere in esse, e quindi in Cristo, equivale a credere nel Padre e vedere Cristo equivale a vedere il Padre. Questa identità tra Padre e Figlio non annulla le due persone divine ma le unisce nella comunione perfetta dell’amore. Rifiutare queste parole significa rifiutare il Padre e rifiutare il Padre significa perdere l’opportunità di salvezza da Lui fornitaci, ossia autocondannarci alla eterna lontananza da Dio.
FIDUCIA e OBBEDIENZA: è proprio questo l’insegnamento di Gesù. Dobbiamo fidarci del Padre – fonte della luce – che parla a noi attraverso la persona di Cristo. Dobbiamo obbedire alle parole del Padre che non vogliono essere un ordine severo ma un invito alla vita eterna.
All’ascolto segue l’osservare quelle parole che Gesù ha annunciato, senza questa ubbidienza a Lui che è la parola e la luce inviata dal Padre, si è ancora nelle tenebre. Gesù non giudica alcuno, Lui non è venuto a giudicare nessuno ora, ma a salvare. È chiara la connessione: Luce – Parola – Vita – Ascolto –Ubbidienza, e anche dall’altra parte la connessione: Non ascolto- Tenebre – Morte.
Ascoltare, credere, vivere, realizzare la volontà del Padre in Cristo sono una sola cosa. Non sono cose distinte, differenti, diverse. Noi a volte abbiamo ritardi di anni, di secoli e anche di millenni. Ogni fedele in Cristo soffre di questo ritardo, che spesso diviene incolmabile. Ciò che siamo chiamati a fare oggi, lo facciamo fra dieci anni, se non fra venti o cinquanta e in questo periodo di tempo ci trastulliamo con i nostri pensieri.
È triste osservare questo ritardo per la durezza del proprio cuore, ostinato e chiuso nei propri pensieri. È triste perdere un tempo così prezioso nell’opera della nostra santificazione. È deludente constatare quanto incarcerato sia il nostro cuore e quanto sia vittima delle proprie personali convinzioni. Quando la Sua parola giunge al nostro cuore, esso non è incline all’ubbidienza, e suscita ribellione e malavoglia.
L’ubbidienza farà dimorare pienamente l’amore del Padre in noi, Gesù ce lo ha detto che chi avrebbe dimorato in Lui e nella sue parole sentirà dimorare Gesù e il Padre nel suo cuore, e questa è una grazia meravigliosa.
Perciò ricordiamo che il comandamento è Via per la vita eterna, perché in Cristo che riceviamo la libertà di ubbidire, il che richiede umiltà e mansuetudine. “Perché questo è l’amore di Dio: che osserviamo i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi. Poiché tutto quello che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede” (1Giovanni 5:3-4). Cristo nasce in noi per mezzo della fede e, di conseguenza, ereditiamo le bellezze della Sua presenza che conduce i nostri passi nelle vie e all’ubbidienza dei comandamenti che sono vita eterna.
La vita eterna, che il cristiano ha ricevuto in dono per mezzo della fede nel sacrificio di Cristo, comincia infatti qui da ora sulla terra attraverso la possibilità di vivere una relazione personale con il Padre e con il Figlio ed è proprio nel vivere concretamente questa relazione che si rivela l’autenticità della fede. Una professione di fede non supportata da una vita che ne dimostra l’autenticità, non è credibile.
Il termine “vita eterna” deve sottintendere una vita vissuta in relazione con Dio. E se la vita eterna è da intendere fondamentalmente come comunione con Dio resa possibile dal sacrificio propiziatorio di Cristo, la dimostrazione fondamentale di possederla è una vita vissuta come discepolo di Cristo. “Da questo sappiamo che l’abbiamo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: “Io l’ho conosciuto”, e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui (1 Giovanni 2:3-4).
Il discepolo che osserva i comandamenti di Cristo manifesta l’amore di Dio e raggiunge il suo obiettivo in una vita che rispecchia quella di Cristo.
L’amore a Cristo si esprime come osservanza ai Suoi comandamenti. “Chi ha i miei comandamenti e li osserva, quello mi ama; e chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Giovanni 14:21).
Non si tratta di obbedienza servile: “Voi siete miei amici, se fate le cose che io vi comando. Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo signore; ma vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio” (Giovanni 15:14-15). Il cristiano esegue esegue e basta, senza cercare di capire.
Amare come Gesù ci ha amati significa camminare nella sua luce e quindi superare tutte le convenzioni umane che sono frutto delle tenebre. Chi cammina nella luce di Dio vede le cose dal suo punto di vista, per cui “non ha riguardi personali” ma tratta tutti allo stesso modo. Quindi non è possibile camminare nella luce e, contemporaneamente, odiare il proprio fratello, chiunque egli sia. Al contrario, lo amerà a fatti e verità. L’amore che una persona ha per Dio deve manifestarsi nell’amore per la gente, ma “Se uno dice: “Io amo Dio”, ma odia suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto” (1 Giovanni 4:20). “Chi odia suo fratello è nelle tenebre, cammina nelle tenere e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi” (1Giovanni 2:11). L’odio è frutto delle tenebre mentre l’amore agapē, che si interessa dei bisogni altrui, è frutto della luce. Quindi le azioni motivate dall’odio, in particolare nei confronti di persone che professano la stessa fede, dimostrano che colui che le compie vive ancora nelle tenebre.
La professione di essere uniti con Cristo comporta l’obbligo morale di “camminare com’egli camminò”.
“Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. Da questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato”; “…la legge dello Spirito della vita in Cristo Gesù mi ha liberato dalla legge del peccato e della morte. Infatti, ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha fatto; mandando il proprio Figlio in carne simile a carne di peccato e, a motivo del peccato, ha condannato il peccato nella carne, affinché il comandamento della legge fosse adempiuto in noi, che camminiamo non secondo la carne, ma secondo lo Spirito… lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza” (1Giovanni 3:24; cfr. Romani 8:1-4, 26).
La presenza di Dio nella nostra vita produce pace, senso e forza.
Pace cioè quella che si manifesta nella capacità di rapportarci in modo corretto con Dio, le altre persone, noi stessi ed il mondo.
Senso cioè una vita che abbia senso e prospettiva, comprendendo quale sia la volontà di Dio per la nostra vita..
Forza cioè la capacità di compiere tutto ciò per il quale siamo stati posti in questo mondo.
È vera la tua comunione con Dio? Lo stai dimostrando con la tua vita?
Lascia un commento