Il Salmo 23 è a tutti familiare,Yahweh-Raa-David Wilkerson

Il Salmo 23 è a tutti familiare. Il suo messaggio consolatorio è ben noto persino tra i non credenti. Questo noto salmo fu scritto dal re Davide e il suo passaggio più famoso è contenuto nel versetto di apertura: “Il Signore è il mio pastore: nulla mi manca”. In altre parole, Davide dice: “Non mi mancherà nulla”. Quando combiniamo questa affermazione con la prima parte del versetto, Davide dice: “Il Signore mi guida e mi nutre. E a motivo di ciò non mi manca nulla”. Con questo breve versetto Davide offre un’altra riflessione sul carattere e sulla natura del Signore. La mia parte del versetto in ebraico è: Yahweh-Raah. Significa “il Signore è il mio pastore”. Davide continua a sviluppare l’idea del Signore come pastore per il resto del Salmo. Nel versetto successivo scrive: “Egli mi fa riposare in verdeggianti pascoli, mi guida lungo le acque calme” (Salmo 23:2). Che immagine idilliaca. Leggendo questo versetto ci raffiguriamo un gregge di soffici pecorelle bianche che punteggiano un tranquillo paesaggio verdeggiante. Sono creature ben nutrite che pascolano i ricchi campi che li circondano. Oppure se ne stanno distese su un lussureggiante tappeto d’erba sonnecchiando tranquille. In alto splende luminoso il sole. Sulla collina vicina un boschetto di alti alberi fronzuti ondeggia nella brezza. E giù in basso uno splendido bosco si riflette in uno specchio di acqua fresca e chiara. Tutta la scena sembra così gradevole, pacifica e senza preoccupazione. Nessuna creatura in vista ha alcuna preoccupazione al mondo. Perché? Seduto sulla soffice erba della collina che dipana dolcemente verso il fiume c’è un pastore che vede tutto ciò che accade in basso. Questo pastore è un’immagine della calma. Trascorre il suo tempo a meditare sulle benedizioni del Signore. Di tanto in tanto lancia uno sguardo al gregge per assicurarsi che sia tutto a posto. Il pastore non ode un singolo grido o singhiozzo provenire dal gregge che gli è stato affidato. Vede invece un gregge appagato di pecore riposate, creature che godono pienamente la pace dei loro luoghi. Che cosa c’è che non va in questo quadro? Semplicemente questo: la vita non ha nulla a che fare con questa esistenza idilliaca. Credo sinceramente che non sia questa l’immagine che Davide voleva dare, per niente. La verità è che anche i più santi tra il popolo di Dio non sono che un’accozzaglia di gente. Con questo in mente voglio dipingervi un altro quadro del gregge descritto da Davide. Si, le pecore se ne stanno distese sull’erba verde accanto ad acque tranquille. Ma, secondo Isaia, in questo gregge ci sono agnelli fragili, deboli e instabili. Alcuni di essi ce la fanno appena a camminare. Altri soffrono enormemente. Alcune pecore sono incinte. Altre ancora devono occuparsi dei figli irrequieti. Isaia scrive: “Come un pastore, egli pascerà il suo gregge: raccoglierà gli agnelli in braccio, li porterà sul petto, condurrà le pecore che allattano” (Isaia 40:11). Naturalmente Isaia si riferisce qui a Cristo, il nostro Yahweh-Raah. Il nostro Signore Gesù è il nostro “Pastore”. Ed Egli non venne soltanto per prendersi cura delle pecore sane e forti, ma anche di quelle malate, spezzate, deboli. Dio condannò i ministri di Israele perché non erano stati dei tali pastori per le pecore a loro affidate. Questo aspetto del ministero era così importante agli occhi di Dio che Egli espresse il suo malcontento attraverso tutti i profeti maggiori: “Voi non avete rafforzato le pecore deboli, non avete guarito la malata, non avete fasciato quella che era ferita, non avete ricondotto la smarrita, non avete cercato la perduta, ma avete dominato su di loro con violenza e con asprezza” ( Ezechiele 34:4). “Le mie pecore si smarriscono per tutti i monti e per ogni alto colle; le mie pecore si disperdono su tutta la distesa del paese, e non c’è nessuno che se ne prenda cura, nessuno che le cerchi (Ezechiele 34:6). “Il mio popolo era un gregge di pecore smarrite… avevano dimenticato il luogo del loro riposo” (Geremia 50:6).”Noi tutti eravamo smarriti come pecore” (Isaia 53:6). Notate l’ultimo versetto. Di chi parla Isaia quando dice che tutti ci siamo smarriti? Parla di voi e di me, di ogni persona che appartiene al gregge del Signore. Non pensate che il profeta stesse esagerando per fare effetto. Diciamolo chiaramente: ogni pecora del gregge si è sviata. Eppure siamo ancora nel gregge grazie al nostro pastore misericordioso e amorevole che ci ha cercato e ci ha trovato. Considerate per un attimo tutte le pecore che conoscete nella chiesa di Cristo Gesù. Esaminate voi stessi, i vostri amici credenti, il vostro pastore, i membri della vostra congregazione. Che gregge siete? Ve ne state distesi su verdeggianti pascoli bevendo acqua pura e fresca? Siete tutti perfettamente appagati, sani, felici, in pace? Per niente. Avete nel vostro mezzo credenti giovani che continuano a inciampare e a cadere. A volte vi chiedete se diventeranno mai abbastanza forti da camminare rettamente. Altri sono costretti a portare i loro giovani. La loro progenie non è ancora nata di nuovo e non è in grado di camminare da sola. Spesso questi credenti sinceri sono ridotti alle lacrime dagli sforzi dei loro giovani. Altri tra noi sono ammalati. Hanno bevuto acqua contaminata dalla fonte di qualche falso pastore. Altri ancora se ne vanno in giro feriti. Alcuni sono rimasti zoppi quando il loro pastore ha dovuto liberare le loro gamba dalle fauci del leone. Altri sono stati storpiati da vizi e concupiscenze. Altri ancora nel nostro mezzo sono nudi. Sono stati tosati da falsi pastori. Questi malvagi ingannatori hanno preso loro tutto ciò che avevano. Tutte queste pecore malate e spezzate sono state riportate nel gregge dal pastore stesso. Alcune erano così menomate, storpiate, ferite e disorientate che Gesù ha dovuto prendersele sulle spalle e riportarle al gregge. Questo è il ruolo del nostro “Grande Pastore”. Il Signore Iddio dice: “…eccomi! Io stesso mi prenderò cura delle mie pecore e andrò in cerca di loro” (Ezechiele 34:11). Non saprei che fare se fossi parte di un gregge le cui pecore mostrassero tutto il giorno un sorriso smagliante. Non so se sopporterei di frequentare una chiesa in cui mai nessuno piangesse o soffrisse. Impazzirei a vivere tra gente che non si ammala mai, che non ha bisogno di nulla, che non è mai tentata, mai depressa, mai abbattuta, mai scoraggiata. Se dovessi far parte di un gregge del genere, sarei un disadattato completo, una pecora nera. E mi sentirei malissimo, perché la mia vita non è in quel modo. A volte mi abbatto. Sperimento periodi di scoraggiamento. Ho avuto momenti di grande confusione. Non mi si fraintenda; ho la pace di Dio. Ma non sfoggio un sorriso smagliante dovunque vado. Perché? Ne ho passate di tutti i colori. E spesso le traversie della vita mi rendono tutt’altro che felice. Nel corso della mia vita ho predicato migliaia di sermoni. Ho scritto molti libri. Ho consumato diverse Bibbie a furia di studiarle. Ma ho anche sparso fiumi di lacrime. Sono stato in vetta alle montagne e giù nelle valli. Ho vissuto periodi di prove e di sofferenza. E in molte occasioni Dio mi ha dovuto cercare. Ha dovuto prendermi, fasciarmi le ferite e farmi un bagno. Le pecore di Dio di oggi sono diverse. Il nostro pastore deve ripetutamente cercarci, prenderci e portarci in un luogo di riposo. Ci fa continuamente giacere per un periodo di guarigione e di ristoro. Ma con quanta facilità noi ci allontaniamo dal riposo del Signore. Non sempre restiamo attaccati alla verità concernente la Sua grazia e la Sua pace. E presto ci troviamo a vagare. Non ci rendiamo conto che il riposo del Signore è come il cibo con cui nutriamo il nostro corpo quotidianamente: non possiamo conservarne il valore se non facciamo continuamente ritorno alla tavola. Dobbiamo accettare il fatto che avere Dio come nostro Pastore è un processo al quale Egli deve sottoporci molte volte nel corso della nostra vita cristiana. Il nostro grande pastore ama ogni pecora che si è smarrita a causa di prove, patimenti, ferite. Non osiamo mai accusare il nostro pastore di averci abbandonato. Egli continua a camminare al nostro fianco e ci custodisce sempre. Forse proprio in questo momento state lottando contro una qualche tentazione. Può essere la dipendenza dalla pornografia, l’omosessualità, l’alcolismo, l’adulterio, la concupiscenza, la lussuria. Qualunque sia la natura della vostra lotta, avete deciso di non allontanarvi dal Signore. Tutto intorno a voi la gente cerca di giustificare il proprio peccato. Cerca alibi e inventa scuse. Ma voi rifiutate di lasciarvi andare alla morsa del peccato. Avete invece preso a cuore la Parola di Dio. Ma come Davide siete diventati stanchi. E ora siete giunti al punto in cui ci sentite assolutamente impotenti. Il nemico vi sommerge di paura., disperazione, menzogne. Forse avete coltivato pensieri suicidi. Vi esorto a non cedere alla disperazione. Ogni vero seguace di Gesù finisce per sperimentare quello che voi state vivendo. Non importa quale sia la tentazione. Tutti noi affrontiamo la realtà del peccato congenito. Ma abbiamo un “Pastore” che ci ama e ci cerca. La cosa peggiore che possiate fare adesso è smettere di rivolgervi al Signore. Non smettete di andare nella sua casa e avere comunione con altri credenti. E continuerete a riconoscerlo e a seguirlo su per la collina egli vi condurrà infine dall’altra parte, alla verde vallata di guarigione e ristoro.
David Wilkerson

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